Strategie per ridurre il “Return Gap” (e una grande Novità!)

"Return Gap" significa che c'è una differenza tra il tuo rendimento come investitore e quello dei tuoi investimenti. In questo episodio ripercorriamo alcuni pilastri fondamentali dell'investimento per ridurre il rischio di Return Gap a lungo termine.NOVITA'!

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34 minuti
The Bull - No Thumb
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

138. Strategie per ridurre il “Return Gap” (e una grande Novità!)

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Risorse

Punti Chiave

Il tuo rendimento come investitore sarà quasi sempre inferiore a quello del mercato (Return Gap).

Minimizza il Return Gap con diversificazione, semplicità, pazienza e Piano di Accumulo (PAC).

Evita il 'performance chasing' e l'endpoint bias.

Un portafoglio semplice e diversificato riduce costi e impatti del rischio di sequenza, migliorando il risultato a lungo termine.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Non stavo più nella pelle nell’attesa di questo momento!

E non tanto per il contenuto dell’episodio di oggi, quanto perché dopo un anno e tre mesi da quando The Bull ha preso vita nel giugno del 2023 è finalmente giunto il momento per dare a tutti voi, fantastico pubblico di neoappassionati di finanza che vi siete digeriti 137 episodi fin qui arrivati, una grande notizia.

La notizia non riguarda il fatto che cambierà qualcosa di questo podcast, sarà sempre due episodi a settimana per tutto l’orizzonte prevedibile e sarà sempre la mia migliorabile voce a raccontarli.

Non cambierà canale, magari in futuro se ne aggiungeranno altri, ma per ora non sempre qui stiamo.

Né si unirà nessun altro alla conduzione, e tantomeno sostituirà il sottoscritto.

La notizia riguarda una cosa che a turno mi avete chiesto quasi tutti nel corso del tempo.

Molti di voi mi hanno scritto: “tutto bello eh? Però io devo riascoltarmi 10 volte gli episodi, prendere appunti, poi mi dimentico una cosa e non mi ricordo più dove l’avevo ascoltata, insomma… non è che potresti fare un documento scritto degli episodi di The Bull?”.

Il documento scritto degli episodi di The Bull non l’ho ancora fatto.

Ma ho pensato di fare di meglio.

O almeno, questa era l’obiettivo

Lascerò invece a voi come ai posteri la manzoniana ardua sentenza.

Pertanto, care amiche e cari amici di The Bull annuntio vobis gaudium magnum, ossia che sta per uscire il mio primo LIBRO dedicato alla finanza personale.

Ebbene sì, in pochi mesi ho cercato di condensare tutte le basi basi basi, per citare un amato ospite ricorrente di questo podcast, delle cose di cui parliamo qui ossia: perché è importante investire, perché tutta la questione si risolve attorno a tempo, risparmio e rendimento, come gestire le proprie spese, come funzionano le principali asset class e soprattutto come impostare il proprio portafoglio di investimento.

Nel libro ho cercato di fare un’estrema sintesi di tutti i concetti più importanti, così da racchiudere in qualche modo il cuore pulsante di quello spaventoso organismo che ho creato con questo podcast eterno.

Certo, non è che vi ho scritto dentro compra quest’ETF, quest’altro, quest’altro ancora e dopo domani sei ricco da fare schifo.

Però l’obiettivo e che in poco più di 200 pagine troviate racchiusi tutti i pilastri fondamentali per comprendere la finanza personale, farla propria e adattarla al meglio alla situazione personale di ciascuno.

Assieme all’editore, che è BUR Rizzoli del gruppo Mondadori, abbiamo deciso di chiamare il libro SEI GIA’ RICCO MA NON LO SAI.

Che sembra una cosa tipo: la vera ricchezza è quella interiore, i soldi non fanno la felicità e altre baggianate del genere.

No no tranquilli: si parla proprio di soldi.

E del fatto, come sapete tutti molto bene, che ciascuno di noi ha un potenziale finanziario da esplodere oltre la propria immaginazione una volta che si arma di due cose:

– La competenza, che è ciò che ho messo nel libro e di cui parliamo qui e

– La pazienza, che invece dovete darvi da soli.

