Novità sui Mercati e la grande Crisi che sta arrivando

Qualcosa sta cambiando sui mercati. Oggi parlamo della "stock rotation" in atto, della possibile rinascita del Value, di portafogli 40/60 e di una profezia terrificante da parte dell'hedge fund manager che fa soldi con i cigni neri.

Difficoltà
37 minuti
The Bull - No Thumb
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

126. Novità sui Mercati e la grande Crisi che sta arrivando

00:00

Risorse

Punti Chiave

Mercato in "Stock Rotation" da Growth a Value/Small Cap per inflazione e tassi.

Valutazioni di mercato (Shiller CAPE) suggeriscono approccio difensivo per il futuro.

Discussione portafogli 40/60 (bond) e l'invito al "Buy & Hold" di Spitznagel.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

Che forse stia succedendo qualcosa di nuovo sui mercati?

Che sta noia mortale delle magnifiche 7 e dei tassi higher for longer finalmente cominci a lasciare il posto a qualcosa di nuovo?

Che magari la tanto preannunciata peggior crisi azionaria di tutti i tempi sia finalmente iniziata, così tutte le cassandre di mezzo mondo saranno finalmente contente che al loro ennesimo tentativo di prevedere una catastrofe finanziaria ci avranno finalmente preso?

Tutto possibile naturalmente.

Come sempre.

Di solito non faccio episodi troppo legati a fatti contingenti, a parte il recap dei mercati che vi cuccate ogni primo episodio del mese, però oggi faccio mezzo strappo alla regola perché nell’ultima settimana mi avete scritto a dozzine per chiedermi cosa stia succedendo e perché improvvisamente i mercati dai loro massimi — e parliamo soprattutto di Stati Uniti — abbiano cominciato a crollar giù in maniera piuttosto fragorosa.

Cerchiamo allora di capire cosa sia successo in questi ultimi giorni ma con l’obiettivo di fare qualche riflessione più in generale.

In particolare, l’episodio di oggi toccherà i seguenti temi:

– TEMA NUMERO UNO: perché si sta parlando di Stock rotation e che implicazioni potrebbe avere sui portafogli;

– TEMA NUMERO DUE: quali ragionamenti si potrebbero fare sui portafogli gettando uno sguardo ai prossimi 5-10 anni e infine;

– TEMA NUMERO TRE: per quale motivo si sta cominciando a parlare di portafogli 40/60 invece del tradizionale benchmark 60/40.

Chiuderemo infine l’episodio commentando una recente uscita di Mark Spitznagel che, per chi non lo conoscesse, è il fondatore di un hedge fund chiamato Universa e per anni è stato partner di Nassim Taleb, quello del cigno nero.

Spitznagel l’ha toccata veramente piano in una recente intervista al Wall Street Journal, al quale ha detto che ci staremmo avvicinando al picco della peggiore bolla di tutti i tempi che potrebbe portare ad una crisi in cui il mercato azionario potrebbe perdere oltre il 50% del suo valore.

Oh, non l’ha detto Robert Kyosaki, qualche altro cialtrone che deve vendere corsi di trading o il gestore medio di fondi obbligazionari intervistato dal Corriere o dal Sole 24 ore.

L’ha detto un signore che, oltre ad essere specializzato proprio in eventi estremi e ad aver fatto soldi praticamente in ogni mega crisi dagli anni ’80 ad oggi, nell’agosto del 2015, durante una brutta giornata di borsa, brutta, ma neanche bruttissima, ha realizzato un miliardo di dollari di profitto shortando il mercato.

Sì.

Avete capito bene.

Un miliardo di dollari in un solo giorno.

2 milioni e mezzo di dollari al minuto, se consideriamo le sei ore e mezza in cui la borsa di New York è aperta.

Se lui e Nassim Taleb vedono nero, eh, non è che proprio la cosa non mi tocchi.

Però restate fino alla fine dell’episodio così capiamo cos’ha detto, qual è la sua visione e se conviene vendere tutto e scappare via.

Prima di fiondarci nell’episodio, però, visto che tra un po’ deo gratia si parte tutti per le vacanze via dall’afa che qua a Milano sembra di stare a Bankok, guarda un po’ che fortuna c’abbiamo proprio un nuovo sponsor fresco fresco apposta per voi che è Nord VPN!

E che è na VPN mi chiederete?

Va beh se non sapete cos’è non ve lo sto neanche a spiegare che sennò stiamo qui tutto l’episodio, sappiate solo che è uno strumento per andare su internet senza che nessun altro si faccia gli affari tuoi. Cioè è come se avessi la tua rete internet privata, dentro la rete internet a cui sei connesso. Un privé della connessione ad internet.

