Perché non siamo fatti per investire (e perché è una buona Notizia)
Comprendiamo a fatica alcuni concetti matematici, ancora meno quelli statistici, la nostra intuizione è governata da bias e biologicamente siamo fatti per pensare al qui ed ora e non al futuro: per natura non siamo adatti all'investimento a lungo termine. E forse questa è una buona notizia. Soluzione all'indovinello del gas nella stanza: il gas avrà riempito metà della stanza dopo 99 secondi.

134. Perché non siamo fatti per investire (e perché è una buona Notizia)
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L'essere umano è naturalmente inadatto all'investimento per limiti matematici, bias cognitivi e istinto per gratificazione immediata.
La soluzione è semplice (ETF diversificati, basso costo, lungo termine) e premia chi supera i propri limiti naturali.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Sarà la vista delle montagne, sarà la pace dei sentieri nei boschi, sarà l’avvicinarsi di settembre, periodo tipico in cui uno si mette a fare bilanci e riflessioni, non lo so, sta di fatto che per una volta oggi lasciamo da parte i backtest per capire quale sia il portafoglio migliore per la nostra vita, che già nell’ultimo episodio sull’oro ho sparato così tanti numeri che vi avrò cotto le orecchie ad ascoltarlo.
Oggia parliamo invece di qualcosa di più, come dire, alto e concettuale, a tratti filosofico, ma che secondo me è importante per capire cosa stiamo facendo con i nostri soldi, perché lo stiamo facendo, quali sono i principi guida e quali sono i rischi in cui potremo imbatterci strada facendo il giorno che ci dovessimo dimenticare che investire è soprattutto una cosa umana, fatta di emozioni, psicologia e valori, che non tanto una cosa finanziaria.
Lo spunto per l’episodio di oggi, Alpi a parte, me l’ha dato il leggendario Barry Rithotlz, il fondatore della mitica società di consulenza finanziaria americana Rithotlz Wealth Management, nella quale tra gli altri lavorano due mostri sacri spesso citati in questo podcast come Nick Maggiulli e Ben Carlson.
Barry Ritholtz, come tutti i più importanti partner della società, ha un suo splendido podcast che si chiama Master of Business, fatto con Bloomberg.
Recentemente ha fatto una manciata di episodi su tematiche di psicologia dell’investimento, ovviamente con la superstar Morgan Housel, sui principi generali dell’investimento per i risparmiatori privati e su alcune deformazioni strutturali che in linea di principio non fanno di noi dei buoni investitori a priori.
Questo episodio non è esattamente una loro rielaborazione, ma da quelli ha preso spunto e chi vuole se li vada ad ascoltare perché, come ogni cosa che esce dalla bocca di Ritholtz, meritano.
Lascio tutto, come sempre, in descrizione.
Qual è il tema di oggi?
Il tema è che l’essere umano non è fatto per l’investimento.
Non ci siamo portati.
Abbiamo delle caratteristiche intrinseche alla nostra natura che ci rendono, by default, dei pessimi investitori.
Il filo logico dell’episodio di oggi prevede quindi, in primis, raccontare i tre motivi principali per cui siamo nato con questo handicap funzionale quando si tratta di gestire i soldi, dopodiché diremo perché ciò, tutto sommato, perlomeno per noi che alla finanza ci siamo appassionati, è una buona notizia e in che misura, fino a prova contraria, quello di come investire è un problema che possiamo considerare “risolto”.
Bando alle ciance quindi e veniamo ai TRE MOTIVI per cui noi umani non siamo fatti per investire.
MOTIVO NUMERO UNO: Facciamo letteralmente schifo in matematica e soprattutto in statistica.
Non c’è niente da fare.
Dobbiamo spaccarci tutti la testa per 13 anni a scuola, dal più e il meno alle derivate e gli integrali, ma il nostro cervello proprio non è fatto per ragionare in termini matematici.
E il problema è che la gestione dei soldi è innanzitutto un problema di matematica.
La matematica imperversa ovunque quando si parla di risparmio e investimenti e ci sono determinate cose che ci mandano completamente fuori strada perché la nostra intuizione non è immediatamente in grado di coglierne il significato.
I miei due esempi preferiti sono le percentuali e gli esponenziali, che sono operatori matematici tipici della finanza con cui il nostro cervello fa una confusione devastante.
Con le percentuali ad esempio abbiamo tutta una serie di — boh: come li chiamiamo? Paradossi? — insomma una serie di distorsioni della nostra percezione.
Uno di questi è il paradosso della reciprocità: se il prezzo di un asset sale del 20% e poi scende del 20% l’intuizione direbbe che siamo tornati al prezzo di partenza, invece non è così proprio per niente.
Se il prezzo di partenza era 100 €, +20% e poi -20% fa sì che il prezzo finale fa 96 €.
Con le percentuali, come noto, non si possono applicare le regole aritmetiche dei numeri naturali.
Questa non è una cosa trascurabile perché quando uno deve valutare la massima assunzione di rischio che è disposto ad assumersi può andare incontro a fraintendimenti madornali.
Ammettiamo che uno sia disposto ad accettare di perdere fino al 50% del proprio capitale investendo solo nell’azionario globale, sapendo che l’azionario globale può benissimo crescere del 50% anche in un paio di anni durante un bull market, ecco in questo caso si avrebbe una spiacevole sorpresa.
Dopo aver perso il 50% del capitale, il nostro portafoglio deve fare +100% per recuperare, cosa che può richiedere in media quasi 10 anni.
Non sto neanche a dire sugli strumenti a leva quanto questa cosa diventi rilevante.
Fraintendere il peso reale corrispondente al valore percentuale delle perdite è fondamentale per una gestione consapevole dei propri investimenti.
Un altro paradosso è quello delle medie, di cui tra l’altro parleremo tra poco quando ci sposteremo sul versante statistico.
Le medie tra le percentuali non vogliono dire niente.
Se un indice un anno fa +10%, l’anno dopo -4% e il terzo anno +9%, la media aritmetica è 5%, ma sappiamo tutti bene che dire che quell’indice ha reso l’5% all’anno darebbe un risultato sbagliatissimo.
Lo sappiamo bene vero?
No?
Allora facciamo un esempio.
Ammettiamo che in certo anno x l’S&P500 abbiamo aperto a 2.000 punti.
Fa +10% quindi andiamo a 2.200 punti.
Poi fa -4%, quindi scendiamo a 2.112.
Infine fa +9% e arriviamo a 2.302.
Ma se invece dicessimo che l’S&P ha fatto il 5% all’anno, il risultato al terzo anno sarebbe 2.315, non 2.302, quindi avremmo sovrastimato la crescita.
Come detto tante volte, quando c’è un rendimento composto di mezzo, non si usa la media aritmetica, bensì la media geometrica, che in questo caso è 4,8%.
Gli esempi si potrebbero sprecare, così come si potrebbe citare la difficoltà che molti hanno a comprendere che se il tasso di inflazione passa dall’1% al 2%, il tasso di inflazione è aumentato del 100%. Ma questo non vuol dire che i prezzi sono aumentati del 100%, bensì che la variazione dei prezzi, quella che i secchioni in matematica all’ascolto sanno che si chiama derivata, è aumentata del 100%.
Su ste cose delle percentuali, insomma, il cervello proprio non è predisposto a comprenderle intuitivamente come succede con più, meno, per e diviso.
L’altro grande limite matematico del nostro cervello riguarda invece il concetto di esponenziale.
Fin dal 3° episodio di questo interminabile podcast, quando per la prima volta abbiamo introdotto il concetto di interesse composto avevamo spiegato questa cosa.
La gente non investe perché non capisce gli impatti delle crescite (o delle decrescite) esponenziali del valore dei nostri beni.
L’inflazione si mangia il 3% all’anno del valore dei nostri soldi? Chissenefrega, 3% manco me ne accorgo.
Peccato che il 3% all’anno fa sì che in meno di 24 anni il valore dei miei soldi si sia dimezzato.
Investire in un portafoglio diversificato e bilanciato che ha un rendimento atteso del 6% non vale la pena perché il 6% in più del mio patrimonio non mi cambia una virgola?
Peccato che in 24 anni si sarà quadruplicato. E basteranno poi solo altri 12 anni perché diventi 8 volte tanto. E solo altri 6 perché diventi 12 volte tanto. E così via.
