La Differenza tra Market Timing e Gestione del Rischio

Cercare di capire i mercati e le sue dinamiche non serve per prevedere il futuro e indovinare trade vincenti, ma per prepararsi al futuro con una migliore gestione del rischio complessivo del nostro portafoglio.

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140. La Differenza tra Market Timing e Gestione del Rischio

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L'episodio chiarisce la differenza tra Market Timing e Gestione del Rischio, enfatizzando come asset allocation, obbligazioni e tassi d'interesse siano strumenti per prepararsi all'ignoto anziché tentare previsioni di mercato.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale

Era da un pezzo che avevo in mente di parlare di qualcosa del genere, perché in ogni episodio mi rimaneva la sensazione che ci fosse una sorta di contraddizione interna latente nel podcast, tra la sua idea di fondo di investire a lungo termine fondamentalmente ignorando il mercato e i continui riferimenti a previsioni, stime, dati macro, cosa fa la Fed, come va il dollaro, il price earning ratio dell’S&P 500 e altra roba del genere.

Sì, forse potevo pensarci un po’ prima del 140esimo episodio.

Va beh, mi è venuto in mente adesso, che vi devo dire, mediamente il piano editoriale di questo podcast viene realizzato mentre sono sotto la doccia.

Ho provato a prendere appunti ma è un casino, quindi di solito scrivo l’episodio sull’ultima cosa che ho pensato prima di accendere il phon.

Comunque sia un modo per circoscrivere il tema di oggi, così come per dare già nel titolo anche la parziale soluzione all’apparente contraddizione, è appunto capire la differenza tra Market Timing e Gestione del Rischio.

Benché quest’episodio non sia esattamente sul medesimo argomento, devo ad una spettacolare newsletter di uno dei Ben, Ben Carlson nella fattispecie, il merito di aver inquadrato con queste parole la questione risolutiva sul dilaniante dilemma che ansia le mie notti quando penso alle possibili contraddizioni logiche di quel profluvio di pensieri che è The Bull.

Vi ricordate?

Io seguo una montagna di gente cazzutissima in finanza, ma in particolare ho 2 Ben (Carlson e Felix) e 2 Nick (Maggiulli e il nostro Protasoni) che sono i fari che diramano le tenebre dei miei dubbi finanziari.

Oddio, Nick Protasoni mi risolve tanti dubbi sì, ma me ne fa anche venire di nuovi, così che mi prendono paturnie per cose a cui nemmeno avevo pensato.

Ciao Nick, torna a trovarci presto!

Dicevo, il tema di oggi è capire come armonizzare i principi alla base dell’investimento diciamo “passivo” e il fatto che comunque stiamo qui due volte a settimana a spaccarci il cervello cercando di decifrare quel che sta accadendo nel presente e divinare quel che avverrà in futuro, animati dall’inesauribile desiderio di ottimizzare le performance dei nostri portafogli e diventare finanziariamente liberi prima possibile.

Da una parte, se devo sintetizzare in maniera estrema il contenuto dei 139 episodi precedenti quello che state ascoltando, il succo del discorso è: investi in un portafoglio di ETF azionari e obbligazionari coerenti con la tua propensione al rischio e al tuo orizzonte temporale, inizia il prima possibile, mettici dentro più soldi che riesci e abbia 20-30 anni di pazienza.

E fin qui, credo che la cosa vi fosse abbastanza chiara.

La versione evoluta di questa roba, però, che è il motivo per cui ci ritroviamo 2 volte a settimana insieme in questo circolo simil alcolisti anonimi, riguarda il tentativo di trovare la modalità migliore per fare quanto sopra percorrendo un confine sottile tra la due cose di cui parleremo oggi.

Come dice l’altro Ben, quello canadese, un investimento puramente passivo non esiste.

Pensiamo che sia passivo perché compriamo ETF market cap weighted e non decidiamo in che asset sottostanti investire; non è però passivo perché ogni giorno prendiamo mille decisioni:

– Sull’asset allocation;

– Sulla frequenza con cui contribuiamo nel portafoglio;

– Sulla duration dei bond;

– Sul fatto di avere oro o meno nel portafoglio.

Insomma, prendiamo un montagna di decisioni che sono tutt’altro che passive!