Non so, prenderai un aero quest’estate? Vorrai attaccarti al Wifi dell’aeroporto? Ecco sappi che le reti pubbliche sono meno sicure di quella di casa tua e che con una VPN i dati della tua carta di credito mentre stai comprando qualche scemenza su Temu nell’attesa dell’imbarco sono al sicuro belli criptati.

Sei ancora senza albergo e sui sito di booking i prezzi sono una fucilata perché ti colleghi dall’Italia e quelli sanno che gli Italiani sono avidi risparmiatori? Attacca la VPN, collegati da un altro paese, e spesso per la stessa cosa trovi prezzi migliori.

Insomma, se mi avete capito: bene, se invece non avete capito ma avete intuito che lo strano wifi a cui ti collegherai durante le tue prossime ferie a Bali potrebbe essere sicuro come le strade di Medellin ai tempi di Pablo Escobar, tanto basta: clicca sul link nella descrizione dell’episodio oppure usa il codice THEBULL e l’abbonamento a NordVPN è così scontato che tra un po’ sono loro a pagare te, per 2 anni, più altri 4 mesi sono gratis e in più ci sono fino a 20 giga in omaggio sulla loro Sim virtuale, così sempre mentre sei a Bali non ti costa un salasso ogni giorno la connessione con la tua rete cellulare perché ti eri dimenticato del roaming…

Poi se ancora non vi sarà chiaro cosa siano una VPN, la sicurezza informatica, la protezione dei dati, la privacy e tutte ste cose qua, va beh ve le rispiego quando tornate dalle vacanze.

Quindi NordVPN, link nella descrizione, vacanze serene, se ti abboni The Bull prende una commissione così continuiamo a sfornare episodi senza sosta anche ad agosto e siamo tutti contenti.

Fine del momento “portiamo a casa la pagnotta” e torniamo invece al nostro mercato turbolento.

Cominciamo a capire cosa stia accadendo.

Allora tutto è iniziato nella seconda settimana di Luglio quando, come di consueto, sono stati pubblicati i consueti dati mensili sull’inflazione americana.

Generalmente i dati sull’inflazione non se li cagava nessuno da 15 anni ma da quando è ritornata di moda nel 2022, sapete bene che è diventato il market mover per eccellenza.

Sorpresa sorpresa, tutti si aspettavano una crescita dell’inflazione dello 0,1% rispetto al mese prima e invece è arrivato questo colpo di scena per cui l’inflazione è invece scesa di uno 0,1%.

Da anno a questa parte, ad ogni buona notizia sull’inflazione il copione è sempre mercato che festeggia, magnifiche 7 che crescono ancora di più, ovviamente rendimenti delle obbligazioni che vanno giù e si sboccia come non ci fosse un domani.

A sto giro però è successo qualcosa di diverso.

I rendimenti obbligazionari sono andati giù e ok, questo per forza perché con inflazione più bassa il mercato a ricominciato ad essere fiducioso in almeno 2 tagli dei tassi, forse 3, entro la fine dell’anno.

Come sempre, tassi giù, rendimenti delle obbligazioni giù, prezzi su.

Sul mercato azionario abbiamo avuto invece un primo assaggio di quel che a tutti gli effetti sembra l’inizio di una Stock Rotation.

Che vuol dire Stock Rotation?

Vuol dire che molti investitori si sarebbero convinti che con un’inflazione che sta andando nella direzione giusta e la Fed che taglierà i tassi, allora sia arrivato il momento di alleggerire le posizioni sulle mega società tech, che ormai sono costosissime e hanno raggiunto valutazioni devastanti, portarsi a casa i profitti accumulati nell’ultimo anno e cominciare a reinvestire nei due grandi dimenticati del mercato dell’ultimo decennio: società value e small cap.

Il Russell 2000, infatti, l’indice delle società americane a piccola capitalizzazione, ha fatto un balzo di oltre il 13% in meno di una settimana, salvo poi indietreggiare di circa 3 punti.

Cmq da che era praticamente piatto da inizio anno, in una manciata di giorni ha fatto un balzo impressionante.

Discorso analogo anche per il resto del mercato non tech e meno legato alla filastrocca dell’intelligenza artificiale.

Se prendiamo l’indice Large Cap Value di Mornigstar, questo in una settimana è cresciuto di oltre il 3% mentre l’indice Large Cap Growth ha perso quasi il 4%.

Questo perché sulle mega big tech stanno pesando due fattori.

– Il primo è appunto questa rotazione dei portafogli che sta portando gli investitori a fare un po’ di sell-off, ossia a vendere un po’ di società che sono cresciute tanto per reinvestire in quelle più economiche e sottovalutate che potrebbero performare bene da qui in poi se effettivamente l’inflazione va giù e la Fed taglia i tassi.
Qual è il motivo?
Il motivo è che Microsoft, Nvidia, Google, Apple e compagnia bella hanno pozzi di miliardi di dollari in cash e sono praticamente insensibili al tema del costo del denaro.
Le società Value e ancora di più le small cap, invece, sono più sensibili ai tassi di interesse e se finanziare le proprie attività comincia a diventare meno costoso, allora gli investitori scommettono che le loro valutazioni saliranno.
Vero? Falso? Boh.

