Perché il Rischio è positivo e la Profezia di Goldman Sachs

Goldman Sachs ha profetizzato che il rendimento dei prossimi 10 anni dell'S&P 500 sarà un mediocre 3% all'anno, battuto da Bond e Inflazione. Quanto c'è di affidabile in questa previsione, perché il Rischio è una componente positiva dell'investimento e quali sono 5 leggi da tenere a mente quando si investe.

Difficoltà
34 minuti
The Bull - No Thumb
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

154. Perché il Rischio è positivo e la Profezia di Goldman Sachs

00:00

Risorse

Punti Chiave

Le previsioni di mercato sono spesso fallaci; concentrati su una strategia d'investimento a lungo termine, diversificata e resiliente.

Prioritizza il risparmio costante come leva maggiore per la libertà finanziaria e sii immune ai "rumori" di mercato.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull — il tuo podcast di finanza personale

Per chi come me è nato tra gli anni 80 e 90, il cartone animato per definizione, cifra assoluta della nostra epoca è stato senza ombra di dubbio alcuno e possibilità di contestazione: I Simpsons. Per distanza, il migliore di tutti i tempi.

Con buona pace di chi di voi tirerà fuori qualche manga leggendario.

Mi spiace.

Simpsons Uber alles, sopra ogni cosa.

E chi come me ha visto decine di volte soprattutto le sue oltre 30 stagioni, saprà certamente che un momento iconico di ogni anno è lo speciale di Halloween.

Come nei Simpsons, oggi 30 ottobre non poteva mancare la puntata di Halloween The Bull! Con orrori dietro ogni angolo e minacce apocalittiche all’orizzonte.

Della vera minaccia apocalittica parleremo settimana prossima, visto che il 5/11, oltre ad esserci la presentazione del mio libro a Milano che comunque è fatto degno di nota, ci sarà l’election day negli Stati Uniti, quindi maratona d’obbligo per seguire dove ha messo la crocetta l’ultimo operaio del Michigan che deciderà quella che si prospetta una battaglia all’ultimo voto tra la pistolera Harris e il Flavio Briatore d’oltreoceano Donald Trump.

La maledizione invece è arrivata in settimana dalla Banca del Male, la più oscura e temuta entità di Wall Street, la mitologica Goldman Sachs, che ha conquistato le headlines, i titoli dei giornali di mezzo mondo — per motivi che francamente continuo a non capire — dopo aver fatto uscire un report apocalittico in cui si è permessa di profetizzare che l’onnipotente S&P 500, il dominatore assoluto dei mercati dell’universo da 15 anni a questa parte, nei prossimi 10 potrebbe far peggio che tenere i soldi comodamente parcheggiati in Treasury Bills a 3 mesi o in qualche conto corrente ad alto rendimento.

E si è subito scatenata una corsa a commentare quest’anatema lanciato da una delle più rispettate istituzioni finanziarie di questa Terra, cercando di capire se ci fosse del minaccioso vero in questo report (peraltro non disponibile al pubblico), o se invece quella mattina David Kostin, Chief US Equity Strategy di Goldman si è svegliato incazzato e ha pensato di bene di trasformarsi in una moderata Cassandra dei giorni nostri.

Da una parte, lo diciamo da 153 episodi, le previsioni di Wall Street sono uno spettacolare esempio di sistematici fallimenti. Non ci prendono praticamente mai. In entrambe le direzioni.

Ciononostante, continuiamo a parlarne come se avessero un qualche valore predittivo.

E io stesso sono qua a farci mezzo episodio su sta roba, shame on me.

Mezzo eh, perché come sentirete questa roba di Goldman mi serve da spunto per la seconda metà.

D’altra parte però, si sa che, per un motivo o per l’altro, when goldman speaks, people listen.

Non mi è chiaro il perché.

Probabilmente chi è dentro Wall Street sa che Goldman deve aver fatto qualche patto con il diavolo che le avrebbe dato un vantaggio competitivo, se non addirittura qualche potere divinatorio.

Ho appena visto la serie su Amazon sugli anelli del potere, il prequel del Signore Degli Anelli, e chi l’ha visto sa che già lì vengono introdotti i palantir, quelle palle nere che fanno vedere un possibile futuro, ma che non è mai chiaro se quel futuro sarà reale oppure un inganno di quel burlone di Sauron.