La stessa regoletta diventata semifamosa di The Bull, quella secondo la quale un buon punto di partenza per definire la propria esposizione azionaria come percentuale del portafoglio complessivo è sottrarre a 125 i nostri anni e il Fed Funds Rate moltiplicato per 5 non è che sia proprio una roba passiva.

In pratica suggerisce di impostare l’asset allocation, pur poi con tutti gli adattamenti personali del caso, alla propria età e soprattutto ad una ben specifica variabile macroeconomica.

Il punto di questa formula, però, non è quella di ottimizzare le performance sfruttando indicatori che permettano di indovinare il corso futuro dei mercati. Piuttosto, essa vuole rappresentare un approccio pragmatico all’investimento finalizzato ad efficientare la gestione del rischio del portafoglio — o quanto meno ad evitare di assumersi rischi molto più grandi del beneficio atteso che dovrebbero portare.

Andiamo però con ordine e partiamo cercando di comprendere bene la differenza tra Market Timing e Gestione del Rischio così da creare una semplice procedura di controllo nel nostro processo decisionale che ci dia un supporto ogni qualvolta saremo tentati di prendere qualche iniziativa del cazzo convinti di essere improvvisamente diventati tutti David Einhorn o Mike Green.

Per chi non li conoscesse sono due hedge fund manager superstar, value investor convinti, per altro forse i principali critici dell’investimento tramite ETF, di cui parleremo al massimo tra 2 o 3 episodi per cercare di capire insieme se effettivamente gli ETF minaccino bolle apocalittiche oppure no.

(spolier alert: no. ma questa è una storia che racconteremo un’altra volta).

Dicevo Market Timing e Gestione del Rischio.

Prima di spiegarla in termini finanziari e con specifico riferimento ai nostri investimenti, provo a spiegarla con una metafora.

In pratica è come quando sei all’aeroporto Ngura Raj di Bali, in attesa di prendere il tuo aereo per tornartene a casa dopo le tue vacanze super instagrammabili in Indonesia e hai due ore di attesa.

Che fai?

Da che mondo è mondo ti colleghi al wifi dell’aeroporto e passi le due ore successive a scrollare il tuo social media preferito.

Cercare di prevedere che facendo questa cosa nessuno si intrufolerà nel tuo smartphone tramite la rete pubblica di un aeroporto nel sud est asiatico a cui ti sei attaccato per postare su Instagram le tue foto durante lo snorkling o fingendo di aver trovato l’illuminazione in qualche tempio per turisti che hai visitato, ecco, questo è l’equivalente del market timing. Come con il market timing, probabilmente farai qualche cazzata.

Indovina un po’ cosa è invece l’equivalente della gestione del rischio: non ci crederete mai, ma stavo giusto per dire che è utilizzare NordVPN, che proprio da oggi dà la possibilità di attivare il piano biennale Ultimate che include: NordVPN per connetterti in modo sicuro e anonimo da uno dei suoi 6.300 servere in 111 location, NordPass per la gestione di tutte le vostre password, Threat Proctection pro, che tra le varie cose vi avvisa se state per dare i dati della vostra Visa ad un finto sito e-commerce fraudolento e Nordlocker, per avere il vostro spazio crittografato in Cloud.

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[sospiro…] ah cosa non si fa per arrotondare a fine mese…

Ora che la vostra sicurezza informatica è a posto e sono più sereno, passiamo alla sicurezza finanziaria.

In estrema sintesi, Market Timing è qualunque decisione di investimento che si basi su previsioni, che presupponga che si possa conoscere il futuro a partire dai dati del presente e soprattutto che sottintende che chi la prende sia più smart del resto del mercato.

Parliamo invece di Gestione del Rischio ogni qualvolta invece una nostra decisione dovesse basarsi sull’idea di prepararsi all’ignoto, presupponga di non avere la più pallida idea di cosa accadrà in futuro e soprattutto che ammette che chi la prende non sia affatto più smart del resto del mercato.

Tutte le cose di cui parliamo qui a The Bull rientrano tassativamente in questa seconda categoria.

Non abbiamo la benché minima pretesa di prevedere alcunché nel futuro.

Non abbiamo idea di cosa accadrà nei prossimi anni sulla base delle informazioni che abbiamo oggi.

Non abbiamo l’assurda pretesa di considerarci mediamente più smart del resto del mercato.

Anzi personalmente penso di non essere neanche in linea con la media.

Non so una cippa, non so valutare una società, non ci capisco niente del mercato dei bond, delle valute o delle materie prime, non so un tubo.