– Il secondo fattore si chiama Donald Trump. Ormai non c’è più nessuno che abbia il coraggio di mettere in dubbio che Trump sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Dopo l’imbarazzante performance di Biden durante il primo dibattito televisivo, che ormai ha una tale lucidità mentale che rischierebbe di perdere in una partita a memory contro una scimmia ubriaca, Trump ha avuto pure questo regalo dal cielo scampando miracolosamente all’attentato che gli è costato solo qualche punto sull’orecchio invece che rovinargli il suo platinatissimo scalpo.
La vicenda è stata scioccante ovviamente e, indipendentemente dall’opinione che si può avere su Trump, c’è davvero da tirare tutti un sospiro di sollievo che sia andata così.
L’assassinio di un candidato alla presidenza degli Stati Uniti Dio solo sa quale cataclisma avrebbe potuto innescare.
Comunque per lui è stato uno spot elettorale pazzesco, una di quelle cose che agli americani piacciono tanto, lui con la mano insanguinata che si rialza e sprezzante del pericolo urla fight e tutto il pubblico USA, USA.
Ci manca solo che settimana prossima si scopre che Trump di notte si mette un costume da pipistrello e va a sgominare i peggiori criminali d’America a mani nude e poi arriva direttamente Abram Lincoln dall’aldilà a dargli le chiavi alla Casa Bianca.
Come ampiamente nell’aria, domenica Biden si è ritirato dalla corsa e fatto il suo endorsement alla vice Kamala Harris, che nemmeno ai democratici sta troppo simpatica e che nessuno crede davvero che possa battere The Donald.

Comunque qual è il tema?
In pratica Trump ha fatto tutta una serie di dichiarazioni d’intenti che fanno pensare che applicherà pesanti dazi commerciali e mettendo addirittura in discussione la protezione americana di Taiwan, dove come noto vengono prodotti la maggior parte di tutti i chip globali. Questo ha mandato giù tutte le società che a vario titolo sono legati al mondo dei chip e dei semiconduttori. La nomina inoltre come suo vice di un altro mite personaggio come JD Vance, che non sembra affatto un simpatizzante di Wall Street, sta innervosendo i mercati.

Giusto per fare un esempio, il titolo delle meraviglie Nvidia, dal 10 al 19 luglio ha lasciato per strada oltre il 12%.

E le altre Magnifiche non se la sono passata troppo meglio: Meta -10%, Google -7%, Microsoft -6%, Apple -3,6%.

I tutto ciò si è verificata una cosa che non vedevamo da un pezzo, ossia la maggiore divergenza di performance dal 2020 tra l’S&P e il Dow Jones, che come sapete è composto da 30 società pesate per il prezzo della loro azione e non per la loro capitalizzazione, cosa che ha fatto sì che l’assenza di Nvidia nell’indice o il peso inferiore di Apple e Microsoft rispetto, ad esempio, al colosso assicurativo United Health, facesse andare su il Dow anche mentre l’S&P crollava.

Morale: dal 10 al 19 luglio l’S&P ha lasciato per strada oltre 2,5 punti percentuali, mentre il Dow è salito di un punto e mezzo.

Questo ci dà un assaggio di quanto pesante sia l’impatto di società come Nvidia sul mercato in generale.

Durante il solo 11 luglio, Nvidia ha lasciato per strada oltre 180 miliardi di dollari di capitalizzazione, praticamente l’intero valore di McDonald’s.

Dall’altra parte, con buona pace di tutti i teorici degli ETF che creano bolle perché fanno crescere solo le società grandi e non c’è più nessuno che prezza in base ai fondamentali le singole azioni, direi che in questi giorni abbiamo avuta una bella prova del contrario e del fatto che in generale il mercato continui a funzionare benissimo.

Insomma, un po’ per questa stock rotation che il Wall Street Journal ha definito di “historic proportion”, un po’ per la scommessa che un governo Trump sarà meno favorevole a queste società, il vento sul mercato potrebbe cominciare a cambiare.

Andrà così?

La settimana in cui uscirà quest’episodio, che sto registrando domenica 21, sarà nuovamente cambiato tutto di nuovo?

Chi può dirlo.

Intanto questi sono i fatti.

Resta comunque il tema che molti si stanno interrogando se effettivamente non stia per tornare il momento delle società Value dopo 20 anni che hanno presi sonori schiaffi dall’impetuosa crescita delle realtà Growth.

Secondo i calcoli di Morningstar, dal 2004 ad oggi l’indice delle Large Cap Growth è cresciuto di quasi il 650% contro il 392% dell’indice Large Cap Value.