Nel signore degli Anelli, l’ex capo degli Stregoni Saruman il bianco, completamente sbroccato e in preda ad un mix di demenza senile e delirio di onnipotenza, all’inizio del primo film cerca di convincere il buon Gandalf ad allearsi con lui per servire il signore oscuro, certo della sua vittoria finale contro Elfi, Nani e Uomini come profetizzato dal suo palantir personale.

Me lo immagino così il CEO di Goldman David Solomon, mentre nel segreto del suo ufficio consulta il suo Palantir cercando di divinare i futuri eventi maligni del mercato.

Ci fosse un Gandalf a Wall Street lo avrebbe messo in guardia dal consultare le antiche pietre veggenti e sparare previsioni sull’S&P 500 a cazzo di cane, perché come disse nell’opera di Tolkien: “non si può mai sapere chi c’è dall’altra parte del palantir a guardare”.

Certo, mi immagino che David Solomon non sia sprovveduto come quel cogl***ne di Pipino, che nel terzo film usa il palantir e a momenti Sauron gli frigge il cervello.

Solomon avrà preso le sue precauzioni per scrutare i futuri piani del male senza interferenze.

Avrà usato qualche difesa tecnologica.

Che so, una specie di VPN che lo protegga da furti di dati, virus, phishing, pubblicità invasiva e oscuri signori di Mordor.

Tipo NordVPN.

Nel caso aveste anche voi un Palantir a casa o voleste semplicemente navigare indisturbati per il web in tutta sicurezza da qualunque angolo della Terra di Mezzo, www.nordvpn.com/thebull, con mega sconto visto che tra un po’ arriva il blackfriday , 4 mesi extra in regalo e Gandalf muto.

Come sempre trovate il link nella descrizione dell’episodio e ora che abbiamo allungato la vita a questo podcast con la parte sponsor, tuffiamoci a cercare di capire quanto sta previsione di Goldman deve interessarci e in generale come comportarci ogni volta che ci prende un po’ di strizza pensando ad un futuro fosco.

Long story short cosa ha detto Goldman.

I media l’hanno sintetizzata così:

– Nei prossimi10 anni l’S&P 500 crescerà di un misero 3% all’anno;

– C’è una buona probabilità che investire in azioni americane renderà meno che investire in titoli di Stato e addirittura

– L’inflazione potrebbe risalire in maniera significativa, al punto che l’S&P 500 non riuscirà nemmeno a starle al passo e di fatto produrrà un rendimento reale negativo.

Madonna, mi spiace aver solo due mani per fare gesti scaramantici.

Na tragedia proprio.

Ora, prima di buttarsi dal primo ponte che vi capita a tiro e iniziare a pensare “ecco lo sapevo! Non ho investito per 40 anni, adesso inizio e il mercato crolla!”, keep calm e andiamo a vedere cosa gli oscuri signori della finanza hanno detto e come altri invece hanno commentato, non senza un certo scetticismo peraltro.

I commenti più interessanti sono arrivati da Ed Yardeni, dello Yardeni Research.

Ed Yardeni non è esattamente l’ultimo pirla preso a caso, ma oltre ad aver lavorato per diverse banche e fondi, ha insegnato alla Columbia, è stato membro delle Federal Reserve di New York e ha lavorato per il ministero del Tesoro americano.

Il suo istituto è molto accreditato e spesso alle analisi che vengono pubblicate, come in questo caso, partecipa anche Eric Wallerstein, uno dei più esperti giornalisti del Wall Street Journal soprattutto in materia di bond e tassi d’interesse.

Ora, puoi avere il curriculum più spettacolare di questa Terra e dire comunque un sacco di stronzate, questo è pacifico.

È un classico bias dire: “uno con un background del genere deve avere ragione per forza”.

Al contrario, un emerito cazzaro può dire mediamente solo cretinate e ogni tanto imbroccare la verità.

Tuttavia, Yardeni e i suoi di solito parlano più numeri alla mano che non sulla base di sentimenti di pancia.

Quindi quel che hanno detto secondo me merita attenzione.

Allora ascoltate un attimo, sentite cosa hanno detto Yardeni e Wallerstein e proviamo a riportare la maledizione di Goldman entro confini ben più ristretto dello spazio che invece si è conquistata in questa settimana.

PRIMA COSA: Goldman non ha detto che l’S&P farà 3% nei prossimi anni, ma che il range di probabilità che sta tra il 25° percentile e il 75° percentile va da -1% all’anno fino a +7% all’anno.

3% è quindi la media tra -1 e 7.