Ed è soprattutto per questo che ogni decisione che prendo è mossa più dall’intento di essere “preparato al futuro” che non dalla pretesa di poter “prevedere il futuro”.

Caso mai non fosse chiaro.

Quali sono alcuni esempi di decisioni basate su market timing:

– UNO: basarsi sullo Shiller CAPE ratio, l’earning yield, il dividend yield, il Fed Model o qualunque altra metrica basata sulle valutazioni del mercato azionario è market timing, ossia implica di poter dedurre gli eventi futuri sulla base dei dati presenti, sulla scorta di alcune regolarità riscontrate nel passato.
La mia storia preferita, che racconto ad ogni pié sospinto, è che lo Shiller CAPE ratio nel 2014 aveva previsto un rendimento intorno al 4-5% per i 10 anni successi per l’S&P 500, che invece ha fatto più del 12%. Giusto per citarne una.

– DUE: basarsi su indicatori macroeconomici, come inflazione, disoccupazione, crescita del PIL, dati sulla produzione manifatturiera e sui consumi e così via per prevedere l’andamento futuro del mercato è market timing. Possiamo essere dei formidabili profeti e indovinare alla perfezione il corso che prenderà l’economia nei prossimi anni ma questo non ci darebbe comunque alcun vantaggio competitivo da sfruttare sui mercati. Economia e finanza sono due cose che vanno insieme nel lungo termine, ma nel breve sono una coppia di coniugi perennemente litigiosi, dove ciascuno sembra fare apposta a voler fare il contrario dell’altro, ma che per mille motivi non si separano mai e finiscono per condurre assieme il resto delle loro vite. Economia e finanza non si possono mai separare, ma pur restando assieme per sempre passano ogni giorno a muoversi in direzioni spesso antitetiche, così, giusto per il gusto dell’uno di rompere il ca**o all’altro.
E per questo motivo, fuori di metafora, prendere decisioni finanziarie (che dovrebbero anticipare il futuro) basate su informazioni di natura macroeconomica, che per definizione si riferiscono sempre al passato, è quasi sempre una pessima idea.

– TRE: basarsi su fattori geopolitici è Market Timing. Puntare sulla Cina (fino a qualche anno fa) perché la Cina dominerà il prossimo secolo oppure non Puntare sulla Cina (negli ultimi anni) perché la Cina ormai è fallita e il futuro è l’india o qualche altra cazzata del genere ha le stesse capacità predittive di scegliere su cosa investire puntando il dito a occhi bendati sul tabellone del Risiko. E io sto ancora aspettando che iShares o Vanguard facciano l’ETF sulla Kamchakta. Così come fare ragionamenti del tipo: in futuro ci saranno sempre più tensioni geopolitiche, quindi l’oro salirà, il dollaro scenderà, bitcoin dominerà il mondo o inserisci tu la previsione campata per aria a scelta che vuoi raccontarti.
Non si sa.
Nessuno lo sa.
E comunque se si sapesse sei già in ritardo.

– QUATTRO: basarsi sui cosiddetti Megatrend … oh madonna santa ma davvero c’è bisogno di dirla sta roba? Eh probabilmente sì, visto che ci sono decine di fondi che vendono grazie al fatto che hanno ste parole nel nome.
Avete presente? Intelligenza artificiale, energia pulita, robotica, ovviamente semiconduttori e compagnia bella.
C’è una contraddizione intrinseca nell’investimento in Megatrend. Se è già Mega — e se non lo fossero non lo chiamerebbero “Mega” — teoricamente i suoi prezzi dovrebbero già più che incorporare la “Megalomania”, quindi è molto difficile che siano davvero in grado, in futuro, di esprimere rendimenti soddisfacenti, perché nel momento in cui uno investe, i prezzi di questi trend hanno già scontato in abbondanza tutte le aspettative future su di essi.
Il mio esempio preferito è l’Ishares Global Clean Energy, un grande e storico ETF tematico sull’energia pulita. Dal 2010 ad oggi ha portato a casa un misero 32% contro il 360 e fischia % del più noioso MSCI World del mondo.
Onestamente: ne vale davvero la pena?

Il problema del market timing è che i rischi compaiono da tutte le parti.