Il concetto di crescita esponenziale, però, proprio non va d’accordo con il modo in cui il nostro cervello ragiona.
C’è un noto indovinello che dice che c’è una stanza in cui viene immesso un gas che si espande ad un ritmo tale che ogni secondo raddoppia di volume.
Se dopo 100 secondi il gas avrà occupato tutta la stanza, dopo quanti secondi avrà riempito metà della stanza?
Rispondete di getto e poi nella descrizione dell’episodio c’è la soluzione.
Il fastidio che il nostro cervello prova nel calcolare la risposta, che si discosterà di parecchio dalla sua prima intuizione immediata, è una conferma della sua scarsa predisposizione a ragionare i termini di crescite esponenziali, cosa che limita parecchio la nostra comprensione naturale di come si comportano degli investimenti che per definizione sono soggetti a comportamenti non lineari.
L’altro lato di questa incapacità generale a basarci su ragionamenti numericamente corretti è la nostra scarsissima predisposizione a ragionare in termini statistici o, detta ancora meglio, probabilistici.
In finanza non c’è nessuna certezza.
Lo sappiamo.
Il massimo che possiamo aspettarci sono delle regolarità basate su una stima delle probabilità.
L’esempio più classico che mi viene in mente è il paradosso di Monty Hall, dal nome del conduttore di un programma televisivo americano dal titolo “Let’s make a deal”.
In pratica il concorrente si trovava davanti a tre porte chiuse, dietra le quali si trovavano una Ferrari e due capre.
Il concorrente doveva scegliere una porta.
A quel punto Monty Hall, che sapeva dove si trovasse la Ferrari, avrebbe aperto una delle porte con dietro una capra e poi chiesto al concorrente se avesse voluto confermare la porta scelta all’inizio o cambiarla con l’altra.
Chi non conosce il paradosso in questo momento starà pensando che tenere la porta scelta o cambiare dopo che il conduttore ha mostrato una capra non fa nessuna differenza.
Invece la probabilità di vincere la Ferrari cambiando la propria scelta passa dal 33% al 67%.
Anche se questa cosa farà litigare il vostro cervello, come fece litigare il mio la prima volta che ne sentii parlare, è un fatto facilmente dimostrabile.
Ammettiamo che la Ferrari sia dietro la porta A mentre le capre dietro la B e la C.
C’è quindi una probabilità su 3 di scegliere A e non cambiare.
Ci sono invece 2 probabilità su 3 di scegliere B o C e, dopo che Monty Hall avrebbe escluso una delle due, cambiare e scegliere la porta A.
Ciò nonostante, la stragrande maggioranza delle persone continuerebbe a mantenere la prima scelta, per tre motivi:
– Il primo è perché tutti noi irrazionalmente pensiamo di avere dei “buoni presentimenti” e che questa cosa davvero abbiano un potere predittivo;
– Il secondo è perché preferiamo avere rimorsi che rimpianti. Se cambiamo e la Ferrari era dietro la prima porta che avevamo scelto, ciò ci fa mangiare le mani invece che perdere la Ferrari mantenendo fede alla prima scelta anche se statisticamente l’atra decisione sarebbe stata quella giusta;
– Il terzo, beh, è perché il nostro cervello non è fatto per ragionare in termini probabilistici.
Prendere decisioni con i nostri soldi basate su “buoni presentimenti” oppure perseverare in scelte sbagliate per non correre il “rischio”, tra virgolette, che cambiando idea potremmo perdere ancora più soldi, anche se statisticamente sarebbe la decisione giusta, suona famigliare?
Purtroppo tante scelte finanziarie sciagurate si basano sull’umana incomprensione delle leggi della probabilità.
Un’altra situazione in cui andiamo in crisi è quando c’è di mezzo il concetto di probabilità a priori, chiamato “base rate” e che è alla base di uno dei più famosi teoremi nella teoria della probabilità chiamato teorema di Bayes.
Per farla breve, la probabilità priori è per esempio il fatto che il lancio di una moneta abbia un 50% di probabilità di far uscire testa (o croce naturalmente).
Tuttavia nel caso in cui io lanciassi 5 volte la moneta e, per motivi del tutto casuali, uscisse 5 volte di fila testa, su cosa scommettereste per sesto lancio.
Credo che il 99% delle persone sceglierebbe croce, considerando praticamente certo che dopo 5 teste debba per forza uscire croce, dato che le 5 teste sono un’anomalia da correggere.
Peccato che la probabilità che al 6° lancio esca croce resta sempre del 50%, perché i 5 lanci precedenti non influiscono sul successivo.
Questo fenomeno è noto come “gambler’s fallacy”, ossia la fallaca del giocatore. E spesso diventa la fallacia dell’investitore.
Quante volte ho sentito dire “questo fondo ha battuto il mercato negli ultimi 5 anni, quindi ha maggiori probabilità di batterlo anche nei successivi”.
No.
Non è vero.
Se la probabilità che un fondo gestito ha di battere il mercato su un orizzonte di 10 anni è del 2% (come confermato anche dai dati 2023 del nostro amato report Spiva), il fatto che un certo fondo abbia battuto il mercato per 5 anni di fila, la sua probabilità di risultare tra i pochi fondi che avranno battuto il mercato dopo 10 anni resta sempre 2%.
Questo non sarebbe vero se fosse possibile dimostrare una correlazione tra competenza dei gestori e risultati, ma già Fama e French nel paper del 2010 intitolato Luck versus Skill in the Cross-Section of Mutual Fund Returns che abbiamo citato spesso avevano dimostrato che non è possibile distinguere la competenza dalla fortuna nei risultati di un asset manager.
Quali sono le caratteristiche di un asset manager che batte il mercato: esperienza, competenza, intelligenza, intuizione e sangue freddo.
Quali sono invece le caratteristiche di un asset manager che non batte il mercato: esperienza, competenza, intelligenza, intuizione e sangue freddo.
Purtroppo, la probabilità a priori che un certo evento si verifichi dovrebbe essere tenuta in considerazione infinitamente di più che altri fattori irrilevanti per il risultato finale, ma che la nostra umana esigenza di controllo si convince che abbiano un qualche valore perché non sopporta l’idea di vivere in balia del caso.
Questa cosa della nostra difficoltà a capire che non possiamo pensare di scegliere un fondo basandoci sulle sue performance passate o cercando di correlare competenza del gestore a risultati, deriva anche dalla nostra incomprensione della cosiddetta legge dei piccoli numeri.
La più nota legge dei grandi numeri dice che, su campioni di grandi dimensioni, si verificano determinate regolarità statistiche.
Sui piccoli numeri, invece, avviene proprio il contrario.
Più un campione è piccolo, più gli eventi sono estremi.
È famoso l’esempio di Daniel Kahneman che cita uno studio sulle contee con maggiore incidenza di tumori al rene negli Stati Uniti, che concludeva che c’erano più tumori nelle aree rurali e scarsamente popolate, come il Midwest o gli Stati del Sud.
Le contee con minore incidenza di tumori al rene negli Stati Uniti si trovavano a loro volta in aree rurali e scarsamente popolate, come il Midwest o gli Stsati del Sud.
Conclusione: il fatto di essere scarsamente popolate rende più probabile il verificarsi di casi estremi, ossia contee con altissime incidenze di tumori e contee con bassissime incidenze, mentre probabilmente a New York o Chicago il tasso di incidenza sarà risultato perfettamente in linea con la media.
Noi abbiamo per natura grossi problemi a considerare grandi numeri situazioni che invece sono piccoli numeri.
Migliaia di fondi attivi tra cui poter scegliere sono “piccoli numeri”.
5 anni di performance positiva sono un “piccolo numero”.
I 10 anni di vita di Bitcoin sono un “piccolo numero”.
Tirare conclusioni sul futuro basandoci sui piccoli numeri del nostro campione statistico del passato è perfettamente naturale, umano, intuitivo e semplicemente sbagliato.
Si potrebbe scrivere un libro di 1000 pagine sull’argomento, ma ci fermiamo qui perché il concetto dovrebbe essere chiaro.
Prima di prendere una decisione finanziaria chiedersi sempre:
– Ho compreso adeguatamente l’impatto dei valori percentuali ed esponenziali che conseguono da questa decisione?