Messi insieme questi due elementi la finanza personale si trasforma in un percorso che parte lento e poi accelera sempre di più verso la libertà finanziaria.

Devo a Francesca, la responsabile di questo progetto editoriale, il merito di aver condensato in 7 parole il senso profondo di un podcast che dura da un anno e mezzo, oltre al fatto di essere la stata la prima, in tempi ancora poco sospetti, a propormi il progetto e a seguire la sua realizzazione.

Devo inoltre ringraziarla per la pazienza che ha avuto nel sopportare i miei ritardi, i miei continui cambi di idee e di contenuti, il fatto che abbia scritto il libro agli orari più improbabili e praticamente in tre mesi costringendo il suo team a corrermi dietro lungo tutto il processo di revisione, insomma, santa Francesca da Segrate!

Il libro sarà disponibile su Amazon, sulle varie librerie online e nelle librerie fisiche a partire dal 24 di settembre, 20 giorni esatti da oggi.

Trovate però nella descrizione di questo e di qualunque altro episodio il link per pre ordinarlo su Amazon fin da questo istante.

Chi invece sta ascoltando quest’episodio dopo il 24 settembre 2024, beh, può comprarlo direttamente sempre con lo stesso link.

Perché pre-ordinarlo se esce il 24 settembre?

Allora io non ci capisco un cazzo di editoria.

Divoro centinaia di libri, ma di come si fa un libro e di tutte le logiche di distribuzione non sapevo un tubo fino a qualche settimana fa.

Comunque in pratica il discorso è che le case editrici stampano un tot di copie facendo una stima che si basa su quanti pre-ordini vengono fatti.

Quindi se pre-ordinate il libro poi vi arriva subito quando esce, altrimenti dopo potrebbe essere in ristampa e volerci qualche settimana in più.

Inoltre costa meno.

Già oggi ha tipo un 5% di sconto su Amazon rispetto al prezzo di copertina, che è di 15 €, mentre una volta che esce magari il prezzo schizza, che so, a 18 €! Oh 3 € sono quasi 2 caffè, non scherziamo!

Detto questo, spero vi piaccia, che lo possiate trovare utile almeno tanto quanto il podcast e che nero su bianco, con i grafichini, le tabelline e le tortine tutto sto profluvio di parole sulla finanza personale diventi per voi definitivamente chiaro, almeno nei suoi concetti essenziali.

Sei già ricco e non lo sai, scritto da me per Bur Rizzoli, link negli shownote dell’episodio, disponibile in pre-ordine fin da subito e poi in uscita negli store online e nelle librerie il 24 settembre.

Come sempre, fatemi sapere che ne pensate e sarò riuscito a soddisfare, almeno in parte questa richiesta che in tanti mi avete fatto.

E un quinto dell’episodio se n’è andato con il momento di autopromozione editoriale.

Marchetta fatta, possiamo passare al contenuto dell’appuntamento 138 di questo indescrivibile podcast.

Ora, mi chiedevo quale potesse essere il contenuto più coerente da accompagnare all’annuncio dell’uscita del libro e mi sono detto: “in fondo è l’inizio di settembre. Che fa uno tipicamente a settembre? Fa quello che più o meno fa il 2 di gennaio, ossia: grandi propositi di trasformazione nel prossimo futuro, ma con un maggior senso di nuovo inizio”.

In fondo è da quando andiamo all’asilo che siamo abituati a pensare l’inizio dell’anno a settembre, non a gennaio.

A settembre per noi è sempre ricominciata la scuola, il campionato di calcio, le nuove stagioni delle nostre serie preferite, oltre al fatto che settembre è rimasto il momento successivo all’unico lungo momento di stacco che abbiamo nella nostra vita professionale durante le vacanze agostane.

A che pensa quando uno è in vacanza e settembre si avvicina?

A mettersi a dieta o iscriversi in palestra, dopo essersi magnato anche le gambe delle sdraio e bevuto l’equivalente del Ticino in aperitivi sulla spiaggia.