– C’è il rischio di sbagliare di poco il tempismo dell’investimento, perdendosi magari grossi rendimenti estremamente concentrati nel tempo;

– C’è il rischio che certi trend non si verifichino mai. Mentre l’investimento in indici globali ha rendimento atteso positivo, quello in settoriali, tematici, trend o quel che volete non ha rendimento atteso positivo, rimane una pura scommessa sul futuro del tutto arbitraria;

– C’è infine, come dicevamo due episodi fa, l’amplificazione del rischio di sequenza. Con investimenti maggiormente volatili, i tempi di ingresso nel mercato incidono in maniera significativa sul mio rendimento come investitore rispetto al rendimento dello strumento in cui investo. Può quindi succedere di investire anche nella cosa giusta, ma con i tempi sbagliati, falcidiando il mio rendimento con l’inesorabile aritmetica del rendimento composto.

Un paio di settimane fa è uscito sul Financial Times un’intervista a sua eminenza Eugene Fama.

Per chi se lo fosse dimenticato, Fama (che date le chiare origini siciliane probabilmente è Famà) è il Premio Nobel padre della cosiddetta Ipotesi dei Mercati Efficienti.

In sintesi, se oggi esistono gli ETF è perché, semplificando un po’, Harry Markowitz ha inventato la teoria moderna del portafoglio e l’idea della frontiera efficiente, William Sharpe ha inventato il CAPM, il Capital Asset Pricing Model e Eugene Fama ha messo fondamentalmente un punto definitivo sul fatto che si possa battere il mercato sfruttandone in maniera sistematica le inefficienze nei prezzi. Poi John Bogle ha impacchettato tutto, ha creato il primo Index Fund nel 1974 e il resto è storia.

L’intervista sinceramente non è entusiasmante, ma leggere le parole di una leggenda vivente come Fama, che da pluriottantenne continua a svolgere la sua attività accademica all’università di Chicago, è sempre un’emozione.

Per farla breve, tra le varie cose gli viene chiesto se pensi ancora che i mercati siano efficienti, perché le tante aberrazioni a cui assistiamo quotidianamente sui mercati sembrerebbero far pensare il contrario.

Long story short, lui crede ancora che i mercati siano efficienti, nonostante le critiche di alcuni tra i suoi più autorevoli discepoli, come Cliff Asness di AQR, o comunque ritiene che sia efficienti quel tanto che basta per impedire sistematicamente a chi prova a battere i mercati di riuscirci.: nel lungo termine, lo sappiamo bene, il mercato continua ad avere la meglio sulla stragrande maggioranza degli stockpickers del mondo, siano essi scapestrati investitori della domenica o grandi hedge fund.

Due frasi di Fama, tra le tante sono straordinarie.

Una è molto vecchia, l’altra l’ha sfornata in questo articolo.

La prima è: “paragonerei gli stockpicker a degli astrologi, ma non vorrei offendere gli astrologi”.

La seconda è, in risposta alla domanda se davvero i mercati siano ancora efficienti: “se i prezzi fossero obiettivamente sbagliati, tu dovresti essere ricco”.

Ma ovviamente non sembra ci sia nessuno in giro in grado di arricchirsi sfruttando questi errori nei prezzi.

Ho messo in mezzo questi passaggi di Fama, un po’ perché l’articolo è uscito proprio un paio di settimane fa, e un po’ perché secondo me fornisce la chiave di lettura ideale per capire quanto poco sia sensato prendere decisioni di investimento focalizzate su Market Timing, che per definizione richiederebbe che i mercati siano inefficienti per funzionare, e quanto invece sia opportuno costruire il proprio portafoglio avendo la Gestione del Rischio come primo obiettivo da conseguire.

Ora, gestione del rischio non significa che uno deve pensare a minimizzare i rischi o in generale prendersi meno rischi possibile.

Gestione del rischio significa costruire un portafoglio che implichi, almeno in teoria, il giusto livello di assunzione di rischio PER ME, rispetto alle solite cose no? orizzonte temporale, obiettivi, tolleranza alla volatilità e via dicendo.

Rischio ha un’accezione negativa perché nella vita quotidiana parliamo di rischio ma intendiamo pericolo, mentre in finanza sappiamo bene che rischio ha un’accezione tendenzialmente neutra e può valere sia in negativo che in positivo.