– Ho considerato correttamente le probabilità oppure o sovrastimato o sottostimato un certo scenario?
– Ho valutato la probabilità a priori, il base rate, prima di prendere questa decisione oppure mi sto basando su pochi anni di performance passate, buoni presentimenti o sulla buona impressione che mi ha fatto la persona che mi ha suggerito un certo investimento?
Veniamo al SECONDO MOTIVO per cui non siamo fatti per investire.
Il secondo motivo riguarda la deformazione psicologica della nostra percezione del mondo.
Noi percepiamo il mondo in maniera strutturalmente distorta, per via del fatto che tendiamo a prendere la maggior parte delle decisioni sotto l’effetto di bias cognitivi, di cui spesso abbiamo parlato.
Come sempre il geniale e compianto Daniel Kahneman aveva illustrato al mondo, l’uomo ha due sistemi di pensiero.
Quello veloce, su cui fondiamo la maggior parte delle decisioni quotidiane, è intuitivo ed istintivo e si basa su errori sistematici della nostra percezione.
Quello lento, invece, è il pensiero analitico, che è in grado di correggere gli errori della nostra intuizione attraverso il ragionamento numerico e statistico.
Entrambe cose in cui non siamo fortissimi.
Purtroppo, la finanza è esattamente uno di quegli ambiti dove dovrebbe dominare il pensiero lento, mentre invece la stragrande maggioranza delle persone si fa obnubilare dalla propria sfera emotiva permettendo al pensiero veloce di prendere le decisioni più sciagurate.
Vendere quando tutti vendono è una decisione basata sulla paura, completamente irrazionale e contraria alla logica secondo cui comprare a prezzi scontati ha un ritorno atteso superiore.
Comprare quanto tutti comprano è una decisione basata sull’avidità, completamente irrazionale e contraria alla logica secondo cui comprare a prezzi alti ha un ritorno atteso inferiore.
Siamo mediamente terrorizzati all’idea di investire i nostri soldi, ma quando poi lo facciamo veniamo assaliti da overconfidence, dall’eccessiva fiducia nelle nostre capacità di “outsmart”, di essere più furbi del resto del mercato.
Da una parte ci è stato detto che la nostra miglior chance è comprare indici e starsene buoni, però no, abbiamo un buon presentimento che comprare questo o quella azione ci farà diventare ricchi prima, ignorando il fatto che ogni volta che compriamo o vendiamo dall’altra parte cè qualcuno che vende o compra, quindi la premessa del nostro ragionamento è che noi siamo più intelligenti della media degli operatori sul mercato.
Spolier alert: non lo siamo.
Se facciamo soldi con lo stock picking è perché abbiamo avuto culo.
Se ne perdiamo è perché abbiamo avuto sfortuna.
Più o meno è tutto qua.
“Eh ma allora Warren Buffett, Bill Ackman, George Soros e tutti i grandi investitori sono stati solo fortunati?”.
Certo che no.
Sono investitori di straordinario talento.
Così come di straordinario talento sono stati migliaia di investitori meno fortunati che nessuno conosce perché non hanno avuto abbastanza fortuna da diventare leggende.
E poi basta con questa cosa che sento sempre, che leggo su reddit o sui social, secondo cui se pochi incredibili investitori hanno fatto soldi scommettendo sulle azioni giuste allora tutti possono farlo.
No.
Sono degli outlier.
Dei casi super eccezionali.
Il 4% di tutte le azioni della storia del mercato americano è responsabile del 100% del rendimento generato dal mercato in generale.
Che probabilità hai di pescare questo 4% di società?
Direi il 4%.
Se ti dicessi di scommettere i tuoi soldi in una cosa che ha il 96% di probabilità di farteli perdere te li giocheresti? No ovviamente.
E allora perché continui ad essere convinto di avere “buoni presentimenti” e di poter fare singole scommesse che per essere vincenti presuppongono che tu sia più smart della maggioranza del mercato?
Boh…
No, il motivo è che la nostra struttura psicologica è deformata.
Non comprendiamo facilmente il concetto di survivorship bias, il bias del sopravvisuto, ci dimentichiamo che spesso ancoriamo i nostri valori di riferimento ad altri valori che non hanno nessun significato, diamo più peso a fatti recenti rispetto a fatti passati e soprattutto abbiamo questo ineliminabile vizio di raccontarci delle storie coerenti con le nostre convinzioni perché per noi è più importante confermare una certa idea su cui ci siamo impuntati piuttosto che accettare motivazioni oggettive per cui siamo nel torto e agire di conseguenza.
La fallacia narrativa, ossia il fatto che cerchiamo di costruire a posteriori delle spiegazioni forzate per cose che avvengono sui mercati e a supporto delle nostre decisioni passati, e il confirmation bias, il bias di conferma, il fatto che siamo più predisposti a cercare argomentazioni che supportino le nostre decisioni passate piuttosto che analizzare le ragioni contrarie, sono due ostacoli sistematici lungo la strada di una strategia di investimento a lungo termine basata sul buon senso.
Anche qui, su euristiche e bias potremmo fare un podcast a parte.
Ma il succo del discorso è che nasciamo con questa condanna: dovessimo prendere decisioni di investimento basandoci sul nostro istinto, sulle euristiche e i bias alla base della nostra percezione del mondo, e limitandoci alla nostra distorta comprensione intuitiva di leggi matematiche e statistiche probabilmente prenderemmo solo decisioni sbagliate.
Questo era il secondo motivo per cui l’investimento è, rispetto alla nostra natura, completamente controintuitivo.
Veniamo al TERZO e ULTIMO MOTIVO: non siamo biologicamente predisposti a investire.
Investire cosa significa?
Significa procrastinare.
Significa rinunciare a qualcosa oggi per qualcosa di più grande domani.
E non c’è niente di più lontano di questo dal sistema operativo che madre natura ci ha fornito quando ci ha messo al mondo.
Se ci pensate il nostro istinto primordiale è completamente concentrato sulla soddisfazione di esigenze immediate, perché quando vivevamo nelle caverne e incidevamo orrendi scarabocchi sulle pareti questa era l’unico modo di sopravvivere.
Per spiegare questa cosa faccio un esempio preso dall’ambito del fitness.
Fitness e investimenti sono due cose molto simili se ci pensate.
Entrambi si basano sulla pratica di procrastinare il piacere, facendo sacrifici oggi per un futuro migliore domani.
Se voglio dimagrire e mettere su muscoli devo mangiare in un certo modo, in deficit per perdere grasso o in surplus per la massa, tipicamente roba meno buona di quella che vorrei mangiare, proteine di qualità, carboidrati, pochi grassi saturi, pochi zuccheri, devo andare in palestra a spostare pesi, bere molta acqua e tutto il resto.
Insomma, una rottura di palle che richiede una vita di sacrifici e bastano poche settimane di sgarri per mandare tutto all’aria.
Esattamente come con la finanza.
Si risparmia oggi, si rinunciano a certi piaceri o certe spese, i soldi si investono e non si toccano e chissà, forse un domani ne avrò dei benefici. Forse. Se il mercato continuerà ad essere benevolo come nell’ultimo secolo e io non farò troppe cazzate per i due motivi di cui sopra.
Però tutto ciò è contro il nostro istinto biologico.
Vi siete mai chiesti perché le cose dolci e grasse piacciono a tutti mentre le verdure e il pollo piastra fanno mediamente cagare ai più?
Perché per sopravvivere ai nostri antenati servivano le energie fornite dagli zuccheri, dato che ogni momento era buon per scappar via da qualche predatore, e le riserve di grasso per superare i frequenti periodi di carestia.
Dal punto di vista evoluzionistico, è più importante per il nostro corpo incamerare grasso che non mettere su muscoli.
I muscoli, per il nostro corpo, sono tendenzialmente inutili e richiedono un sacco di fatica per costruirli.
Devi mangiare più di quel che vorresti, devi fare degli sforzi sempre maggiori per stimolare l’attività anabolica, quella che sintetizza le proteine e fa crescere il tessuto muscolare e appena smetti il corpo smette di fare questa roba (a meno di prendere anabolizzanti ovviamente).