A cambiare lavoro, nella speranza di una svolta non meglio precisata nella propria vita professionale.

E infine… beh… in alcuni casi, a sistemare le proprie finanze.

E quindi, dato che siamo ai primi di settembre, almeno per chi sta ascoltando il podcast più o meno live, facciamo un episodio universale su alcuni concetti imprescindibili da avere sempre fissi in testa ogni volta che si tratta di prendere una decisione d’investimento. L’idea però non è quella di parlarne in generale, ma di farne vedere l’impatto pratico e numerico per evitare a tutti neoinvestitori, o vecchi investitori poco avvezzi a fare i conti, brutte sorprese.

Il concetto di fondo dell’episodio, insomma, è il seguente.

Ok avete ascoltato un botto di episodi di The Bull, pensate di avere capito il grosso, avete iniziato ad investire i primi soldi oppure avete rimandato a settembre il grande giorno dell’inizio della vostra vita da investitori.

Ecco, prima di imbarcarvi verso stupefacenti viaggi verso il fallimento finanziario, vi propongo questo framework, questo schema di ragionamento fondato in una manciata di principi basti su buon senso e aritmetica da 5° elementare.

Qual è il punto di partenza?

È fondamentale capire ciò che sto per dire, perché forse è la singola parte più importante di tutto l’episodio: il vostro rendimento come investitori sarà con ogni probabilità inferiore al rendimento degli strumenti in cui investirete.

Riformulo: se l’insieme degli strumenti in cui investirete renderà X da qui al 2064, ecco, sappiate che con ogni probabilità il vostro rendimento effettivo sarà minore di X.

Mi spiace.

Per la maggior parte di noi, c’è quest’inesorabile sentenza matematica che pesa sulla nostra testa su cui non ci si può far molto.

In realtà il motivo lo conoscete già, ossia che se investite un po’ per volta e non tutto di botto all’inizio e poi mai più, di solito il rendimento effettivo che vi portate a casa viene diluito nel tempo, in particolare se i mercati conserveranno anche in futuro quella buona abitudine che hanno mantenuto nell’ultimo secolo di passare più tempo a crescere che a crollare.

Ribadiamo il concetto con un esempio nel caso non fosse chiaro.

Se investo 10.000 € in qualcosa che rende il 10% all’anno — seeeehhhh magari… — va beh, giusto per tenere i conti semplici, dicevo 10.000 €, 10% all’anno, dopo 7 anni e n’anticchia sono diventati 20.000 €.

Se invece investo 1.000 € all’anno nella stessa roba, farò circa 17.500 €.

Sarò sempre felice, ma mi sarò perso per strada un pezzo di rendimento.

È inevitabile no?

È proprio il meccanismo più basilare dell’interesse composto che fa funzionare le cose così.

Prima investo i soldi, più crescono.

Per questo abbiamo ripetuto fino alla nausea che la finanza personale, in fondo, si riduce all’indicazione di investire il prima possibile, il più possibile in un portafoglio che ottimizzi al massimo il rapporto tra rischio e rendimento per la mia situazione personale.

Ma la questione si riduce a questo.

Avere ben chiari alcuni principi universali di investimento hanno un impatto maledettamente pratico sul nostro rendimento a lungo termine.

Come dire: non si tratta solo di investire secondo principi di buon senso e facendo tesoro di ciò che un secolo di dati ci suggerisce.

Si tratta anche di avere delle buone pratiche proprio per limitare ciò che viene chiamato il “RETURN GAP” tra il rendimento dell’investimento e il rendimento dell’investitore.

Questa cosa è talmente importante che Morningstar ogni anno pubblica un report dal titolo “Mind the Gap” — dal celebre avviso che ormai tutte le metropolitane del mondo danno ad ogni fermata per evitare che qualcuno finisca nel buco tra treno e banchina — nel quale appunto fanno tutti i conti per capire quanto in media gli investitori hanno perso per strada investendo a cazzo di ca… cioè volevo dire, in maniera poco avveduta e statisticamente discutibile, ecco, diciamo così…

Il report è un bel pippone di 21 pagine, con tutte le sue belle tabelle e i grafici.