Per esempio, se io investo in Tesla, il mio rischio consiste nel fatto che ho un’alta probabilità di perdere i miei soldi (potenzialmente fino a zero se Tesla fallisce) e una bassa probabilità di farne una montagna; in termini quantitativi, però, almeno a livello definitorio la componente negativa e quella positiva di rischio sono simmetriche.

Dico numeri a caso: se investo 100 e ho, che so, il 10% di probabilità di ritrovarmi con un decimo del mio investimento da una parte e dall’altro ho l’1% di probabilità di finire a 1000, quantitativamente i due scenari sono equivalenti.

Se però invece di investire in Tesla rischio di venire investito da una Tesla per strada, ecco in questo caso non c’è un rischio simmetrico.

Non è che ho un 10% di probabilità di rompermi l’osso del collo e l’1% di probabilità di vincere la Tesla.

Rischio è solo rischio di lasciarci la pelle.

Ok, erano già 10 minuti che non dicevo qualche minchiata, ora mi sento meglio.

Torniamo alla gestione del rischio finanziario.

La base è la costruzione di un’asset allocation coerente per noi e spesso abbiamo parlato di una formuletta per impostare un semplice portafoglio di Stock e Bond.

Ripetiamo, la formula propone di investire in azioni una % equivalente a 125 meno i propri anni meno i tassi di interesse della Fed moltiplicati per 5.

In questa formula ci sono due elementi di Gestione del rischio.

Il primo, chiaramente, riguarda il fatto di attenuare l’esposizione azionaria man mano che l’età avanza, per una serie di motivi molto semplici correlati tra loro.

Più invecchio, minore sarà il mio orizzonte temporale e quindi minore sarà la mia capacità di assorbire un’ampia volatilità del portafoglio.

Inoltre c’è da auspicare che a 50 o 60 anni avrò più capitale che a 20 o 30 e che quindi possano anche cambiare i miei obiettivi di investimento.

Quando ho 10.000 € investiti, voglio provare a ottenere l’8-10% all’anno di rendimento composto e far crescere il più possibile mio patrimonio.

Quando invece ho 500.000 €, magari ottenere il 5% all’anno diventa un obiettivo accettabile e diventa più importante per me preservare il capitale facendolo crescere in maniera moderata piuttosto che correre il rischio di accusare grosse perdite puntando a rendimenti superiori.

In realtà questo è tutto vero fino ad un certo punto.

Tra qualche settimana farò un episodio sul Retirement Portfolio, sul portafoglio, diciamo, per vivere di rendita, e ad oggi la maggior parte degli studi sull’argomento è più propenso a suggerire un cosiddetto V glidepath, cioè un percorso a V della nostra quota azionaria, che partirà alta quando siamo giovani, scenderà via via fino a toccare il picco minimo ad una decina d’anni dalla pensione e poi ricomincerà a salire.

Spiegheremo più nel dettaglio in quell’episodio il perché, ma la ratio è che il massimo di variabilità e vulnerabilità del patrimonio si ha proprio a ridosso della pensione, mentre paradossalmente a 70 anni, di solito con figli grandi che lavorano, mutuo estinto, meno incognite cui far fronte, torna ad aver senso far crescere l’esposizione azionaria di un portafoglio che tendenzialmente passerà in eredità alla generazione successiva.

Quindi, primo elemento di gestione del rischio è: adattare l’esposizione azionaria in base all’età e alle necessità che ciascuna fase della vita mi richiede.

L’altro elemento riguarda il fattore di correzione legato ai tassi di interessi.

Uno potrebbe rilevare che questa è un’indicazione di market timing, perché sembra dire: “investi in un certo modo o in un altro a secondo di un indicatore macroeconomico” come se questo fosse predittivo di una qualche futura performance del mercato.

Non è così.

Il senso di adattare l’asset allocation azionaria guardando ai tassi di interesse, e quindi indirettamente ai bond, ha proprio lo scopo di minimizzare i rischi del portafoglio, in particolare due.