Il corpo mette su muscoli perché quando uno va in palestra, lui è convinto che siamo combattendo con un mammuth o che siamo costruendo un rifugio spostando enormi massi a mani nude e allora dice: “boh, questo ogni giorno fa una fatica della madonna, mettiamogli su un po’ di muscoli sennò sti rifugio non lo finiamo più”.
Non pensa: “ah, adesso gli faccio venire due spalle così e il six pack sugli addominali così in spiaggi gli sta meglio il costume”.
No, se vuoi ottenere sta cosa devi fare una serie di attività contrarie al tuo istinto, dolorose, faticose e incerte, perché tra l’altro si sa cosa bisogna fare per essere in forma, ma poi ci sono mille fattori di natura genetica o altre circostanze soggettive per cui il fisico che sognavi, nella maggior parte dei casi, non riuscirai mai a realizzarlo.
Con gli investimenti è la stessa cosa.
Più sacrifici fai oggi, maggiori saranno le gratificazioni domani.
Ma per fare questo, dovrai fare tutta una serie di cose che sono in esatta antitesi con il software che hai incorporato nel dna.
Noi siamo fatti per il breve termine, per l’oggi, per la soddisfazione immediata.
La finanza personale è invece tutta proiettata al lungo termine, al futuro, alla soddisfazione procrastinata.
Il lungo termine è astrazione, solo il breve termine è realtà.
E rinunciare alla realtà per un’astrazione è un esercizio complesso che istintivamente proprio non ci viene di farlo.
Quindi sì, cari miei, voi che da 134 episodi state ascoltando The Bull, in realtà siete sottoposti ad una terapia di riprogrammazione dei vostri istinti.
Fino a prima di conoscerci alla maggior parte di voi manco passava per la testa di mettere da parte l’oggi per il futuro, almeno dal punto di vista finanziario.
Oggi invece, dopo questa terapia d’urto a cui vi siete liberamente sottoposti, il vostro cervello è stato costretto a comprendere gli strani comportamenti di percentuali ed esponenziali, di fenomeni probabilistici controintuitivi, di mettere da parte i bias e accettare di prendere decisioni che a prima vista ci sembravano strane e infine di andare proprio contro la nostra ancestrale struttura biologica, ossia rinunciare ai benefici certi dell’oggi per benefici incerti domani.
Detta così sembriamo tutti pazzi.
Ma in fondo fin dall’inizio di quest’episodio vi sto dicendo che non siamo fatti per investire.
Detti i tre motivi principali per cui NON siamo fatti per investire, veniamo alle due buone notizie.
La PRIMA BUONA NOTIZIA è che nonostante tutto il nostro apparato biologico-psicologico-cognitivo giochi contro di noi l’investimento, almeno l’investimento per il risparmiatore privato, è stato “risolto”.
“The investment problem has been solved” è una frase che al di là dell’Atlantico si sente dire spesso, dal Barry Ritholtz che ha ispirato quest’episodio, a Ben Felix, al grande Warren o ad altri grandi hedge fund manager leggendari come Mark Spitznagel, il socio di Nassim Taleb ed esperto nel fare soldi durante le crisi epocali.
La soluzione al problema dell’investimento le conoscete tutti molto bene:
– Spendi meno di quel che guadagni e investi regolarmente la differenza;
– Investi in un portafoglio diversificato di ETF a basso costo che replicano soprattutto grandi indici globali;
– Imposta la tua asset allocation in base al tuo profilo di rischio;
– Diversifica tra asset class non correlate tra loro, in primis azioni e obbligazioni ed eventualmente, ma non necessariamente, oro, materie prime, fondi immobiliari, ecc.
– Ripeti per tutta la vita, e, come insegnava il compianto Charlie Munger, per nessun diavolo di motivo interrompi il processo di capitalizzazione composta dei tuoi rendimenti.
Che il tuo portafoglio sia 60% azioni e 40% obbligazioni, un golden butterlfy, un all weather o un gigantesco minestrone fatto di 75 asset diversi per diversificare anche la correlazione del portafoglio alla pesca delle cozze o alla produzione di sciroppo d’acero, non è poi così importante.
Save and invest.
In prodotti a basso costo e diversificato.
Questa cosa nel lungo termine ti renderà il 4%, il 7% o il 10%?
Non lo so.
Nessuno lo sa.
Ma anche un worst scenario, uno scenario in cui un portafoglio che su trent’anni non ha mai reso meno del 6% finisca per rendere la metà, sarà comunque un successo finanziario che vi migliorerà la vita.
Quindi la prima buona notizia è questa.
Il nostro cervello farà di tutto per mandarci fuori strada, ma fortunatamente la soluzione è semplice, quindi nel dubbio fare sempre double-check prima di prendere ogni decisione, verificare se questa decisione si sposa con i principi di cui sopra, altrimenti non prenderla.
Ogni volta che vi verrà il dubbio se sia meglio investire in maniera noiosa e poco sexy come raccontiamo qui oppure in maniera eccitante e divertente con l’obiettivo di fare soldi velocemente, ecco, ricordatevi sempre che l’investimento — ossia: buy and hold, etf, indici, ecc. — ha un ritorno atteso positivo, mentre il trading ha un ritorno atteso negativo, almeno per la maggior parte delle persone che non sono trader professionisti.
Pertanto attenersi ai principi di cui sopra e toccare il proprio portafoglio il meno possibile, fino a prova contraria resta ad oggi l’idea migliore che possiate avere, per quanto controintuitiva possa sembrare.
L’altra buona notizia è che, come dire, tutto ciò implica un certo vantaggio competitivo.
The Bull è nato con l’intento principale di divulgare informazioni ed estendere la consapevolezza finanziaria in Italia. Poi ha avuto molto successo ed è diventato praticamente un lavoro quasi a tempo pieno, ma il suo obiettivo di fondo era questo: fare in modo che più persone possibili investissero i propri soldi in base ai principi che oggi si ritiene abbiano “risolto” il problema di come si investe.
Ciononostante, per i tre motivi spiegati oggi, probabilmente chi farà queste cose sarà sempre una minoranza.
Solo una minoranza vorrà intraprendere il percorso che avete fatto voi e soprattutto portarlo avanti a lungo termine.
Di questa minoranza, solo una sottominoranza farà lo sforzo per superare i limiti matematici e statistici connaturati al nostro pensiero.
Solo una sottominoranza di questa sottominoranza sarà abbastanza solida e fredda da non farsi obnubilare dalle emozioni, dai pregiudizi, dai bias e da tutto l’apparato di irrazionalità che imperversa nella nostra facoltà cognitiva, quella che dovrebbe essere invece il dominio della nostra razionalità assoluta.
Quindi solo una minoranza farà le cose giuste e questo in qualche modo porterà un beneficio per chi sacrifici è disposto a farne.
Se uno si spacca in palestra e poi in spiaggia sono tutti fisicati come lui o lei, capite che viene anche un po’ meno la motivazione.
C’è poi un altro aspetto, più strutturale, secondo me.
Che è collegato al concetto di paradosso del premio al rischio di cui avevamo parlato qualche mese fa.
Investire produce dei rendimenti perché comporta delle incertezze.
E le incertezze non sono solo di mercato, sono le incertezze derivanti dalle logiche controintuitive in base a cui l’investimento funziona.
È in qualche modo il fatto che ci sia tutta questa incertezza e controintuitività nell’investimento finanziario che questo continua a generare un rendimento atteso positivo.
E questo rendimento positivo è per i pochi disponibili a superare i limiti naturali che ci appartengono, a fare cose strane come rinunciare a piaceri oggi per benefici domani e a sopportare il peso delle emozioni durante le varie fasi dei cicli di mercato.
Tutto quel che c’è di strano, pauroso, apparentemente incoerente e lontano anni luce dal nostro istinto è forse la migliore garanzia di successo di tutti gli sforzi che ciascuno di noi sta facendo per migliorare la propria vita.
Bene, care amiche e cari amici di questo podcast terapeutico, siamo infin giunti al termine anche di questo 134esimo episodio dedicato a quanto è strano investire e al perché proprio il suo essere strano lo rende vincente.
Spero che vi sia piaciuto e grazie di cuore per avermi seguito per oltre 70 ore di chiacchiere insieme sul senso del risparmio, degli investimenti, della finanza e in qualche modo della vita in generale.
Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che mentre vi spiegano perché la natura controintuitiva della finanza è la nostra forza, vi ricordano anche che quella piadina crudo e squaquerone alle 4 di notte o la terza pizza fritta della giornata potrebbero servire per affrontare il prossimo mammuth quindi va bene così sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con un nuovo appuntamento dedicato alla 135 seduta del nostro percorso di rieducazione verso comportamenti contronatura, sempre qui, naturalmente, con the bull, il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull — Il tuo podcast di finanza personale.
Sarà la vista delle montagne, sarà la pace dei sentieri nei boschi, sarà l’avvicinarsi di settembre, periodo tipico in cui uno si mette a fare bilanci e riflessioni, non lo so, sta di fatto che per una volta oggi lasciamo da parte i backtest per capire quale sia il portafoglio migliore per la nostra vita, che già nell’ultimo episodio sull’oro ho sparato così tanti numeri che vi avrò cotto le orecchie ad ascoltarlo.
Oggia parliamo invece di qualcosa di più, come dire, alto e concettuale, a tratti filosofico, ma che secondo me è importante per capire cosa stiamo facendo con i nostri soldi, perché lo stiamo facendo, quali sono i principi guida e quali sono i rischi in cui potremo imbatterci strada facendo il giorno che ci dovessimo dimenticare che investire è soprattutto una cosa umana, fatta di emozioni, psicologia e valori, che non tanto una cosa finanziaria.
Lo spunto per l’episodio di oggi, Alpi a parte, me l’ha dato il leggendario Barry Rithotlz, il fondatore della mitica società di consulenza finanziaria americana Rithotlz Wealth Management, nella quale tra gli altri lavorano due mostri sacri spesso citati in questo podcast come Nick Maggiulli e Ben Carlson.
Barry Ritholtz, come tutti i più importanti partner della società, ha un suo splendido podcast che si chiama Master of Business, fatto con Bloomberg.
Recentemente ha fatto una manciata di episodi su tematiche di psicologia dell’investimento, ovviamente con la superstar Morgan Housel, sui principi generali dell’investimento per i risparmiatori privati e su alcune deformazioni strutturali che in linea di principio non fanno di noi dei buoni investitori a priori.
Questo episodio non è esattamente una loro rielaborazione, ma da quelli ha preso spunto e chi vuole se li vada ad ascoltare perché, come ogni cosa che esce dalla bocca di Ritholtz, meritano.
Lascio tutto, come sempre, in descrizione.
Qual è il tema di oggi?
Il tema è che l’essere umano non è fatto per l’investimento.
Non ci siamo portati.
Abbiamo delle caratteristiche intrinseche alla nostra natura che ci rendono, by default, dei pessimi investitori.
Il filo logico dell’episodio di oggi prevede quindi, in primis, raccontare i tre motivi principali per cui siamo nato con questo handicap funzionale quando si tratta di gestire i soldi, dopodiché diremo perché ciò, tutto sommato, perlomeno per noi che alla finanza ci siamo appassionati, è una buona notizia e in che misura, fino a prova contraria, quello di come investire è un problema che possiamo considerare “risolto”.
Bando alle ciance quindi e veniamo ai TRE MOTIVI per cui noi umani non siamo fatti per investire.
MOTIVO NUMERO UNO: Facciamo letteralmente schifo in matematica e soprattutto in statistica.
Non c’è niente da fare.
Dobbiamo spaccarci tutti la testa per 13 anni a scuola, dal più e il meno alle derivate e gli integrali, ma il nostro cervello proprio non è fatto per ragionare in termini matematici.
E il problema è che la gestione dei soldi è innanzitutto un problema di matematica.
La matematica imperversa ovunque quando si parla di risparmio e investimenti e ci sono determinate cose che ci mandano completamente fuori strada perché la nostra intuizione non è immediatamente in grado di coglierne il significato.
I miei due esempi preferiti sono le percentuali e gli esponenziali, che sono operatori matematici tipici della finanza con cui il nostro cervello fa una confusione devastante.
Con le percentuali ad esempio abbiamo tutta una serie di — boh: come li chiamiamo? Paradossi? — insomma una serie di distorsioni della nostra percezione.
Uno di questi è il paradosso della reciprocità: se il prezzo di un asset sale del 20% e poi scende del 20% l’intuizione direbbe che siamo tornati al prezzo di partenza, invece non è così proprio per niente.
Se il prezzo di partenza era 100 €, +20% e poi -20% fa sì che il prezzo finale fa 96 €.
Con le percentuali, come noto, non si possono applicare le regole aritmetiche dei numeri naturali.
Questa non è una cosa trascurabile perché quando uno deve valutare la massima assunzione di rischio che è disposto ad assumersi può andare incontro a fraintendimenti madornali.
Ammettiamo che uno sia disposto ad accettare di perdere fino al 50% del proprio capitale investendo solo nell’azionario globale, sapendo che l’azionario globale può benissimo crescere del 50% anche in un paio di anni durante un bull market, ecco in questo caso si avrebbe una spiacevole sorpresa.
Dopo aver perso il 50% del capitale, il nostro portafoglio deve fare +100% per recuperare, cosa che può richiedere in media quasi 10 anni.
Non sto neanche a dire sugli strumenti a leva quanto questa cosa diventi rilevante.
Fraintendere il peso reale corrispondente al valore percentuale delle perdite è fondamentale per una gestione consapevole dei propri investimenti.
Un altro paradosso è quello delle medie, di cui tra l’altro parleremo tra poco quando ci sposteremo sul versante statistico.
Le medie tra le percentuali non vogliono dire niente.
Se un indice un anno fa +10%, l’anno dopo -4% e il terzo anno +9%, la media aritmetica è 5%, ma sappiamo tutti bene che dire che quell’indice ha reso l’5% all’anno darebbe un risultato sbagliatissimo.
Lo sappiamo bene vero?
No?
Allora facciamo un esempio.
Ammettiamo che in certo anno x l’S&P500 abbiamo aperto a 2.000 punti.
Fa +10% quindi andiamo a 2.200 punti.
Poi fa -4%, quindi scendiamo a 2.112.
Infine fa +9% e arriviamo a 2.302.
Ma se invece dicessimo che l’S&P ha fatto il 5% all’anno, il risultato al terzo anno sarebbe 2.315, non 2.302, quindi avremmo sovrastimato la crescita.
Come detto tante volte, quando c’è un rendimento composto di mezzo, non si usa la media aritmetica, bensì la media geometrica, che in questo caso è 4,8%.
Gli esempi si potrebbero sprecare, così come si potrebbe citare la difficoltà che molti hanno a comprendere che se il tasso di inflazione passa dall’1% al 2%, il tasso di inflazione è aumentato del 100%. Ma questo non vuol dire che i prezzi sono aumentati del 100%, bensì che la variazione dei prezzi, quella che i secchioni in matematica all’ascolto sanno che si chiama derivata, è aumentata del 100%.
Su ste cose delle percentuali, insomma, il cervello proprio non è predisposto a comprenderle intuitivamente come succede con più, meno, per e diviso.
L’altro grande limite matematico del nostro cervello riguarda invece il concetto di esponenziale.
Fin dal 3° episodio di questo interminabile podcast, quando per la prima volta abbiamo introdotto il concetto di interesse composto avevamo spiegato questa cosa.
La gente non investe perché non capisce gli impatti delle crescite (o delle decrescite) esponenziali del valore dei nostri beni.
L’inflazione si mangia il 3% all’anno del valore dei nostri soldi? Chissenefrega, 3% manco me ne accorgo.
Peccato che il 3% all’anno fa sì che in meno di 24 anni il valore dei miei soldi si sia dimezzato.
Investire in un portafoglio diversificato e bilanciato che ha un rendimento atteso del 6% non vale la pena perché il 6% in più del mio patrimonio non mi cambia una virgola?
Peccato che in 24 anni si sarà quadruplicato. E basteranno poi solo altri 12 anni perché diventi 8 volte tanto. E solo altri 6 perché diventi 12 volte tanto. E così via.
Il concetto di crescita esponenziale, però, proprio non va d’accordo con il modo in cui il nostro cervello ragiona.
C’è un noto indovinello che dice che c’è una stanza in cui viene immesso un gas che si espande ad un ritmo tale che ogni secondo raddoppia di volume.
Se dopo 100 secondi il gas avrà occupato tutta la stanza, dopo quanti secondi avrà riempito metà della stanza?