Ma in buona sostanza, il concetto fondamentale da portarsi a casa è il seguente.

In media chi investe in fondi o ETF, perlomeno se parliamo di investitori americani perché il report è fatto tanto per cambiare per gli Stati Uniti, dicevo in media chi investe in fondi o ETF lascia per strada l’1,1% all’anno di rendimento.

Se vi sembra poco, vuol dire perdersi un terzo del rendimento lungo 30 anni.

Ah già che ci siamo.

Se qualcuno si stesse ancora chiedendo se tutto sommato pagare il 2% all’anno in fondi comuni tutto sommato non sia granché, beh, il 2% all’anno in 30 anni si mangia via metà del rendimento del vostro investimento.

Così…

Repetita iuvant…

Quindi, l’1,1% se ne va via come Return Gap, quali sono i motivi?

Il PRIMO è strutturale: riguarda il fatto che investiamo un po’ per volta e non tutto in un colpo solo all’inizio.

Siccome il nostro rendimento reale deve contemplare l’impatto dei flussi di cassa, ossia del fatto che mensilmente cacciamo soldi dentro al portafoglio, si calcola in modo diverso dal rendimento del fondo, come avevamo spiegato nell’episodio 95 se non ricordo male.

Il rendimento del fondo, quello dell’ETF o del gestore del fondo comune, si chiama TWRR, Time Weighted Rate of Return, che in pratica significa metto i soldi all’inizio e dopo 1 anno, 3 anni, 5 anni e 10 anni vedo quanti soldi ho alla fine. Valore finale diviso valore iniziale meno 1 e ottengo la percentuale di rendimento.

Se poi voglio la media geometrica annualizzata, come sapete bene, valore finale diviso valore iniziale elevato a uno fratto anni meno 1.

Quando invece ci sono in mezzo i flussi di cassa il calcolo del cosiddetto Money Weighted Rate of Return, o Internal Rate of Return, in Italiano Tasso interno di rendimento, è più difficile.

In realtà non esiste una formula risolutiva, ma si fa in maniera iterativa con un programma tipo Excel.

Siccome per definizione il tasso interno di rendimento è il tasso di sconto che azzera il valore attuale netto del mio investimento bisogna tirare ad indovinare finché non si trova il valore risolutivo.

Va beh, in Excel c’è la formula, TIR.X, oppure in inglese XIRR e fa lui i conti.

Per esempio se confrontiamo 10.000 € investiti nell’MSCI world dal 2014 al 2023 con un investimento di 1.000 € all’anno sullo stesso indice otteniamo i seguenti risultati.

Nel primo caso avremo ottenuto 34.400 €, nel secondo 24.741 €.

Chiaramente il rendimento assoluto del fondo sul MSCI è nettamente superiore al mio rendimento individuale.

Se però guardiamo al Money Weighted Rate of Return, al tasso interno di rendimento, i soldi che ho investito un po’ per volta hanno generato un ritorno di quasi il 16%, contro il 13,16% dell’investimento secco all’inizio.

Da questo punto di vista, fantastico, perché significa che investendo un po’ per volta ho beneficiato della sequenza dei rendimenti, che sono stati maggiori negli ultimi 5 anni rispetto ai 5 precedenti.

Se però inverto l’ordine, naturalmente il rendimento time weighted è lo stesso, mentre nel caso dell’investimento tramite PAC, questo crolla al 10,14% e genera ben 7.000 € in meno di crescita, perché in questo caso la sequenza dei rendimenti sarebbe sfavorevole

Con questo ribadisco un tema a me caro toccato più volte, oggi sotto un’altra angolatura: più un portafoglio è volatile, maggiore è la possibilità che il mio tasso interno di rendimento si allontani dal rendimento time weighted, che è il rendimento del mercato.

Ora, questa è la cosa diciamo strutturale.

Non ci si può far niente.

Nessuno investe una tantum (che specifico per i molestatori del latino significa una volta sola, non una volta ogni tanto).