Tradotto in termini annualizzati, fa quasi il 10% all’anno contro il 7%.

Vi ricordo che per ottenere il rendimento annualizzato bisogna fare la media geometrica, perché se invece fate 650 diviso venti viene un numero che non significa niente.

La media geometrica si calcola così: rendimento totale, elevato a uno diviso il numero di anni meno uno.

Finita la ripetizione lampo di matematica, che ci importa di sta roba?

Beh negli ultimi episodi abbiamo parlato spesso degli investimenti fattoriali e di come Value possa essere in qualche modo un fattore di diversificazione del portafoglio.

Tra l’altro su questo tornerà presto Nick Protasoni che ci farà la guida definitiva all’investimento fattoriale, sempre che riesca a tornare a casa dato che era in partenza proprio il giorno in cui l’aggiornamento di Crowdstrike sui sistemi di Microsoft ha mandato in tilt il traffico aereo di mezzo mondo.

Dicevo, a molti sta cominciando a tornare in mente l’idea di riconsiderare le società value, ossia società con minor aspettative di crescita, relativa stabilità, continuità nella distribuzione dei dividendi e soprattutto prezzo sottovalutato rispetto al valore contabile.

Per esempio il capo dell’area equity di Bank of America si è espressa apertamente a favore di una rotazione verso le società value, con particolare riferimento ai business non ciclici, come il settore farmaceutico, di quello dei consumi non discrezionali e delle utilities, sottolineando inoltre come nei prossimi anni si aspetta che i rendimenti possano arrivare più dai dividendi che non dall’apprezzamento del valore delle azioni, dato che in generale le valutazioni sono molto alte e che un ridimensionamento può ben essere messo in conto.

Sempre sulla linea di questi ragionamenti, mi sono imbattuto in un paper di Robeco, una nota società olandese di Asset Management, che conteneva alcuni spunti interessanti sulla possibile evoluzione del mercato azionario dei prossimi 5 anni.

Disclaimer neanche troppo necessario: Robeco è una società che vende portafogli gestiti, quindi chiaramente un paper che sostiene certe tesi che guarda caso avrebbero la loro soluzione proprio nei prodotti di Robeco richiede un po’ di filtro tra il contento oggettivo e quello più, diciamo, markettaro.

Al netto di questo, però, in effetti ci sono degli spunti che voglio condividere.

Il paper parte delle valutazioni attuali del mercato americano, misurate attraverso il solito Shiller CAPE ratio, ossia il rapporto tra prezzo e utile per azione degli ultimi 10 anni delle società americane aggiustato per inflazione, e si pone due domande:

– La prima è come ha inciso la crescita delle valutazioni rispetto alla performance degli ultimi anni;

– La seconda riguarda invece le prospettive future a seconda di come evolverà il CAPE ratio nei prossimi 5 anni.

Cominciamo con la prima.

Robeco fa i conti e tira fuori una formula simpatica andando a ritroso fino al 2009 e scopre che in media il rendimento annuo del mercato americano negli ultimi 15 anni ha seguito questa regola:

8,5% + differenza anno su anno del CAPE Ratio * 2,7%.

Facciamo un esempio che sennò non si capisce.

Se lo Shiller CAPE ratio dell’S&P 500 in un certo anno è 25 e l’anno dopo passa a, che ne so, 28, perché i prezzi delle azioni sono cresciuti di più degli utili per azione, allora in media il rendimento di quell’anno sarà:

8,5% + 3 (cioè la differenza tra 28 e 25) moltiplicato per 2,7%.

Risultato, faccio i conti io e se non vi fidate rifateli voi, 16,6%.

Al contrario, invece, se lo Shiller CAPE ratio si abbassa perché i prezzi vanno giù, e mettiamo che passa da 25 a 22, allora il rendimento di quell’anno sarà addirittura negativo dello 0,4%.

Il calcolo è: 8,5% – 3 (perché in questo caso facciamo 22 meno 25) moltiplicato sempre per 2,7%, che appunto fa 0,4%.

Al fondo del marzo 2009 il mercato aveva un CAPE ratio di circa 14, oggi è a 34.

Se facciamo tutti i conti viene fuori un rendimento medio annuo del 12%, che in effetti è in linea con quando ha fatto l’S&P lungo questi ultimi straordinari 15 anni.

Robeco però rileva che una versione “difensiva” del mercato, ossia un portafoglio che sottopesa i titoli tecnologici e sovrappesa il settore finanziario, quello healthcare e quello dei consumi di prima necessità, avrebbe seguito un andamento meno dipendente dalla variazioni anno su anno del CAPE Ratio.

In questo caso la formula del rendimento medio annuo diventa: 9,2% + differenza di CAPE ratio anno su anno per 1,2%.

E chissene frega di questa cosa e di Robeco potreste chiedermi?