– Il primo rischio è il rischio inflazione. Se ho tassi molto bassi, prossimi allo zero, il rendimento di un’obbligazione è dato tutto dalle sue variazioni di prezzo, ma non avendo praticamente cedole da pagare, il suo rendimento complessivo sarà piuttosto risicato. Dal 2009 al 2023, il rendimento del Bloomber Euro Aggregate Treasury, quindi obbligazioni governative europee, è stato inferiore al 2% all’anno e peraltro un PAC su quest’indice sarebbe stato leggermente in negativo dopo14 anni.
Motivo? Il motivo è che già loro rendevano quello che rendevano. Quando è scoppiata l’inflazione alla fine del 2021 e nel 2022 Fed e BCE hanno alzato i tassi ad una velocità che non si era mai vista nell’ultimo mezzo secolo, i prezzi delle obbligazioni sono crollate.
Quindi sovrainvestire sui bond con tassi bassi da una parte limita le opportunità sull’azionario, che di solito con tassi bassi tendono a correre, dall’altra espone ad un rischio alto di perdita a fronte di un rendimento piuttosto misero.

Questa cosa è più difficile con tassi d’interesse più alti.
Oggi i Fed Funds rate, in attesa del 18 settembre, sono ancora del 5,25%. Il tasso corrispondente della BCE è al 3,75%.
E’ chiaro che in questo scenario la situazione è ribaltata. Attualmente le obbligazioni pagano un interesse significativo in linea con i tassi di interesse e possono succedere due cose: a) se i tassi vengono tagliati, come si aspetta il mercato, il prezzo delle obbligazioni salirà; b) se invece dovesse esserci un rimbalzo dell’inflazione e le banche centrali dovessero alzare ulteriormente i tassi, allora i prezzi avranno un impatto negativo, ma questa volta, diversamente dal 2022, ci sarà l’interesse pagato delle cedole a compensare l’effetto (quanto? Dipende da quanto vengono alzati i tassi naturalmente).

– Il secondo rischio è invece quello di una sovraesposizione azionaria con tassi alti. Per definizione, più alti sono i tassi di interesse, minore sarà il premio al rischio dell’investimento azionario. Non è sempre vero che questa cosa si realizzi, ma tipicamente i tassi alti deprimono l’attività economica, con un impatto sugli utili e quindi sull’andamento delle azioni.
Questo non significa che riducendo la quantità di azioni in portafoglio il suo rendimento aumenti. Significa solo bilanciare il mio rischio sapendo che con tassi alti dovrò espormi ad una volatilità potenzialmente maggiore per provare a portare a casa un rendimento che in proporzione non è così alto.

Un esempio su tutti.
Negli anni ’80, caratterizzati da tassi iniziali molto alti e poi gradualmente scesi, l’S&P 500 ha fatto poco più del 16% all’anno, con una deviazione standard di 16,64 e un drawdown massimo del 34%. Insomma, performance stellare, ma montagne russe per stomaci forti — e ricordiamoci il Black Monday del 1987, -22% in un solo giorno.
Un portafoglio estremamente conservativo come un 40/60 avrebbe ovviamente reso meno, ma non così tanto meno. Avrebbe fatto 14,3% all’anno, comunque tantissimo, con una deviazione standard del 10,8% e un drawdown massimo del 13%.

E se cambio di poco il backtest e lo sposto avanti di un solo anno, quindi dal 1981 (anno di picco dei tassi americani al 19%) al 1990 invece che dal 1980 al 1989, il 40/60 avrebbe addirittura sovraperformato l’S&P 500.

Se io avessi avuto la mia età attuale nel 1981 la formula non si sarebbe potuta applicare perché veniva un valore azionario negativo, dato che i tassi al 19% sono stati un’anomalia tanto quanto i tassi a zero degli anni 2010.

Probabilmente nella formula dovrei mettere un cap con i tassi all’8% e dire “oltre l’8% fate sempre 8 * 5, anche se i tassi sono più alti”. Ma quando l’ho pensata ho dato per scontato che tassi a doppia cifra sarà difficile rivederli, considerato che il tasso medio storico è del 5,42%.
In tal caso il mio portafoglio sarebbe stato 47% azioni e 53% obbligazioni.

Avrei ottenuto un’ottima performance nominale è una volatilità decisamente contenuta.

Ho fatto alcuni backtest in cui confronto l’applicazione di questa regola con portafogli tipo quelli dei Target Date Funds, che riducono l’esposizione azionaria in base ai soli anni che avanzano, secondo la regola classica azioni = 100 — gli anni.

Ho fatto partire i backtest in vari momenti dagli anni ’80 alla fine degli anni ’90 e li ho condotti sino al dicembre del 2023.

Tornerò su questo argomento con maggiore dettaglio in un prossimo episodio, perché ho ancora un po’ di dati da mettere assieme e mi manca la maestria di Paolo Coletti con Python.