Ciascuno di noi investe un po’ per volta, poi magari vende qualcosa perché gli servono soldi, poi prende un bonus o riceve un’eredità e ne picchia dentro altri, insomma, se muovi i soldi, la sequenza dei rendimenti conta e il tuo risultato effettivo diverge dal mercato.

Nel bene o nel male.

E qui non è questione di matematica.

Va a culo.

Ora, posto che essere fortunati è meglio che essere capaci, secondo la proverbiale battuta di Napoleone su come preferisse i generali, facciamo che non ci affidiamo troppo alla buona sorte e che il nostro obiettivo è fare in modo che il nostro rendimento Money Weighted si avvicini il più possibile a quello di mercato.

C’è qualcosa che possiamo fare?

Qualcosa sì e le buone pratiche da implementare per questo obiettivo sono alcune delle medesime buone pratiche da adottare nella costruzione di un portafoglio impostato con buon senso.

PRIMO CONCETTO: indovina indovinello: la diversificazione.

Sulla diversificazione abbiamo detto così tante parole che se le mettevo in endecasillabi se la giocava con la Divina Commedia, però del resto non è colpa mia se questo è probabilmente il singolo concetto più importante di tutta la finanza personale, professionale, istituzionale, universale e galattica.

Che è un pasto gratis lo scrivono tutti, in realtà non sembra che Harry Markowitz l’abbia davvero detto, comunque è gratis nella misura in cui compri un ETF con 1.500 azioni invece che investire in 5, non è gratis se investi in azioni e obbligazioni perché il minor rischio lo paghi al prezzo di un minor rendimento atteso.

E questo lo sappiamo tutti.

Perché è rilevante per il discorso di oggi?

Per due motivi:

– Il primo motivo è che se non diversificate il vostro portafoglio vi esponete ad un rischio specifico significativo che, secondo Markowitz e il suo celebre allievo William Sharpe, non è remunerato dal mercato.
Quindi quando mi chiedete “ma cosa ne pensi di questo portafoglio fatto così e così” e dentro c’avete messo al 90% gli Stati Uniti — e che vi devo dire? State scommettendo su un singolo mercato, peraltro dominato da una manciata di aziende.

Questo va bene se siete sicuri che l’S&P 500 sarà l’indice più performante anche nel futuro, altrimenti boh, considerate di essere più diversificati.

– Il secondo motivo è che, come messo bene in luce dal report di morningstar, il return gap si amplifica tanto più l’investimento è concentrato.
Cioè è più probabile avere un return gap ampio laddove investite su mercati concentrati, su settori, su fattoriali e via dicendo.

Adesso non voglio annoiarvi a morte con mille numeri, però se nel report il gap medio è 1,1%, quando si tratta di settoriali il gap più che raddoppia al 2,6%.

Perché?

Ovviamente perché un settoriale è più volatile e più un investimento è volatile, maggiore sarà l’impatto della sequenza dei rendimenti.

E voi potreste ribattermi: “eh però rischio, come tu ci insegni, è sia rischio di guadagnare meno che di guadagnare di più”.

Vero, ma a mia volta vi rispondo che intanto, per come siamo fatti, abbiamo il bias del loss aversion, quindi ci gira più il culo per un mancato guadagno di quanto saremmo felici per un guadagno supplementare, pertanto la cosa non è simmetrica.

Inoltre, in media, siamo più portati a investire più soldi su trend che stanno andando bene e a togliere soldi quando vanno male, anche se andrebbe fatto esattamente il contrario.

Oggi continuano ad andare un sacco di soldi dentro gli ETF sull’intelligenza artificiale, non sulla Cina.

Ma la storia insegna che il grosso degli investimenti finisce nei trend che hanno già performato quando sono verso la fine del loro ciclo, quindi quando si scommette su settori, fattori, cose specifiche qualunque esse siano, di solito lo si fa perché sospinti dalle performance passate.

Un caso particolarmente emblematico di questa cosa risale ai tempi della bolla di internet.

Dal 1998 al 2001, il piccolo fondo Kinetics Internet realizzò una stupefacente performance con un rendimento medio annualizzato del 42% per 4 anni.