Capite che tra -1 e 7 fa una differenza esorbitante.

Investite 200 € al mese nell’S&P per dieci anni e il risultato finale va da 23.000 € a 35.000 €. Na bella differenza.

I risultati compresi tra il 25° e il 75° percentile sono quelli compresi entro 2 deviazioni standard dalla media, ossia Goldman dice: c’è un 95% di probabilità che il rendimento dei prossimi 10 anni sia compreso tra -1% all’anno a +7% all’anno.

E grazie al cazzo mi verrebbe da dire.

È un po’ come se dicessi: c’è un 95% di probabilità che domani piova o ci sia il sole. Probabilmente non ci saranno né 30° né una glaciazione continentale.

Utile.

Però per qualche motivo io non finisco sulle headlines di CNBC, Bloomberg e compagnia bella.

Ricordiamoci però una cosa prima di proseguire.

Diversamente dal meteo, dove la statistica funziona benissimo, in finanza la distribuzione delle probabilità ha le cosiddette “code grasse”, Fat Tails in inglese.

Questo è un concetto super caro a Nassim Taleb e in pratica vuole semplicemente dire: gli eventi estremi, in finanza, capitano molto più spesso di quel la probabilità direbbe.

Per fare un esempio.

Quando il 5 Agosto, come dimenticarlo, il Nikkei è crollato del 13% in giorno, ecco, quella roba non era mai capitata e la probabilità che si verificasse era stimata in 10 deviazioni standard.

10 deviazioni standard vuol dire 1 volta ogni 40 miliardi di anni e guarda te che sfiga, è successo proprio durante il mio primo giorno di ferie!

Quindi va bene che Goldman dica al 95% tra -1 e 7, ma in realtà quel 5% che resta non è così improbabile come sembra.

Sia in negativo che in positivo naturalmente.

Yardeni cosa dice.

Secondo lui persino la stima più rosea di Goldman, 7% all’anno, è trooooppo conservativa.

La sua migliore stima da qui al 2034 è 11% all’anno.

Oh, guarda un po’.

La stessa che, per altre vie, aveva ipotizzato mesi fa il vostro strampalato podcaster di finanza personale.

Adesso solo perché uno ha insegnato alla Columbia e ha lavorato alla Fed allora è più autorevole di me anche se diciamo le stesse cose… mah… vai capire…

Scherzi a parte, comunque, il mio era un ragionamento statistico.

A inizio anno dicevo: se l’S&P non fa in media tra 11 e 12% all’anno fino al 2029 compreso, il primo trentennio di questo millennio sarà stato il peggiore della storia del mercato americano, peggio di quello che comprendeva la grande depressione e la seconda guerra mondiale.

Non mi ero spinto fino al 2034, grazie Yardeni per aver allungato la mia speranza.

Perché dice 11%?

Semplicemente perché sarebbe un risultato in media con la performance di lungo termine dell’S&P 500, a maggior ragione vista la robusta crescita del pil americano, la bassa inflazione e la previsione di utili in crescita delle principali società.

Il 3%, per Yardeni almeno, sarebbe mooolto strano.

Lui dice: gli utili per azione, che sono il principale driver di crescita del mercato, sono cresciuti del 6,5% all’anno in media nella storia.

Ammettiamo che rallentino un po’ e vadano a 6%.

Perché l’S&P cresca solo del 3% all’anno servirebbe che nei prossimi 10 anni le valutazioni crollassero della metà del loro valore attuale!

Questo forse non si è capita tanto.

Provo a rispiegarla in modo più semplice.

Come avevamo spiegato anche in passato, cosa determina la crescita del mercato azionario?

3 fattori:

– Gli utili per azione

– I dividendi e

– La differenza nelle valutazioni, cioè nel rapporto tra i prezzi delle azioni e gli utili per azione, il solito price earning ratio.

John Bogle aveva introdotto questa semplice formula per cui il rendimento del mercato azionario si può intendere come rendimento da dividendo PIU’ (o meno) crescita dell’utile per azione PIU’ (o meno) la variazione tra prezzo e utili.

Se per esempio l’S&P 500 ha un dividend yield del 2%, gli utili crescono del 5% e la variazione tra prezzi e utili è del 3% all’anno, allora abbiamo 2+5+3 = 10%

Yardeni dice: ignoriamo i dividendi per semplicità, come se il rendimento da dividendo per i prossimi 10 anni fosse 0.