Però i risultati che sono emersi è che la regola di The Bull tende a sovraperformare la regola classica 100-anni.

I motivi potrebbero essere diversi e variare da periodo a periodo, ma l’idea che mi sono fatto è che questa regola offra in generale una migliore gestione del rischio, inteso in entrambi i sensi:

– Da un lato consente una maggiore esposizione azionaria durante fasi monetarie più espansive e una maggiore esposizione obbligazionaria nelle fasi più restrittive, in cui i bond tendono a produrre rendimenti significativi;

– Dall’altro riduce il rischio di una sovraesposizione azionaria in fasi a tassi elevati (come nell’esempio degli anni 80 che dicevo prima) o di una sovraesposizione obbligazionaria quando i tassi sono particolramente bassi, come molti di voi che avevano fondi obbligazionari all’inizio del 2022 forse sapete bene.

Io lo so che a tutti voi piacciono le azioni e che i bond fanno cagare a tutti, per non parlare degli ETF obbligazionari che non capisce mai nessuno.

Però, piaccia o non piaccia, anche se le azioni sono la nostra asset class preferita, il mercato finanziario che conta davvero, quello dei grandi, la champions league dei professionisti della finanza è quello obbligazionario.

Un po’ perché è grande almeno il doppio, in termini di capitalizzazione complessiva, del mercato azionario.

Un po’ perché il credito (e i bond altro non sono che emissioni di debito da parte di Stati e aziende per ottenere credito per mandare avanti le proprie attività) è ciò che muove l’economia.

È un po’ perché le obbligazioni hanno comportamenti più matematicamente coerenti rispetto alla schizofrenia delle azioni. Il loro andamento non è prevedibile, ma diciamo che rispondo a regole molto più stringenti.

Guardare alle obbligazioni è sempre una buona prassi se uno vuole cercare di capire in che stato si trova il mercato. Continuerà a non trovare informazioni utili per anticipare il futuro. Non serve per fare market timing e indovinare i momenti migliori per fare questa o quell’operazione.

Ma fornisce strumenti per una migliore gestione del rischio del proprio portafoglio.

La dico in maniera estrema e semiseria: “se vuoi capire qual è la quantità di azioni giusta, tra mille virgolette, per il tuo portafoglio, comincia a guardare i tassi di interesse e i rendimenti di titoli di stato, bond societari ad alto rating e high-yield”.

Quali sono alcuni spunti che se ne possono trarre?

– Come abbiamo detto, tassi alti o tassi bassi possono guidare l’asset allocation;

– Inoltre il rendimento a medio termine dei bond è maggiormente prevedibile a partire dai rendimenti attuali, cosa che invece non funziona per quasi niente se vogliamo applicarla alle azioni, dato che le valutazioni attuali in realtà ci dicono ben poco dei rendimenti futuri (con buona pace del CAPE ratio).

– Anche gli spread sono interessanti. Per esempio lo spread, ossia il differenziale dei rendimenti tra le obbligazioni investment grade e quelle high-yield è spesso utilizzato come indicatore della fase del ciclo economico in cui ci si trova.
E in particolare più che lo spread in quanto tale, la cosa interessante è la direzione in cui si muove. È noto per esempio che quando lo spread tende ad allargarsi, probabilmente si sta andando incontro ad una fase di rallentamento economico e possibile recessione. Quando invece lo spread tende a contrarsi, di solito questo accade nelle fasi di ripartenza e di crescita economica. Quando lo spread si allarga, quindi, di solito le obbligazioni performano meglio delle azioni. Viceversa, quando lo spread si contrae, avviene il contrario. Ora, è difficile sfruttare quest’indicatore in anticipo, che come tutti gli indicatori è tutt’altro che perfetto, però avere consapevolezza della fase del ciclo economico in cui ci troviamo.
Per esempio dall’estate del 2022 ad oggi c’è stata una chiara traiettoria discendente, che è combaciata con due anni eccezionali per le azioni.
Durante il sell-off di inizio agosto invece c’è stato subito un rialzo.
Monitorare nei prossimi mesi se lo spread tenderà ad allargarsi potrà essere indicativo del crescente livello di rischio del portafoglio e supportarci nelle decisioni che dovremo prendere.

Ora che ci penso forse dovrei modificare la formula di The Bull integrando anche lo Spread degli High Yield.
Me lo segno e magari più avanti torno da voi con una formula 2.0 sotto steorodi che include anche questo indicatore.