In pratica 1 dollaro investito all’inizio del 98 sarebbe diventato 4 volte tanto alla fine del 2001.

Il fondo partì con appena 100.000 dollari ed entro la fine del 1999, grazie ai suoi straordinari, attrasse oltre 1 miliardo e cento milioni di dollari di investitori che volevano salire sul carro.

E poi a metà 2000 scoppio la dot.com bubble.

Morale: l’investitore medio in Kinectics perse il 15,8% all’anno, ossia fece in media il 58% all’anno in meno del risultato time weighted del fondo.

Questa è una storia clamorosa, ma nella sua struttura assolutamente tipica.

Il Kinetics internet dei giorni nostri, che però raggiunse una dimensione quasi 10 volte tanto quella di Kinectis, è naturalmente l’ETF Ark Innovation di Katie Wood.

Dopo essere stato l’ETF più performante del mondo nel 2020, indovinando scelte come Tesla, Coinbase e Zoom, Ark Innovation è secondo Morningstar il terzo più grande distruttore di ricchezza nella storia dei fondi di investimento, capace di polverizzare oltre 7 miliardi di dollari dei suoi investitori.

Se prendiamo invece gli emittenti, Ark è il più grande distruttore di ricchezza della storia della finanza americana, capace di far svanire nel nulla oltre 14 dei 16 miliardi di dollari affidatigli dagli investitori.

E Ark innovation, comunque, è un ETF che dalla sua creazione nel 2014 ad oggi, ha fatto circa il 9% all’anno di total return.

Il problema è che il grosso dei soldi è arrivato dopo che una singola mega performance di un anno ha praticamente determinato l’intera media decennale del fondo.

Quindi: quando fai scommesse specifiche, oltre al rischio della scommessa, sappi che è molto probabile che il tuo return gap sarà significativo.

Discorso simile vale per esempio, in maniera meno estrema, per i fattoriali.

E per fattoriali intendo sia quelli che si rifanno al fattori di Fama e French (quindi, Value, Small Cap, Quality, ecc.), sia fattori impropri come i fondi ESG.

Ha attirato la mia attenzione il messaggio di un ascoltatore che mi ha chiesto un’opinione sul portafoglio, che come da prassi non gli ho dato.

Ma gli ho chiesto come mai avesse scelto di investire in un ETF sull’S&P 500 ESG.

La sua risposta, perfettamente sensata, era che le società maggiormente allineate su tematiche ESG avrebbero un vantaggio competitivo in futuro.

Possibile.

In effetti il fondo ha nettamente sovraperformato l’S&P 500 tradizionale negli ultimi anni.

In realtà il motivo per cui ha sovraperformato non c’entra con l’ESG, ma più probabilmente con il fatto che il 30% di quell’ETF è composto da Apple, Microsoft e Nvidia.

Avendo la metà delle società dell’S&P ed essendo più concentrato sui big winner, questo fondo ha fatto meglio dell’S&P.

Ma questa cosa, vi chiedo, è indicativa anche di una sovraperformance futura oppure il rischio di sequenza potrebbe giocare a sfavore di chi cominciasse ad investirci oggi?

Non lo so, lascio a voi la risposta…

Ad ogni modo, ricordatevi anche che il motivo per cui la maggior parte dei portafogli non è dominata da investimenti fattoriali, nonostante si sappia che in passato abbiano praticamente sempre reso di più, è anche perché, essendo più volatili, il return gap per l’investitore potrebbe amplificarsi rispetto agli investimenti sugli indici tradizionali.

Ti sei preso un MSCI World Momentum o un Quality?

Fantastico, ci scommetto una mano che da qui a 10 anni sovraperformeranno l’MSCI World.

Ma scommetto l’altro mano che il grosso di chi ci avrà investito non avrà sovraperformato l’MSCI World.

Così, previsioni a caso non richieste e pure un po’ arroganti.

Veniamo al SECONDO CONCETTO, strettamente correlato a quanto abbiamo, ossia quello di Endpoint Bias e Performance Chasing.