Se gli utili per azione crescono del 6%, perché la crescita annualizzata dell’S&P 500 nei prossimi 10 anni sia 3%, serve che le valutazioni si riducano del 3% all’anno.

Complicatissimo calcolo matematico: 6 — 3, prendo un attimo la calcolatrice, sì, fa 3.

Chiaro?

Il che però sarebbe strano perché avremmo solidi guadagni, valutazioni molto economiche, ma nessuno che investe in azioni.

Certo, tutto ciò regge se è vero che per i prossimi 10 anni le aziende continuano a produrre utili crescenti.

Se non succede perché in mezzo capita qualche macello crolla giù tutto il discorso.

E questo è il primo punto.

In base a cosa però Goldman vede mediamente nero per il futuro?

In base al fatto che le valutazioni, come abbiamo già detto fino alla nausea, sono molto molto alte negli Stati Uniti.

Abbiamo un forward p/e ratio, ossia un rapporto tra prezzi e utili attesi dei prossimi 12 mesi di 22, più alto è stato solo nel 2021 e nel 2000.

C’è un però.

A volte si considera un indicatore suggerito da sua maestà Warren Buffett, che è il rapporto tra prezzo e fatturato dei prossimi 12 mesi, il price to sales ratio.

Per buona parte dall’inizio del 2000 al 2016 grossomodo, il price to sales ratio e il price to earnings ratio sono andati abbastanza di pari passo e più o meno il rapporto era uno a dieci.

Cioè quando il rapporto prezzo fatturato era intorno a 1,5, il rapporto prezzi e utili era intorno a 15 e così via.

Oggi invece abbiamo una situazione in cui il rapporto prezzo/fatturato atteso è al record storico assoluto, 2,9.

Cioè per ogni azione, in media, pago 3 volte il fatturato per azione.

Da questo punto di vista, il mercato è veramente caro.

Ma in confronto a questo valore, il rapporto prezzi utili di 22, non è poi così alto.

Se avesse rispettato il trend del passato, dovremmo essere intorno a 29.

Questo cosa significa?

Significa che negli ultimi 4-5 anni soprattutto i margini di profitto delle grandi aziende americane è aumentato.

Cioè a parità di fatturato, fanno più utili.

E questa ridimensiona un po’ la percezione di sopravvalutazione del mercato.

Sì è caro, ok.

Però gli utili generati, soprattutto dalle megatech, sono enormi.

E questo molto diverso da quel che succedeva a inizio 2000, quando invece le realtà super gonfiate del tempo di utili a volte manco ne producevano.

Inoltre le stime sugli utili complessivi dell’S&P 500 di quelle realtà innovative di inizio 2000, pesavano per meno di un quarto, mentre oggi il contributo sulla stima degli utili dei prossimi mesi da parte delle realtà Tech americane pesa per oltre un terzo.

Cioè oggi le realtà che vengono dette “sopravvalutate” sono anche i principali contribuenti alla generazione di ricchezza del mercato azionario.

In generale comunque Yardeni pensa che questo trend possa proseguire perché le condizioni sembrano favorevoli.

Dicevamo: crescita del pil come non si vedeva dagli anni ’90, inflazione ormai anestetizzata al 2% e — tra l’altro — Fed che sembra intenzionata a ridurre gradualmente i tassi d’interesse, riducendo quindi i costi di finanziamento delle imprese, liberando risparmio per i consumatori e in generali favorendo così gli utili.

Qual è la conclusione di Yardeni e Wallerstein?

In pratica, salvo un evento catastrofico ad oggi non prevedibile, come una guerra su larga scala, un’altra pandemia o dio solo sa cosa, è lecito ipotizzare un 11% all’anno composto in questo modo:

– Utili per azione che crescono del 6% all’anno;

– Dividend yield che resta intorno all’1%;

– Crescita delle valutazioni di un altro 4% all’anno.

Certo di sto passo arriveremo tra 10 anni con un rapporto tra prezzi e utili a 37, spaventoso secondo ogni benchmark storico.

Però se gli utili sotto tengono, alla fine tutto ha senso, a maggior ragione se le grandi aspettative sull’intelligenza artificiale e sul suo contributo alla produttività in generale non resteranno disattese.

Ora, non è che Yardeni dice che la maledizione di Goldman non possa realizzarsi.

Dice solo che i due motivi principali, valutazioni elevate e concentrazione del mercato, non necessariamente portano alla tragica conclusione di Goldman.