Rispondete di getto e poi nella descrizione dell’episodio c’è la soluzione.
Il fastidio che il nostro cervello prova nel calcolare la risposta, che si discosterà di parecchio dalla sua prima intuizione immediata, è una conferma della sua scarsa predisposizione a ragionare i termini di crescite esponenziali, cosa che limita parecchio la nostra comprensione naturale di come si comportano degli investimenti che per definizione sono soggetti a comportamenti non lineari.
L’altro lato di questa incapacità generale a basarci su ragionamenti numericamente corretti è la nostra scarsissima predisposizione a ragionare in termini statistici o, detta ancora meglio, probabilistici.
In finanza non c’è nessuna certezza.
Lo sappiamo.
Il massimo che possiamo aspettarci sono delle regolarità basate su una stima delle probabilità.
L’esempio più classico che mi viene in mente è il paradosso di Monty Hall, dal nome del conduttore di un programma televisivo americano dal titolo “Let’s make a deal”.
In pratica il concorrente si trovava davanti a tre porte chiuse, dietra le quali si trovavano una Ferrari e due capre.
Il concorrente doveva scegliere una porta.
A quel punto Monty Hall, che sapeva dove si trovasse la Ferrari, avrebbe aperto una delle porte con dietro una capra e poi chiesto al concorrente se avesse voluto confermare la porta scelta all’inizio o cambiarla con l’altra.
Chi non conosce il paradosso in questo momento starà pensando che tenere la porta scelta o cambiare dopo che il conduttore ha mostrato una capra non fa nessuna differenza.
Invece la probabilità di vincere la Ferrari cambiando la propria scelta passa dal 33% al 67%.
Anche se questa cosa farà litigare il vostro cervello, come fece litigare il mio la prima volta che ne sentii parlare, è un fatto facilmente dimostrabile.
Ammettiamo che la Ferrari sia dietro la porta A mentre le capre dietro la B e la C.
C’è quindi una probabilità su 3 di scegliere A e non cambiare.
Ci sono invece 2 probabilità su 3 di scegliere B o C e, dopo che Monty Hall avrebbe escluso una delle due, cambiare e scegliere la porta A.
Ciò nonostante, la stragrande maggioranza delle persone continuerebbe a mantenere la prima scelta, per tre motivi:
– Il primo è perché tutti noi irrazionalmente pensiamo di avere dei “buoni presentimenti” e che questa cosa davvero abbiano un potere predittivo;
– Il secondo è perché preferiamo avere rimorsi che rimpianti. Se cambiamo e la Ferrari era dietro la prima porta che avevamo scelto, ciò ci fa mangiare le mani invece che perdere la Ferrari mantenendo fede alla prima scelta anche se statisticamente l’atra decisione sarebbe stata quella giusta;
– Il terzo, beh, è perché il nostro cervello non è fatto per ragionare in termini probabilistici.
Prendere decisioni con i nostri soldi basate su “buoni presentimenti” oppure perseverare in scelte sbagliate per non correre il “rischio”, tra virgolette, che cambiando idea potremmo perdere ancora più soldi, anche se statisticamente sarebbe la decisione giusta, suona famigliare?
Purtroppo tante scelte finanziarie sciagurate si basano sull’umana incomprensione delle leggi della probabilità.
Un’altra situazione in cui andiamo in crisi è quando c’è di mezzo il concetto di probabilità a priori, chiamato “base rate” e che è alla base di uno dei più famosi teoremi nella teoria della probabilità chiamato teorema di Bayes.
Per farla breve, la probabilità priori è per esempio il fatto che il lancio di una moneta abbia un 50% di probabilità di far uscire testa (o croce naturalmente).
Tuttavia nel caso in cui io lanciassi 5 volte la moneta e, per motivi del tutto casuali, uscisse 5 volte di fila testa, su cosa scommettereste per sesto lancio.
Credo che il 99% delle persone sceglierebbe croce, considerando praticamente certo che dopo 5 teste debba per forza uscire croce, dato che le 5 teste sono un’anomalia da correggere.
Peccato che la probabilità che al 6° lancio esca croce resta sempre del 50%, perché i 5 lanci precedenti non influiscono sul successivo.
Questo fenomeno è noto come “gambler’s fallacy”, ossia la fallaca del giocatore. E spesso diventa la fallacia dell’investitore.
Quante volte ho sentito dire “questo fondo ha battuto il mercato negli ultimi 5 anni, quindi ha maggiori probabilità di batterlo anche nei successivi”.
No.
Non è vero.
Se la probabilità che un fondo gestito ha di battere il mercato su un orizzonte di 10 anni è del 2% (come confermato anche dai dati 2023 del nostro amato report Spiva), il fatto che un certo fondo abbia battuto il mercato per 5 anni di fila, la sua probabilità di risultare tra i pochi fondi che avranno battuto il mercato dopo 10 anni resta sempre 2%.
Questo non sarebbe vero se fosse possibile dimostrare una correlazione tra competenza dei gestori e risultati, ma già Fama e French nel paper del 2010 intitolato Luck versus Skill in the Cross-Section of Mutual Fund Returns che abbiamo citato spesso avevano dimostrato che non è possibile distinguere la competenza dalla fortuna nei risultati di un asset manager.
Quali sono le caratteristiche di un asset manager che batte il mercato: esperienza, competenza, intelligenza, intuizione e sangue freddo.
Quali sono invece le caratteristiche di un asset manager che non batte il mercato: esperienza, competenza, intelligenza, intuizione e sangue freddo.
Purtroppo, la probabilità a priori che un certo evento si verifichi dovrebbe essere tenuta in considerazione infinitamente di più che altri fattori irrilevanti per il risultato finale, ma che la nostra umana esigenza di controllo si convince che abbiano un qualche valore perché non sopporta l’idea di vivere in balia del caso.
Questa cosa della nostra difficoltà a capire che non possiamo pensare di scegliere un fondo basandoci sulle sue performance passate o cercando di correlare competenza del gestore a risultati, deriva anche dalla nostra incomprensione della cosiddetta legge dei piccoli numeri.
La più nota legge dei grandi numeri dice che, su campioni di grandi dimensioni, si verificano determinate regolarità statistiche.
Sui piccoli numeri, invece, avviene proprio il contrario.
Più un campione è piccolo, più gli eventi sono estremi.
È famoso l’esempio di Daniel Kahneman che cita uno studio sulle contee con maggiore incidenza di tumori al rene negli Stati Uniti, che concludeva che c’erano più tumori nelle aree rurali e scarsamente popolate, come il Midwest o gli Stati del Sud.
Le contee con minore incidenza di tumori al rene negli Stati Uniti si trovavano a loro volta in aree rurali e scarsamente popolate, come il Midwest o gli Stsati del Sud.
Conclusione: il fatto di essere scarsamente popolate rende più probabile il verificarsi di casi estremi, ossia contee con altissime incidenze di tumori e contee con bassissime incidenze, mentre probabilmente a New York o Chicago il tasso di incidenza sarà risultato perfettamente in linea con la media.
Noi abbiamo per natura grossi problemi a considerare grandi numeri situazioni che invece sono piccoli numeri.
Migliaia di fondi attivi tra cui poter scegliere sono “piccoli numeri”.
5 anni di performance positiva sono un “piccolo numero”.
I 10 anni di vita di Bitcoin sono un “piccolo numero”.
Tirare conclusioni sul futuro basandoci sui piccoli numeri del nostro campione statistico del passato è perfettamente naturale, umano, intuitivo e semplicemente sbagliato.
Si potrebbe scrivere un libro di 1000 pagine sull’argomento, ma ci fermiamo qui perché il concetto dovrebbe essere chiaro.
Prima di prendere una decisione finanziaria chiedersi sempre:
– Ho compreso adeguatamente l’impatto dei valori percentuali ed esponenziali che conseguono da questa decisione?
– Ho considerato correttamente le probabilità oppure o sovrastimato o sottostimato un certo scenario?
– Ho valutato la probabilità a priori, il base rate, prima di prendere questa decisione oppure mi sto basando su pochi anni di performance passate, buoni presentimenti o sulla buona impressione che mi ha fatto la persona che mi ha suggerito un certo investimento?
Veniamo al SECONDO MOTIVO per cui non siamo fatti per investire.