Endpoint bias è, come dire, la distorsione della nostra percezione legata al punto finale, all’endpoint, di un certo periodo storico di cui analizziamo i rendimenti.

Performance Chasing significa, naturalmente, correre dietro alle performance.

Il ragionamento medio dell’investitore è: un certo mercato, un certo settore, una certa asset class ha fatto TOT% dal millenovecentoX al duemilaY, quindi ci investo perché vuol dire che ho maggiori probabilità di ottenere rendimenti superiori.

Eh… dipende.

Per evitare di profondere altre mille parole, prendo un esempio esplicativo che vale per tutti: l’ORO.

Se vi ricordate, nell’episodio 133 avevamo raccontato che la performance dell’oro nel solo 1979 è stata talmente grandiosa che il rendimento medio dell’oro degli ultimi 45 anni si dimezza se solo partiamo dal 1980.

Un investitore del 1979 che avrà visto l’oro fare più del 100% in un anno e che si sarà convinto ad investirci nel 1980 sarà rimasto fortemente deluso.

E questa, sia oro, azioni, settori hot, fondi di super asset manager o quel che volete, è la storia più tipica della finanza.

Quindi attenzione a valutare le decisioni di asset allocation sulla base dei rendimenti passati.

Non tanto perché i rendimenti passati non siano una garanzia dei rendimenti futuri. Questo è sicuramente vero, però se un indice globale ha fatto per mezzo secolo l’8% all’anno, quest’informazione ha un peso statistico rilevante.

Ma se l’investimento è più concentrato, può essere che il rendimento medio storico e quello mediano siano molto diversi tra loro, cosa che tipicamente accade se ci sono singoli momenti di sovraperformance che alzano nettamente la media ma che restituiscono un’immagine distorta del rendimento medio che uno si può attendere per il futuro.

Quando costruisco la mia asset allocation devo quindi chiedermi: sto scegliendo un certo asset per via della sua performance passata? E se sì, questa performance è condizionata dall’endpoint bias, oppure è stata una performance relativamente coerente nel tempo?

Non che nel secondo caso sia una garanzia per il futuro, ma nel primo caso attenzione al quadrato.

A volte mi chiedete, per esempio, perché uno non dovrebbe investire tutto nel Nasdaq 100, visto la sua impressionante performance da quando esiste?

Ecco, se avete capito il concetto del return gap, avrete la risposta, dato che un indice estremamente volatile come il Nasdaq 100 espone ad un maggior rischio di sequenza e saremo tutti sempre più propensi a investire quando lo vedremo andar su che non il contrario.

Veniamo al TERZO CONCETTO: semplicità e pazienza.

Al netto di non considerarsi gli eredi di Warren Buffett o di George Soros, chi ha l’umiltà di pensare di non essere più smart della media del mercato — è noto il paradosso per cui la maggior parte degli investitori pensa di essere più bravo della media — la strada maestra verso la realizzazione del miglior risultato economico possibile a lungo termine è fatta di queste due cose: semplicità e pazienza.

Come diceva Charlie Munger: non si fanno soldi quando si copra un’azione; si fanno soldi aspettando e avendo pazienza che questa produca i suoi risultati.

Sì l’aforisma non era proprio così, ma il concetto assolutamente sì.

Di recente Jason Zweigt, uno dei più autorevoli editorialisti del Wall Street Journal, ha scritto un articolo in cui ironizzava sul fatto che la gente fa fatica ad investire in maniera semplice, buy and hold, senza fare niente di attivo, perché poi si trova ai barbecue e deve sopportare gli amici che si vantano di aver comprato Nvidia, o Bitcoin o il petrolio a leva 3 durante il covid e cose così.

E quindi poi ci sei, tu, stupido investitore in ETF a basso costo su indici globali che per anni non fai niente se non alimentare il tuo PAC, che sembri il più scemo della festa.

Certo, tutti sempre bravi a raccontare i trade vincenti.

Non so quanti ti raccontano invece quel trade sbagliato che ha causato il 90% delle perdite.