Se invece di spaccare il capello ad ogni singolo dato facciamo invece una cosa più semplice, di natura statistica, potremmo chiederci quante volte è successo in passato che l’S&P 500 crescesse del 3% all’anno, o meno, per un decennio.

Fondamentalmente è successo in meno del 10% dei casi, presi tutti i blocchi da consecutivi di 10 anni dal 1928 ad oggi.

I tre momenti principali in cui si è concentrata questa situazione particolarmente sfigata sono stati:

– I decenni che hanno girato attorno al 1929 e alla grande depressione

– I decenni che grossomodo includevano la prima metà degli anni 70 e infine

– Il decennio perduto, 2000-2009 e quelli immediatamente attaccati (tipo 99-2008 o 2001 2010).

In tutti e tre i casi sono serviti dei mezzi disastri.

Cioè perché succeda una cosa del genere, non basta guardare le valutazioni e la concentrazione.

Serve un evento esogeno.

Serve uno shock sistemico di portata epocale.

Non che non possa succedere, ma una cosa del genere per definizione non può rientrare in una previsione.

Anche le altre due tesi di Goldman, che sono una conseguenza della prima ossia che le obbligazioni renderanno più delle azioni e che pure l’inflazione crescerà di più, sono sicuramente possibili ma, anche, qui serve una combinazione di fattori sfigati non da poco.

Quante volte investire per 10 anni in azioni è risultato meno conveniente che in titoli di Stato a 10 anni?

Ovviamente confrontiamo l’S&P 500 con i Treasury a 10 anni.

È successo solo il 17% delle volte, meno di un quinto.

Se poi allarghiamo l’orizzonte e guardiamo i 20 anni, c’è un 99% di probabilità che le azioni facciano meglio delle obbligazioni.

Negli Stati Uniti, giusto per la cronaca, dal 1989 al 2008, in effetti i Treasury decennali hanno reso circa 8,5% all’anno contro poco più dell’8% dell’S&P 500.

Comunque c’è di peggio nella vita e stiamo includendo il peggior decennio del dopoguerra.

In generale possiamo dire che il mercato ha attraversato 6 grandi macrocicli, in cui si sono alternati momenti molto positivi a momenti molto negativi.

Dal 1928 al 1941 è stato un disastro. Il rendimento reale al netto dell’inflazione è stato praticamente 0.

Dal 1943 al 1965 invece c’è stato un boom pazzesco, con un rendimento reale del 12,5% all’anno.

Un nuovo periodo da dimenticare è stato il 1966-1981, quando l’iperinflazione ha ammazzato i rendimenti reali azionari, portandoli ad un misero -1% all’anno per 15 anni.

Il nuovo boom c’è stato invece dal 1982 al 1999: 15% di rendimento reale annualizzato. Una cosa che temo nessuno di noi vedrà mai più nella vita.

2000-2008, manco a dirlo, la madre di tutti i disastri: -6,1% reale all’anno per 9 anni.

E poi l’infinito bull market che stiamo ancora vivendo iniziato nel 2009: 11,3% di rendimento reale all’anno.

Questo cosa significa, che il prossimo ciclo sarà un disastro?

Sicuramente sì.

Il problema è che non c’è assolutamente modo di sapere quando inizierà.

Potrebbe essere nel 2025, nel 2030 o nel 2040.

Prima o poi arriverà e magari in mezzo avremo qualche brutto anno passeggero come il 2022.

Ma non sappiamo quando il prossimo ciclo dannato si abbatterà su di noi.

E dicendo questo però passiamo alla parte pratica dell’episodio, quella in cui in parte ribadiamo, in parte riformuliamo, in parte magari pure introduciamo alcune LEGGI UNIVERSALI del buon investitore che andrebbero costantemente ricordate, perché appena te ne dimentichi una, sì, proprio tu che mi stai ascoltando, poi inizi a fare cazzate.

La maledizione di Goldman, la prospettiva di un futuro 15ennio disastroso o qualsiasi altra profezia agiti i vostri sonni fanno tutte quante parte del gioco.

E questo gioco si chiama: se vuoi prenderti il premio dell’investimento a lungo termine in azioni, mi spiace, ma ti cucchi pure il rischio.

Come avevamo già detto nell’episodio 99 sul paradosso del premio al rischio, il rischio è una componente fondamentale dell’investimento.

Anzi, il rischio è proprio necessario.