Il secondo motivo riguarda la deformazione psicologica della nostra percezione del mondo.
Noi percepiamo il mondo in maniera strutturalmente distorta, per via del fatto che tendiamo a prendere la maggior parte delle decisioni sotto l’effetto di bias cognitivi, di cui spesso abbiamo parlato.
Come sempre il geniale e compianto Daniel Kahneman aveva illustrato al mondo, l’uomo ha due sistemi di pensiero.
Quello veloce, su cui fondiamo la maggior parte delle decisioni quotidiane, è intuitivo ed istintivo e si basa su errori sistematici della nostra percezione.
Quello lento, invece, è il pensiero analitico, che è in grado di correggere gli errori della nostra intuizione attraverso il ragionamento numerico e statistico.
Entrambe cose in cui non siamo fortissimi.
Purtroppo, la finanza è esattamente uno di quegli ambiti dove dovrebbe dominare il pensiero lento, mentre invece la stragrande maggioranza delle persone si fa obnubilare dalla propria sfera emotiva permettendo al pensiero veloce di prendere le decisioni più sciagurate.
Vendere quando tutti vendono è una decisione basata sulla paura, completamente irrazionale e contraria alla logica secondo cui comprare a prezzi scontati ha un ritorno atteso superiore.
Comprare quanto tutti comprano è una decisione basata sull’avidità, completamente irrazionale e contraria alla logica secondo cui comprare a prezzi alti ha un ritorno atteso inferiore.
Siamo mediamente terrorizzati all’idea di investire i nostri soldi, ma quando poi lo facciamo veniamo assaliti da overconfidence, dall’eccessiva fiducia nelle nostre capacità di “outsmart”, di essere più furbi del resto del mercato.
Da una parte ci è stato detto che la nostra miglior chance è comprare indici e starsene buoni, però no, abbiamo un buon presentimento che comprare questo o quella azione ci farà diventare ricchi prima, ignorando il fatto che ogni volta che compriamo o vendiamo dall’altra parte cè qualcuno che vende o compra, quindi la premessa del nostro ragionamento è che noi siamo più intelligenti della media degli operatori sul mercato.
Spolier alert: non lo siamo.
Se facciamo soldi con lo stock picking è perché abbiamo avuto culo.
Se ne perdiamo è perché abbiamo avuto sfortuna.
Più o meno è tutto qua.
“Eh ma allora Warren Buffett, Bill Ackman, George Soros e tutti i grandi investitori sono stati solo fortunati?”.
Certo che no.
Sono investitori di straordinario talento.
Così come di straordinario talento sono stati migliaia di investitori meno fortunati che nessuno conosce perché non hanno avuto abbastanza fortuna da diventare leggende.
E poi basta con questa cosa che sento sempre, che leggo su reddit o sui social, secondo cui se pochi incredibili investitori hanno fatto soldi scommettendo sulle azioni giuste allora tutti possono farlo.
No.
Sono degli outlier.
Dei casi super eccezionali.
Il 4% di tutte le azioni della storia del mercato americano è responsabile del 100% del rendimento generato dal mercato in generale.
Che probabilità hai di pescare questo 4% di società?
Direi il 4%.
Se ti dicessi di scommettere i tuoi soldi in una cosa che ha il 96% di probabilità di farteli perdere te li giocheresti? No ovviamente.
E allora perché continui ad essere convinto di avere “buoni presentimenti” e di poter fare singole scommesse che per essere vincenti presuppongono che tu sia più smart della maggioranza del mercato?
Boh…
No, il motivo è che la nostra struttura psicologica è deformata.
Non comprendiamo facilmente il concetto di survivorship bias, il bias del sopravvisuto, ci dimentichiamo che spesso ancoriamo i nostri valori di riferimento ad altri valori che non hanno nessun significato, diamo più peso a fatti recenti rispetto a fatti passati e soprattutto abbiamo questo ineliminabile vizio di raccontarci delle storie coerenti con le nostre convinzioni perché per noi è più importante confermare una certa idea su cui ci siamo impuntati piuttosto che accettare motivazioni oggettive per cui siamo nel torto e agire di conseguenza.
La fallacia narrativa, ossia il fatto che cerchiamo di costruire a posteriori delle spiegazioni forzate per cose che avvengono sui mercati e a supporto delle nostre decisioni passati, e il confirmation bias, il bias di conferma, il fatto che siamo più predisposti a cercare argomentazioni che supportino le nostre decisioni passate piuttosto che analizzare le ragioni contrarie, sono due ostacoli sistematici lungo la strada di una strategia di investimento a lungo termine basata sul buon senso.
Anche qui, su euristiche e bias potremmo fare un podcast a parte.
Ma il succo del discorso è che nasciamo con questa condanna: dovessimo prendere decisioni di investimento basandoci sul nostro istinto, sulle euristiche e i bias alla base della nostra percezione del mondo, e limitandoci alla nostra distorta comprensione intuitiva di leggi matematiche e statistiche probabilmente prenderemmo solo decisioni sbagliate.
Questo era il secondo motivo per cui l’investimento è, rispetto alla nostra natura, completamente controintuitivo.
Veniamo al TERZO e ULTIMO MOTIVO: non siamo biologicamente predisposti a investire.
Investire cosa significa?
Significa procrastinare.
Significa rinunciare a qualcosa oggi per qualcosa di più grande domani.
E non c’è niente di più lontano di questo dal sistema operativo che madre natura ci ha fornito quando ci ha messo al mondo.
Se ci pensate il nostro istinto primordiale è completamente concentrato sulla soddisfazione di esigenze immediate, perché quando vivevamo nelle caverne e incidevamo orrendi scarabocchi sulle pareti questa era l’unico modo di sopravvivere.
Per spiegare questa cosa faccio un esempio preso dall’ambito del fitness.
Fitness e investimenti sono due cose molto simili se ci pensate.
Entrambi si basano sulla pratica di procrastinare il piacere, facendo sacrifici oggi per un futuro migliore domani.
Se voglio dimagrire e mettere su muscoli devo mangiare in un certo modo, in deficit per perdere grasso o in surplus per la massa, tipicamente roba meno buona di quella che vorrei mangiare, proteine di qualità, carboidrati, pochi grassi saturi, pochi zuccheri, devo andare in palestra a spostare pesi, bere molta acqua e tutto il resto.
Insomma, una rottura di palle che richiede una vita di sacrifici e bastano poche settimane di sgarri per mandare tutto all’aria.
Esattamente come con la finanza.
Si risparmia oggi, si rinunciano a certi piaceri o certe spese, i soldi si investono e non si toccano e chissà, forse un domani ne avrò dei benefici. Forse. Se il mercato continuerà ad essere benevolo come nell’ultimo secolo e io non farò troppe cazzate per i due motivi di cui sopra.
Però tutto ciò è contro il nostro istinto biologico.
Vi siete mai chiesti perché le cose dolci e grasse piacciono a tutti mentre le verdure e il pollo piastra fanno mediamente cagare ai più?
Perché per sopravvivere ai nostri antenati servivano le energie fornite dagli zuccheri, dato che ogni momento era buon per scappar via da qualche predatore, e le riserve di grasso per superare i frequenti periodi di carestia.
Dal punto di vista evoluzionistico, è più importante per il nostro corpo incamerare grasso che non mettere su muscoli.
I muscoli, per il nostro corpo, sono tendenzialmente inutili e richiedono un sacco di fatica per costruirli.
Devi mangiare più di quel che vorresti, devi fare degli sforzi sempre maggiori per stimolare l’attività anabolica, quella che sintetizza le proteine e fa crescere il tessuto muscolare e appena smetti il corpo smette di fare questa roba (a meno di prendere anabolizzanti ovviamente).
Il corpo mette su muscoli perché quando uno va in palestra, lui è convinto che siamo combattendo con un mammuth o che siamo costruendo un rifugio spostando enormi massi a mani nude e allora dice: “boh, questo ogni giorno fa una fatica della madonna, mettiamogli su un po’ di muscoli sennò sti rifugio non lo finiamo più”.
Non pensa: “ah, adesso gli faccio venire due spalle così e il six pack sugli addominali così in spiaggi gli sta meglio il costume”.