Che tra l’altro se andiamo a vedere i loro fondi “conservative equity” che in qualche modo dovrebbero seguire questa strategia negli ultimi 10 anni si sono presi 3-4 punti percentuali all’anno di sottoperformance rispetto al benchmark.

Certo, se hanno ragione, l’aspettativa è che nei prossimi anni faranno il culo all’S&P 500, ma vatti a fidare…

Ad ogni modo, il secondo tema di Robeco è provare a proiettare cosa succederà nei prossimi 5 anni.

Loro dicono, oggi lo Shiller CAPE Ratio è a 34, facciamo 3 scenari per i prossimi 5 anni.

– Nel primo Scenario, il mercato continua a correre nella sua folle corsa irrazionale abbagliato dal sogno dell’intelligenza artificiale, magari sostenuto da inflazione in discesa e taglio dei tassi, e il CAPE Ratio arriva a 40, molto vicino alle assurde valutazioni del 2000 all’alba della dotcom bubble.

– Nel secondo Scenario le valutazioni scendono e il CAPE va a 30.

– Infine nel terzo Scenario le valutazioni regrediscono verso la loro media storica e vanno a 20.

Nel primo scenario, CAPE a 40 tra 5 anni, il mercato continua a fare l’11,6% all’anno, mentre la versione difensiva dovrebbe fare circa un 10,5%.

Nel secondo scenario, CAPE a 30, il mercato fa un più modesto 6,3%, contro la versione difensiva che farebbe un po’ più di 8%.

Infine nel terzo scenario, CAPE a 20, il mercato praticamente ristagna allo 0,9% di media annua mentre il portafoglio difensivo tiene botta con un 5,5%.

Allora, messa così è un no-brainer.

Non c’è nessun motivo per non scegliere un portafoglio difensivo, value oriented per i prossimi 5 anni.

Se le valutazioni salgono cmq vado bene, se scendono performo molto meglio del mercato.

E tutto ciò è comunque piuttosto in linea con tutte le proiezioni che vedono un rendimento mediocre per il mercato americano dei prossimi anni, con il segmento value destinato a far meglio dell’S&P in generale.

Certo, sempre che gli amici di Robeco abbiano ragione.

Per altri motivi mi sono imbattuto di recente in un articolo del Financial Times del 2015 e alcuni gestori di hedge fund dicevano che il mercato fosse sopravvalutato del 50%.

E magari avevano pure ragione, ma sta di fatto che in questi 9 anni l’S&P ha fatto più del 200% di rendimento.

Come dire, avranno pure avuto ragione, ma evidentemente al mercato non glie ne deve essere importato più di tanto.

E anche sul tema Value, sono almeno 15 anni che ogni anno si dice: “questo è l’anno del value”. E nel frattempo le aziende Growth hanno stramegaultradominato il mercato.

Come sempre, quando vi parlo di questi paper non è che vi sto dando dei suggerimenti.

Il mio scopo è solo dirvi: sappiate che ci sono persone smart e cazzute che la vedono in questo modo.

Il parere di chi vi parla, che non è né smart né cazzuto, è invece piuttosto irrilevante. Quindi prendete un po’ voi le decisioni che vi pare purché ci abbiate messo la vostra testa.

Dico solo una cosa.

Quando ho visto lo scenario tra 5 anni con CAPE Ratio a 40 mi sono detto, ammazza, 40 è pesante.

Solo nel 2000 è arrivato a quei livelli e il decennio che ne è seguito oggi lo chiamiamo il decennio perduto.

Sinceramente non mi attira molto come scenario.

Comunque, dai, mi sembra veramente impossibile che le valutazioni potrebbero davvero crescere così tanto.

Dai no, 40 è veramente impossibile.

Poi però riguardo la stima di Robeco nel caso in cui il CAPE arrivi a 40 nel 2029 ed è che l’S&P farebbe in media l’11,6% all’anno da qui ad allora.

Questa stima è incredibilmente vicina al conteggio che avevo fatto qualche mese fa e che ogni tanto vi ripropongo, circa il fatto che se l’S&P non farà almeno dall’11,6% all’anno in su fino al 2029 compreso, allora il trentennio 2000-2029 sarà stato il trentennio peggiore di tutta la plurisecolare storia del mercato americano.

Possibilissimo ovviamente.

Però messa giù così mi fa sembrare molto meno improbabile che questa cosa possa accadere.

In effetti ho più paura di quel che succederebbe dopo, a quel punto.

Se davvero arriviamo nel 2029 con un CAPE a 40, magari davvero il decennio 2030-2039 rischia di essere una nuova lost decade parte seconda la vendetta.

Però, va beh, nel caso ne parleremo intorno all’episodio 625 di The Bull, segnatevelo.

Ora, se uno volesse provare seguire lo spirito dell’idea di Robeco, senza comprarne i costosi fondi attivi con TER all’1-2%, cosa potrebbe fare.