Il punto comunque, anche qui, non è sfruttare gli indicatori finanziari per prendere decisioni tattiche con il portafoglio, quando piuttosto prendere sempre maggiore coscienza di cosa accade agli asset in portafoglio in diverse circostanze e agire di conseguenza.

Questo non vuol dire che debba necessariamente fare qualcosa. Magari nei prossimi 5 anni non avrò minimamente bisogno di toccare il mio portafoglio e mi interessa il giusto che l’economia stia andando verso una fase di contrazione, piuttosto che di espansione.
Se invece dovessi trovarmi in una fase della vita in cui si prospetta maggiore incertezza, ecco, anche considerare questi fattori potrebbe aiutare nella corretta gestione del livello complessivo di volatilità del portafoglio.

Manco a farlo apposta ieri è uscito un articolo sul Wall Street Journal dal titolo “Una guida su perché dovresti investire in bond e perché no”. Tra le varie cose di cui parla, una cosa interessante è il fatto che un portafoglio tipo 60/40 tende ad avere una performance di medio termine, quindi 5-10 anni, molto vicina a quella di un portafoglio 100% azionario quando si verificano queste tre situazioni:

– I rendimenti dei titoli di stato sono superiori al 3% (e oggi ci siamo);

– I tassi di interesse stanno per scendere (e anche qui in teoria si comincia dal 18 settembre con il primo taglio della Fed); e infine

– La curva dei rendimenti si normalizza, che è quel che sta accadendo, con le scadenze lunghe che torneranno più redditizie di quelle brevi.

Quando ci sono questi tre fattori può aver senso considerare di aumentare la parte obbligazionaria rispetto a quella azionaria.

Sempre che sia di nostro interesse la performance del portafoglio nei prossimi 5-10 anni e che per noi comprimere la volatilità sia un tema.

Altrimenti, se il nostro orizzonte è realmente di lungo termine e siamo sicuri che di quel che succede in mezzo non ci importa molto, allora tutti questi discorsi diventano improvvisamente meno importanti.

Diciamo solo una cosa: attenzione, quando diciamo di avere alta tolleranza al rischio e un orizzonte di lungo termine è importante essere davvero sicuri di questa cosa. E molto spesso si tende a sovrastimare le proprie capacità di valutazione in tal senso.

Nel 95%, quindi entro le prime 2 deviazioni standard dalla media, le persone sovrastimano la propria reale tolleranza al rischio e sottostimano la variabilità della loro vita a medio termine.

La vita è cambiamento.

Che lo vogliamo o noi.

Che lo vogliamo o noi.

E sono soprattutto le cose inaspettate che, proprio in quanto inaspettate, di tanto in tanto stravolgono le nostre vite.

Nella vostra pianificazione non considerate solo le cose certe, probabili o possibili.

Considerate anche i cosiddetti unknown unknowns, ossia le cose che non sappiamo ancora di non sapere. Considerate un margine di sicurezza nella gestione del rischio del vostro portafoglio che faccia spazio alla possibilità che qualcosa di inaspettato possa capitare.

Quel che l’esperienza ci insegna è che le cose inaspettate, quelle che non ci erano mai accadute prima, accadono in continuazione.

E con questa riflessione sul senso della vita universale, ci avviamo alla chiusura anche di questo 140esimo episodio.

Spero che vi sia piaciuto e se invece siete rimasti quasi 40 minuti qui con me ad ascoltare una cosa che non vi è piaciuta, beh, che dire, grazie per avermi comunque dedicato il vostro asset più prezioso in assoluto: il vostro tempo.

E dopo tutto il tempo meraviglioso, per me almeno, che abbiamo passato insieme, altrettanto ne passeremo chiacchierando di nuovi argomenti nei prossimi episodi, tra cui cose assurde come investire in un portafoglio senza l’S&P 500, oppure le minacce degli ETF e chissà quali bolle si creeranno, il portafoglio per vivere di rendita e tanto altro ancora.

Nell’attesa del nostro prossimo raduno virtuale insieme, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, Apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che sono le nove di sera del giorno prima che questo episodio deve uscire e sono ancora qua a scrivere cretinate e va a finire che lo registro stanotte sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima per passare una nuova mezzora insieme costellata di dubbi e avara di risposte sempre qui, naturalmente, con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025
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