No, se vuoi ottenere sta cosa devi fare una serie di attività contrarie al tuo istinto, dolorose, faticose e incerte, perché tra l’altro si sa cosa bisogna fare per essere in forma, ma poi ci sono mille fattori di natura genetica o altre circostanze soggettive per cui il fisico che sognavi, nella maggior parte dei casi, non riuscirai mai a realizzarlo.
Con gli investimenti è la stessa cosa.
Più sacrifici fai oggi, maggiori saranno le gratificazioni domani.
Ma per fare questo, dovrai fare tutta una serie di cose che sono in esatta antitesi con il software che hai incorporato nel dna.
Noi siamo fatti per il breve termine, per l’oggi, per la soddisfazione immediata.
La finanza personale è invece tutta proiettata al lungo termine, al futuro, alla soddisfazione procrastinata.
Il lungo termine è astrazione, solo il breve termine è realtà.
E rinunciare alla realtà per un’astrazione è un esercizio complesso che istintivamente proprio non ci viene di farlo.
Quindi sì, cari miei, voi che da 134 episodi state ascoltando The Bull, in realtà siete sottoposti ad una terapia di riprogrammazione dei vostri istinti.
Fino a prima di conoscerci alla maggior parte di voi manco passava per la testa di mettere da parte l’oggi per il futuro, almeno dal punto di vista finanziario.
Oggi invece, dopo questa terapia d’urto a cui vi siete liberamente sottoposti, il vostro cervello è stato costretto a comprendere gli strani comportamenti di percentuali ed esponenziali, di fenomeni probabilistici controintuitivi, di mettere da parte i bias e accettare di prendere decisioni che a prima vista ci sembravano strane e infine di andare proprio contro la nostra ancestrale struttura biologica, ossia rinunciare ai benefici certi dell’oggi per benefici incerti domani.
Detta così sembriamo tutti pazzi.
Ma in fondo fin dall’inizio di quest’episodio vi sto dicendo che non siamo fatti per investire.
Detti i tre motivi principali per cui NON siamo fatti per investire, veniamo alle due buone notizie.
La PRIMA BUONA NOTIZIA è che nonostante tutto il nostro apparato biologico-psicologico-cognitivo giochi contro di noi l’investimento, almeno l’investimento per il risparmiatore privato, è stato “risolto”.
“The investment problem has been solved” è una frase che al di là dell’Atlantico si sente dire spesso, dal Barry Ritholtz che ha ispirato quest’episodio, a Ben Felix, al grande Warren o ad altri grandi hedge fund manager leggendari come Mark Spitznagel, il socio di Nassim Taleb ed esperto nel fare soldi durante le crisi epocali.
La soluzione al problema dell’investimento le conoscete tutti molto bene:
– Spendi meno di quel che guadagni e investi regolarmente la differenza;
– Investi in un portafoglio diversificato di ETF a basso costo che replicano soprattutto grandi indici globali;
– Imposta la tua asset allocation in base al tuo profilo di rischio;
– Diversifica tra asset class non correlate tra loro, in primis azioni e obbligazioni ed eventualmente, ma non necessariamente, oro, materie prime, fondi immobiliari, ecc.
– Ripeti per tutta la vita, e, come insegnava il compianto Charlie Munger, per nessun diavolo di motivo interrompi il processo di capitalizzazione composta dei tuoi rendimenti.
Che il tuo portafoglio sia 60% azioni e 40% obbligazioni, un golden butterlfy, un all weather o un gigantesco minestrone fatto di 75 asset diversi per diversificare anche la correlazione del portafoglio alla pesca delle cozze o alla produzione di sciroppo d’acero, non è poi così importante.
Save and invest.
In prodotti a basso costo e diversificato.
Questa cosa nel lungo termine ti renderà il 4%, il 7% o il 10%?
Non lo so.
Nessuno lo sa.
Ma anche un worst scenario, uno scenario in cui un portafoglio che su trent’anni non ha mai reso meno del 6% finisca per rendere la metà, sarà comunque un successo finanziario che vi migliorerà la vita.
Quindi la prima buona notizia è questa.
Il nostro cervello farà di tutto per mandarci fuori strada, ma fortunatamente la soluzione è semplice, quindi nel dubbio fare sempre double-check prima di prendere ogni decisione, verificare se questa decisione si sposa con i principi di cui sopra, altrimenti non prenderla.
Ogni volta che vi verrà il dubbio se sia meglio investire in maniera noiosa e poco sexy come raccontiamo qui oppure in maniera eccitante e divertente con l’obiettivo di fare soldi velocemente, ecco, ricordatevi sempre che l’investimento — ossia: buy and hold, etf, indici, ecc. — ha un ritorno atteso positivo, mentre il trading ha un ritorno atteso negativo, almeno per la maggior parte delle persone che non sono trader professionisti.
Pertanto attenersi ai principi di cui sopra e toccare il proprio portafoglio il meno possibile, fino a prova contraria resta ad oggi l’idea migliore che possiate avere, per quanto controintuitiva possa sembrare.
L’altra buona notizia è che, come dire, tutto ciò implica un certo vantaggio competitivo.
The Bull è nato con l’intento principale di divulgare informazioni ed estendere la consapevolezza finanziaria in Italia. Poi ha avuto molto successo ed è diventato praticamente un lavoro quasi a tempo pieno, ma il suo obiettivo di fondo era questo: fare in modo che più persone possibili investissero i propri soldi in base ai principi che oggi si ritiene abbiano “risolto” il problema di come si investe.
Ciononostante, per i tre motivi spiegati oggi, probabilmente chi farà queste cose sarà sempre una minoranza.
Solo una minoranza vorrà intraprendere il percorso che avete fatto voi e soprattutto portarlo avanti a lungo termine.
Di questa minoranza, solo una sottominoranza farà lo sforzo per superare i limiti matematici e statistici connaturati al nostro pensiero.
Solo una sottominoranza di questa sottominoranza sarà abbastanza solida e fredda da non farsi obnubilare dalle emozioni, dai pregiudizi, dai bias e da tutto l’apparato di irrazionalità che imperversa nella nostra facoltà cognitiva, quella che dovrebbe essere invece il dominio della nostra razionalità assoluta.
Quindi solo una minoranza farà le cose giuste e questo in qualche modo porterà un beneficio per chi sacrifici è disposto a farne.
Se uno si spacca in palestra e poi in spiaggia sono tutti fisicati come lui o lei, capite che viene anche un po’ meno la motivazione.
C’è poi un altro aspetto, più strutturale, secondo me.
Che è collegato al concetto di paradosso del premio al rischio di cui avevamo parlato qualche mese fa.
Investire produce dei rendimenti perché comporta delle incertezze.
E le incertezze non sono solo di mercato, sono le incertezze derivanti dalle logiche controintuitive in base a cui l’investimento funziona.
È in qualche modo il fatto che ci sia tutta questa incertezza e controintuitività nell’investimento finanziario che questo continua a generare un rendimento atteso positivo.
E questo rendimento positivo è per i pochi disponibili a superare i limiti naturali che ci appartengono, a fare cose strane come rinunciare a piaceri oggi per benefici domani e a sopportare il peso delle emozioni durante le varie fasi dei cicli di mercato.
Tutto quel che c’è di strano, pauroso, apparentemente incoerente e lontano anni luce dal nostro istinto è forse la migliore garanzia di successo di tutti gli sforzi che ciascuno di noi sta facendo per migliorare la propria vita.
Bene, care amiche e cari amici di questo podcast terapeutico, siamo infin giunti al termine anche di questo 134esimo episodio dedicato a quanto è strano investire e al perché proprio il suo essere strano lo rende vincente.
Spero che vi sia piaciuto e grazie di cuore per avermi seguito per oltre 70 ore di chiacchiere insieme sul senso del risparmio, degli investimenti, della finanza e in qualche modo della vita in generale.
Come sempre vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che mentre vi spiegano perché la natura controintuitiva della finanza è la nostra forza, vi ricordano anche che quella piadina crudo e squaquerone alle 4 di notte o la terza pizza fritta della giornata potrebbero servire per affrontare il prossimo mammuth quindi va bene così sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con un nuovo appuntamento dedicato alla 135 seduta del nostro percorso di rieducazione verso comportamenti contronatura, sempre qui, naturalmente, con the bull, il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva
Gianluca G., 11 Set 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025