Banalmente, esistono ETF fattoriali che sovrappesano il fattore Value.

Oppure esistono ETF semi attivi come l’Ossiam Shiller Barclays CAPE che abbiamo visto qualche episodio fa e che esiste sia nella versione US market che Global market.

Altre idee ancora sono ad esempio gli ETF con strategia multifattoriale, come ad esempio il celebre JP Morgan Global Equity Multifactor, che ha chiaramente una composizione settoriale in linea con quel che stiamo dicendo, con Healthcare, Beni di Consumo, Industria e Finanza sovrappesati rispetto alla componente tecnologica.

Qua però mi sentirei di fare una postilla.

Tutti questi discorsi sulla rotazione del portafoglio, vendi tech, compra value, il mercato azionario sopravvalutato ecc. sono sempre discorsi fatti da americani per americani, che nelle stragrande maggioranza dei casi non comprano granché al di là del loro amato S&P 500 (e dagli torto). Ok Robeco è olandese, ma qui il ragionamento è chiaramente focalizzato sul mercato americano.

In realtà, un europeo che, come noi, probabilmente investe in maniera più diversificata, la componente Value, difensiva, in qualche modo ce l’ha già.

Magari può solo valutare di incrementarla.

In fondo, se confrontato al mercato americano, tutto il mercato azionario dei paesi sviluppati è per definizione Value.

L’S&P oggi è per un 40% almeno composto da titoli che potremmo definire growth, visto il peso enorme che hanno i tecnologici (vi ricordo che le prime 10 società pesano ormai il 35% di tutto l’indice.).

Il suo price/earning ratio degli ultimi 12 mesi è intorno a 27 mentre il suo price to book value, ossia prezzo diviso valore contabile per azione, è quasi a 5, un numero alto sotto ogni punto di vista.

Se prendo l’MSCI ex US, quindi mondo sviluppato senza Stati Uniti, abbiamo un rapporto prezzi utili nettamente più basso, intorno a 15, e un price to book value poco sotto 2 (altro che 5).

E sempre lì siamo se prendo l’MSCI Europe.

Lasciando da parte i paesi emergenti, che hanno anche altre tematiche, i mercati sviluppati hanno strutturalmente questa componente value, almeno sulla carta, e questa cosa è riflessa nei prezzi nettamente più economici rispetto alle controparti americane.

Inoltre anche la composizione settoriale è più spostata verso settori difensivi.

Il settanta per cento dell’MSCI ex US è fatto dai settori Finanza, Manifattura, Consumi discrezionali, Healthcare e Consumi primari. Solo il 9% è in ambito tecnologico.

Idem l’MSCI Europe, con poche differenze.

Quindi se uno crede che effettivamente abbia senso sottopesare l’equity americano e il segmento growth in generale, probabilmente l’esposizione sugli altri mercati sviluppati incorpora già buona parte di questa visione.

Tutto ciò è piuttosto coerente con le stime a medio termine praticamente di qualunque istituzione finanziaria mondale.

Da Blackrock a Vanguard, da Amundi a JP Morgan a boutique come AQR, c’è un consensus piuttosto universale sul fatto che nei prossimi anni:

– L’azionario americano sarà quello meno redditizio, per via delle alte valutazioni, con stime tra il 3 e il 5% di rendimento nominale;

– L’azionario dei paesi sviluppati andrà meglio, tra il 6 e l’8%, e ancora meglio per i paesi emergenti, anche con rendimenti attesi del 9%;

– I Bond renderanno tra il 2,5 e il 4,5%, a seconda della tipologia.

Poi ogni società fa la sua stima, ma grossomodo vedono tutti grigio sull’America in particolare e sull’equity in generale e vedono invece bene la ripresa della parte obbligazionaria.

Prima di parlare di obbligazioni, però, c’è una cosa molto importante da precisare, che ho già detto in passato ma che merita di essere rimarcata.

Lo scenario base di tutte queste istituzioni finanziarie, nonché lo scenario base del mercato, è che il ciclo secolare di rafforzamento del dollaro stia giungendo al termine.

Oggi il dollaro è molto forte rispetto a tutte le principali valute.

Se pensate che nel 2008, subito prima del crollo di Lehman Brothers, un euro era scambiato a 1,57 dollari e oggi siamo a 1,09, capite che c’è stato un rafforzamento enorme del biglietto verde rispetto alla nostra valuta, per non parlare dello Yen o delle valute emergenti.

L’aspettativa oggi è che nei prossimi anni il dollaro vada ad indebolirsi per una serie di fattori su cui non ci addentriamo.