Nel momento in cui il rischio dovesse venir rimosso dalla struttura dell’investimento, con esso verrebbero meno anche i rendimenti e quindi in generale tutto il beneficio di fare quel che tutti noi stiamo facendo.

Il punto quindi non è cercare di schivare i colpi e proteggersi da ogni rischio possibile e immaginabile.

Non si può fare.

Il punto è stamparsi nell’anima queste 5 leggi che adesso vado ad enunciare per avere con il RISCHIO lo stesso rapporto con la vostra dolce metà: sì ogni tanto vi fa incazzare e le litigate peggiori le fate con lui o lei. Ma in fondo sapete che l’amate e che rende la vostra vita migliore.

PRIMA LEGGE: la Strategia è più importante della Tattica.

Chi gioca a scacchi — e io gioco ma, a scanso di equivoci, sono una pippa, non ho mai superato i 1.200 punti Elo — dicevo chi gioca a scacchi sa che la differenza tra una partita amatoriale — come quella che potrei giocare io contro un’altra pippa — e una tra Grandi Maestri è che nella partita amatoriale si vince a colpi di Tattica; cioè si catturano i pezzi, si passa in vantaggio e ad un certo punto si fa scacco matto.

Tra Grandi Maestri le partite non finiscono neanche lontanamente nei pressi di uno scacco matto. È praticamente impossibile che un Grande Maestro perda un cavallo o un alfiere. Persino un pedone.

Le lunghissime e noiosissime partite tra grandi maestri sono una lenta implementazione progressiva della propria strategia finalizzata a guadagnare un minuscolo vantaggio competitivo, raggiunto il quale l’altro tipicamente abbandona, sapendo che da lì alle successive 100 mosse finirebbe per perdere.

Quando si investe, dovete avere in mente l’approccio del grande maestro di Scacchi. La strategia, che fuori di metafora è la combinazione la pianificazione degli obiettivi della nostra vita, la nostra tolleranza al rischio e l’asset allocation del portafoglio, è ciò che nel lungo termine vincere.

Fare operazioni di breve termine, finalizzate al guadagno immediato o al vano tentativo di fare dentro e fuori dal mercato per “proteggersi” dai suoi rischi, ecco questa è tattica.

Siccome però investire equivale a giocare un’unica lunghissima partita a scacchi a cui partecipano tutti i giocatori del mondo, compresi tutti i maestri e grandi maestri, pensare di vincere quella partita puntando sulla tattica è una follia.

Nel suo libro Winning the Losers’ Game, Charles Ellis spiega la stessa cosa con la metafora del tennis.

Tra due giocatori normali vince chi fa più punti.

Tra due campioni, vince chi ne perde di meno.

Tutto quello che racconto in questo podcast due volte a settimana da un anno e mezzo va in quest’unica direzione. Ragionare insieme a tutti voi su come costruire la propria migliore strategia senza la pretesa di “battere” il mercato a colpi di tattica.

Ogni volta che vi viene la tentazione di pensare che voi potreste essere tra quel ristretto numero di eletti dotati di competenze superiori e in grado, per esempio, di selezionare le azioni vincenti del futuro, ricordatevi di uno dei più importanti paper scritti dai tempi di Markowitz, Sharpe e Fama, ossia “Do Stocks outperform Treasury Bills?” di Hendrik Bessembinder.

Delle oltre 28.000 società che si sono quotate nella storia del mercato americano, quasi il 60% di loro non ha reso neanche tanto quanto i Bills, cioè i titoli di stato a tre mesi.

Mentre solo un migliaio, circa il 4% del totale, è responsabile del 100% della ricchezza creata dal mercato azionario.

Ma forse il dato ancora più clamoroso è che metà di questa immensa produzione di ricchezza deriva dal contributo di appena 72 società.

72 su 28.000, lo 0,25%.

Questa grossomodo è la vostra probabilità di indovinare la prossima Nvidia o la prossima Netflix.

Il mercato è imprevedibile ed è pieno di situazioni estreme come queste.

Concentratevi sulla strategia, bilanciate il rischio con le esigenze della vostra vita e rinunciate a qualunque altra operazione che pretenda di fare meglio di così, perché probabilmente avete il 99,75% di probabilità di fare più danni che altro.

Come a volte si dice “l’ottimo è nemico del bene”.

Un semplice portafoglio ben impostato il più delle volte è tutto ciò che serve.