Questo comporta che un americano che investe, per esempio, in azioni dei paesi sviluppati ex US come l’Europa, avrà un beneficio supplementare derivante dal cambio favorevole, perché se io investo in asset denominati in altre valute, se quelle valute si apprezzano io ho un rendimento superiore (così come è successo a noi Europei negli ultimi 15 anni, che investendo sugli Stati Uniti abbiamo ottenuto dei rendimenti ancora superiori grazie all’indebolimento dell’Euro).

Giusto per fare un esempio, dalla fine del 2010 ad oggi un ETF europeo classico sull’S&P 500 ha reso un fantasmagorico 650%. Lo stesso ETF con copertura valutaria avrebbe fatto solo il 364%.

Certo, gli ETF con cambio coperto hanno anche dei costi supplementari da considerare.

Ma sicuramente non abbastanza da giustificare una frazione significativa di questi quasi 300 punti percentuali di differenza di rendimento.

Se nei prossimi anni ci aspettiamo invece un mercato americano sottoperformante e in più un dollaro che si indebolisce, il rischio è di ottenere esattamente l’effetto opposto.

Per questa ragione, sempre che si creda a queste stime che possono benissimo rivelarsi abbondantemente errate, sovrappesare investimenti in Euro potrebbe essere guidato da una doppia ratio: aumentare l’esposizione verso azioni più economiche e in settori meno tech-driven da un lato e ridurre il rischio degli effetti negativi di un indebolimento del dollaro dall’altro.

Come sempre, non è neanche lontanamente una raccomandazione di investimento, però sappiatelo, fatevi le vostre ricerche e piazzate le vostre scommesse signore e signori.

A proposito di bond che tornano ad essere interessanti per i prossimi anni, che poi è un po’ il leitmotiv di chiunque si occupi di gestione di portafogli, basta che dici “i bond di qualità sono una buona fonte di rendimento per i prossimi anni” ed è un po’ come parlar bene del presidente della Repubblica o di Roberto Baggio, nessuno contesterà mai.

Comunque in settimana ho letto un articolo su Morningstar US del Chief Investment Officer di PIMCO, che forse è una delle società di asset management più importanti al mondo nel settore fixed income, ossia obbligazioni.

Quindi che si sarebbe tratto di un articolo molto favorevole a spingere sulla quota obbligazionaria del portafoglio si era capito dalla prima riga.

Del resto, se vai dal macellaio non è che quello ti dice che dovresti mangiare più verdure no?

Se chiedi a PIMCO se sia il momento o meno di investire in bond è come chiedere le previsioni del tempo a uno che vende ombrelli.

Comunque la tesi del CIO di PIMCO è in linea con tante altre visioni conservative del mercato e sostiene che il portafoglio benchmark dei prossimi anni dovrebbe spostarsi dal canonico 60/40 ad un più conservativo 40/60, sovrappesando la componente bond che nei prossimi anni dovrebbe far bene, se non addirittura meglio dell’azionario.

C’è da dire una cosa, piuttosto condivisibile.

Se da una parte è veramente difficile stimare il rendimento futuro delle azioni, con un margine di errore abissale, nel caso dei bond è diverso perché tipicamente il rendimento iniziale di un bond o di un etf di livello investment grade con scadenza intermedia è una buona approssimazione del rendimento che puoi aspettarti in un orizzonte di circa 5 anni.

Se oggi investi in bond governativi europei con rendimento intorno al 3%, è ragionevole attendersi un rendimento del 3% da qui ai prossimi 5 anni.

Con un equity risk premium ai minimi storici, comunque lo si calcoli, è sicuramente un fatto che il rendimento azionario nel medio termine potrebbe non compensare adeguatamente la maggiore assunzione di rischio rispetto all’investimento in obbligazioni.

Almeno negli Stati Uniti, dove l’earning yield è intorno al 3,7, valore che si ottiene facendo l’inverso del price earning ratio. Oggi l’S&P è scambiato in media ad un prezzo che è 27 volte l’utile medio per azione delle sue società, quindi 1 diviso 27 fa circa 3,7%.

Il rendimento dei Treasury a 10 anni è invece superiore al 4%, quindi secondo questo ragionamento proprio il premio al rischio non esiste.

In realtà sappiamo che non è così semplice, perché nell’ipotesi di Robeco in cui i prezzi delle azioni continuano a salire l’earning yield diminuisce, ma il rendimento azionario sale comunque.

Ad ogni modo il signor PIMCO mette in guardia da una sovraesposizione azionaria — e a dire il vero anche Amundi, nel suo outlook 2024, fa più o meno lo stesso ragionamento — e spinge verso portafogli che sovrappesino i bond rispetto alle azioni.

Per cercare di alzare il rendimento medio di portafogli così composti, il CIO di PIMCO propone inoltre strumenti che investono in MBS, ossia mortgage Backed securities, che sono titoli di debito garantiti da mutui immobiliari, che per lui possono prevedere un rendimento medio del 6-7% all’anno.

Mmmhhh non lo so.