Se volete una prova di questo, negli ultimi 15 anni un 60/40 ha più che doppiato la performance media degli hedge fund che usano complesse strategie long/short.

SECONDA LEGGE: Se non sapete da dove partire, c’è la Regola di The Bull.

Investi in azioni una percentuale del portafoglio equivalente a 125 — i tuoi anni — i tassi della Fed per 5.

Non è l’unico metodo.

Un altro ancora più semplice è la formula di Harry Brown: investi in azioni una percentuale equivalente a 2 volte e mezza la massima perdita che puoi sopportare.

Non vuoi perdere più del 20%? Massimo 50% in azioni.

Sei disposto a perdere anche più del 40%? Allora anche 100% in azioni.

E così via.

Questa regola ha senso.

Ma la regola di The Bull, perdonatemi, è un filo più raffinata.

E la storia sembra dargli ragione.

Se prendiamo le varie fasi in cui tassi di interesse sono stati molto bassi, diciamo sotto al 2%, medi, tra il 3 e il 5%, e alti, sopra il 7%, salta fuori una statistica apparentemente strana, ma se ci pensiamo coerente.

Le azioni hanno performato meglio nei due estremi, ossia: tassi molto alti e tassi molto bassi e peggio nelle fasi a tassi intermedi.

Con i tassi molto bassi è chiaro: i bond non rendono nulla, i tassi bassi stimolano l’economia, le azioni volano.

Ci ho messo un po’ a capire perché anche con tassi sopra il 7% le azioni sono andate bene. Probabilmente il motivo è i periodi con tassi alti sono stati quelli in cui era terminato un ciclo rialzista, l’inflazione era calata e il mercato cominciava a scontare una discesa dei tassi.

Quando i tassi sono a metà strada, invece, il mercato ha reso meno perché probabilmente è stato proprio in quei periodi che si è vissuta incertezza, risalita dell’inflazione, aumento dei tassi e insomma tutte quelle cose che alle azioni non piacciono.

Come risponde la formula di the bull a questi tre scenari?

– Perfettamente in quello a tassi bassi, suggerendo di sovrappesare le azioni e ridurre i bond;

– Altrettanto bene in quelle a tassi intermedi, riducendo l’esposizione azionaria e aumentando quella obbligazionaria;

– E con tassi molto alti? Sembrerebbe fare cilecca in questo caso. In realtà no. Perché con tassi molto alti e quindi generalmente destinati a scendere i bond danno il meglio di sé. E quindi la formula di The Bull, in quei casi porta in media al conseguimento di buoni risultati con una frazione del rischio.
Per esempio dal 1981, anno di picco dei tassi Fed, al 1994, fine della discesa praticamente ininterrotta dei tassi, un portafoglio 60/40 avrebbe reso praticamente tanto quanto un 100% azionario, ma chiaramente con un miglior risk-adjusted return.

Anche qui, non si tratta di prevedere niente.

Semplicemente di gestire il rischio mantenendo un approccio coerente con il contesto di mercato in cui ci troviamo.

Oggi i Fed Funds rate sono al 4,83%.

Teoricamente ci troviamo quindi in quella fascia meno esuberante per le azioni.

Ma in media il rendimento a 10 anni dell’S&P 500 con i tassi fed tra il 3 e il 5% è del 7,5%.

Non il massimo, ma pur tuttavia meglio del miglior scenario di Goldman.

TERZA LEGGE — e questo è uno dei miei grandi cavalli di battaglia: possiamo star qui a spaccarci la testa sulla microottimizzazione alla quarta cifra decimale del portafoglio, ma la verità è che il Risparmio è la cosa che conta di più — e soprattutto l’unica cosa su cui possiamo incidere davvero lungo la strada della nostra libertà finanziaria.

Risparmiare e investire il 10% del proprio reddito e ottenere anche un misero rendimento del 4% è molto meglio che risparmiare e investire il 4% del reddito e ottenere anche uno stellare 10%.

Se per esempio una famiglia ha un reddito netto annuo di 50.000 €, nel primo caso in 20 anni ottiene 155.000 euro, mentre nel secondo si ferma a 126.000.

Trova il portafoglio che più ti piace.

Ribilancialo quando un asset drifta di oltre il 10% rispetto a quanto dovrebbe essere, oppure quando cambiano le esigenze della tua vita.

Ma poi concentrati sul riempire il portafoglio, più che su come agghindarlo.

QUARTA LEGGE: impara a soffrire.