Ho iniziato ad appassionarmi di finanza nel 2008-2009, mentre il mondo crollava a pezzi sotto i colpi della Global Financial Crisis causata in buona parte da titoli derivati legati ai mutui immobiliari, non so se me la sentirò mai di mettere le mani su questa roba.

Chi invece nel 2008 ebbe un’intuizione che lo avrebbe consegnato alla leggenda è proprio Marc Spitznagel, il fondatore dell’Hedge Fund di Universa e partner di Nassim Taleb, di cui abbiamo parlato a inizio episodio.

Spitznagel fondò Universa nel 2007 e nel 2008 fece dei guadagni stratosferisci shortando il mercato durante la sua crisi più nera.

Lo stesso Taleb, che aveva pubblicato il Cigno Nero nel 2007, scriveva in tempi non sospetti che Fannie Mae, una delle due più importanti agenzie governative che erogano mutui, fosse letteralmente seduta su un barile di dinamite.

Sappiamo bene che Fannie Mae e Freddie Mec furono in effetti salvate d’urgenza dal neopresidente Barack Obama nel 2008 con centinaia di miliardi di dollari del governo federale.

Spitznagel e Taleb, abituati a fare i soldi sin dai tempi del black monday del 1987, fecero anche allora palate di quattrini, così come in successivi momenti di crash del mercato, non ultimo durante il covid.

Spitznagel è specializzato in una tipologia di investimenti molto complessi che si basano sull’utilizzo di opzioni put sull’S&P 500.

In buona sostanza, chi investe con lui perde soldi praticamente ogni anno, tranne quando c’è qualche grande shock che fa vincere dei jackpot enormi, come il miliardo di dollari guadagnato in un solo giorno nell’agosto del 2015 ricordato all’inizio.

Ora, quando ho letto sul Wall Street Journal che Spitznagel vede in arrivo una crisi senza precedenti, eh, un po’ di strizza me la sono presa nonostante la mia immunità nei confronti di qualunque previsione che si protenda oltre i prossimi 5 secondi.

Lui prevede una crisi epocale perché, oltre alle dimensioni a cui potrà arrivare la bolla del mercato con le sue altissime valutazioni, oggi rispetto al 2000 o al 2008 c’è un livello di indebitamento del governo degli Stati Uniti che renderà più difficile intervenire per salvare la situazione.

E quindi, che fare?

Diamo un tilt difensivo ai portafogli? Invertiamo la proporzione tra azioni e obbligazioni? Compriamo lingotti d’oro che non si sa mai? Compriamo opzioni put a nastro per proteggerci dalla prossima devastante e imminente crisi.

Ciò che alla fine mi ha rasserenato è che persino uno come Spitznagel sostiene che “Cassandras make terrible investors”, ossia che le Cassandre, coloro che sistematicamente predicono crolli del mercato, creano dei pessimi investitori.

La sua soluzione è la più semplice che ci si può immaginare.

Buy and Hold.

Se sei un investitore privato e non hai il problema di dover giustificare ogni anno l’andamento del tuo portafoglio, non fare altro rispetto che attenerti al tuo piano finanziario e alla tua asset allocation.

Continua ad investire.

Il mercato crollerà.

Magari pure di tanto.

E tu continuerai a comprare, solo a prezzi più convenienti.

E se anche ci sarà un nuovo decennio perduto, ogni lungo e ricco bull run della storia è cominciato a seguito di un ciclo negativo.

La statistica e la storia fanno pensare che nemmeno questa volta farà eccezione.

Per un attimo mi ero preso male, poi in effetti sono tornato in me.

Certo, se il mercato fa meno 50% è chiaro che per un po’ mi girerà il culo.

Però, tolta la componente emotiva, razionalmente ci sta e non sarebbe nulla di eccezionale.

Anzi, forse investire per un po’ di anni a prezzi più convenienti potrebbe essere la cosa migliore che ci potrebbe capitare.

E se dobbiamo vivere un decennio perduto, molto meglio che arrivi nella prima parte della nostra vita da investitori piuttosto che nella seconda.

Rischio di sequenza, ricordate no?

Bene, con questo mix agrodolce di previsioni di sventura e rassicurante invito alla pazienza, ci accingiamo a chiudere anche il nostro 126° episodio.

Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi fanno prendere una strizza mortale preannunciandovi la più grande crisi imminente della nostra epoca per poi ricordarvi che, come dice sempre sua maestà Warren Buffett, il mercato è solo uno strumento per trasferire soldi dagli impazienti ai pazienti sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con la guida definitiva al Factor Investing con la sapiente partecipazione di Nicola Protasoni, sempre qui naturalmente, con The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025
Facile.it
logo-scalable
logo-nordvpn
logo-fineco
logo-4books
logo-turtleneck
logo-datatrek
logo-ticketrestaurant