L’investimento azionario si porta dietro uno spettacolare rendimento atteso.

Almeno fino a prova contraria e a condizione di essere diversificati a livello globale.

Ma ciononostante, vi svelo un segreto: il 90% del tempo lo si passa in drawdown.

Il drawdown è il lasso di tempo tra un massimo e l’altro, durante il quale il mercato prima scende e poi risale.

Avessimo investito ininterrottamente negli ultimi 100 anni, 90 li avremmo passati sotto i massimi.

Andare giù, come dire, non è un’anomalia del gioco. E’ IL gioco.

Se sai che è così, non interrompere mai, mai e poi mai per nessun fottuto motivo il processo di capitalizzazione composta dei tuoi investimenti, come ricordava sempre Charlie Munger e cerca di rimanere il più insensibile possibile alle news e ai rumori che senti fuori.

E quest’ultima è una cosa molto più difficile da mettere in pratica di quel che si pensa.

Per esempio, tutti sanno — in teoria — che il momento migliore per investire è durante un crollo del mercato.

Ma quando il mercato crolla, l’economia va a rotoli, magari tu o qualcuno vicino a te perde il lavoro o semplicemente i media ti bombardano con vere o presunte tali notizie funeste, l’ultima cosa a cui pensi è investire nuovi soldi.

Rimanere lucidi e coerenti, immuni dalle sirene esterne, senza farsi sopraffare dalla paura, è forse la competenza finanziaria più importante che uno potrà mai acquisire.

Ultima legge: c’è solo un’arma davvero efficace contro qualunque sciagura possa configurarsi sui mercati, la DIVERSIFICAZIONE.

Diversificare non vuol dire solo avere ETF con 2.000 aziende dentro e aggiungere un po’ di bond e forse di oro o qualcos’altro.

Diversificare vuol dire soprattutto accettare di vedere altri intorno a te che stanno facendo più soldi perché si trovano su treni più veloci e non cedere alla tentazione di saltar giù dal tuo per saltare su quello.

Gli ultimi 15 anni sono stati la grande epoca di dominio assoluto degli Stati Uniti.

Dal 1978 al 2008 l’S&P 500 avrebbe sovraperformato di poco un MSCI ex US, quindi paesi sviluppati tranne gli Stati Uniti.

Sono state poi l’ascesa di Apple, Google, Amazon, Nvidia e il resto della combriccola tech a scavare il solco che ha creato un abisso tra le due performance.

Ma niente dura per sempre.

Diversificare vuol dire accettare di non mettere tutti i propri soldi là dove stiamo vedendo altre persone farne più di noi per essere preparati quando domani le cose dovessero cambiare.

Sapere queste 5 cose, credo posizioni ciascuno di voi nel top 1% dei migliori investitori della vostra cerchia di relazioni.

E soprattutto, incorporarle nelle vostre convinzioni ritengo che vi farà vivere meglio, immunizzandovi dal prossimo anatema scagliato dalla banca del male di turno, pronta a fare notizia con un report scioccante sui nostri destini come investitori.

Care amiche e cari amici di The Bull, grazie per avermi seguito anche questa 154esima volta, sperando che il vostro tempo con me sia valso qualche spunto utile per la vostra vita da investitori.

Per chi vuole, ci vediamo il 5 novembre alle 18:00 in piazza San Fedele 4, nella Sala Ricci della Fondazione San Fedele, che è sempre di Hoepli ma non lo facciamo più in libreria ma lì vicino perché in libreria sennò non ci stavamo.

Oltre a me ci saranno sua eminenza matematica Paolo Coletti e Debora Rosciani, giornalista di Radio 24.

Nella prima parte parleremo, boh la butto di lì, di finanza personale, mentre poi per chi desidera ci sarà un momento firmacopie.

Seguitemi su Instagram a thebull_finance per i dettagli, comunque li metto anche su LinkedIn.

Nel frattempo vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi portano nella terra di mezzo dei mercati finanziari e vi insegnano a resistere alla tentazione di infilarvi l’anello delle decisioni sciagurate come fare stock picking, disinvestire quando il cielo si fa cubo o non diversificare il portafoglio sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci rivediamo domenica con l’ultimo recap dei mercati prima delle più minacciose elezioni americane di tutti i tempi sempre qui, naturalmente, con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025
Facile.it
logo-scalable
logo-nordvpn
logo-fineco
logo-4books
logo-turtleneck
logo-datatrek
logo-ticketrestaurant