Stare fermi, non prendere decisioni attive, non fare scommesse specifiche e aspettare purtroppo sono tutte cose un po’ contro natura.

Nell’impostazione del mio portafoglio devo quindi sempre chiedermi: sto prendendo una certa decisione perché sono animato dall’istinto di FARE QUALCOSA, perché mi sento sbagliato a investire in modo passivo, perché penso di avere avuto una buona intuizione per accelerare il mio risultato? Ecco, in ciascuno di questi casi forse vale la pena riconsiderare le proprie intenzioni.

Non sono uno di quelli che dice: Vanguard FTSE All World and Chill.

Però insomma, tra un portafoglio di 5 ETF e uno con 50 titoli, ho una mezza idea su chi dei due otterrà il minor return gap.

Più il portafoglio è semplice, diversificato e generalista, minori saranno sia i costi che gli impatti del rischio di sequenza.

Maggiori saranno gli asset, la concentrazione e la speficità, maggiori saranno sia i costi che gli impatti del rischio di sequenza.

Sapendo questo cosa, vedete un po’ voi dove volete posizionarvi.

Parola di uno che ogni 3 giorni ha un’idea di investimento e poi deve fare mettersi a fare respiri profondi per ritornare in senno e non fare cagate.

Ultimo CONCETTO — o meglio, in realtà ce ne sarebbero tanti altri, ma ad una certa l’episodio devo chiuderlo — la superiorità del Dollar Cost Averaging, ossia di quel che qua da noi chiamiamo Piano di Accumulo, rispetto all’investimento episodico.

Io lo so che tutti voi lo sapete che, essendo impossibile fare timing sul mercato, la seconda cosa migliore da fare è investire in maniera graduale un po’ per volta.

Ma se sapete questa cosa, mi spiegate perché solo il giorno prima dell’uscita di quest’episodio ho ricevuto 27 messaggi in cui 27 di voi mi avete chiesto: “ma visto che settembre è storicamente il mese peggiore dell’anno, conviene aspettare che il mercato crolli e poi investire di più?”.

Ragazzi, che vi devo dire?

Intanto grazie per la stima, ma non prevedo il futuro.

Quindi, che ne so…

Poi, settembre è il mese peggiore dell’anno … in media.

Non tutti gli anni va così.

E poi quanto investiamo? Il 30 settembre, il 1° ottobre, metà ottobre?

L’anno scorso settembre è stato negativo, ma il mercato ha toccato il fondo il 27 ottobre.

Non è così scontato che a settembre tu possa fare davvero buy the dip.

Nel 2008 a settembre, il mese del fallimento di Lehman Brothers, l’S&P ha perso il 16%.

Ma poi, dal 1° ottobre al marzo del 2009 avrebbe perso ancora qualcosa come il 30%.

Avrei voluto vedere quanti sarebbero stati contenti di fare buy the dip il 30 settembre e poi vedere i loro soldi tornare a quel livello solo 10 mesi dopo.

Insomma, tutto quello che sulla carta sembra semplice e scontato nella realtà non lo è.

Altrimenti lo farebbero tutti, non è che il mercato sta aspettando che voi facciate la vostra geniale mossa a cui non aveva pensato nessuno.

Per restare nel recinto del tema di oggi: più i vostri investimenti sono “temporizzati”, cioè fatti ad hoc in specifici momenti secondo il vostro feeling, maggiore è la probabilità di sperimentare il return gap.

Per riassumere: diversificazione, indifferenza a singole performance passata, semplicità, pazienza e costanza.

Questo è un semplice framework di riferimento per impostare correttamente almeno l’80% del portafoglio.

Scrivetevelo da qualche parte, fatte come suggerisce Jason Zweigt un contratto scritto con voi stessi con queste regole e applicatele ogni volta che state per cliccare BUY sul vostro broker.

Se la vostra decisione dovesse essere in conflitto con uno di questi concetti, ehhh, beh poi non lamentatevi se al prossimo barbecue il babbo che fa PAC passivi senza pensarci avrà fatto più soldi di voi brillanti asset manager mancati che con la vostra sola presenza fate sembrare Wall Street anche Buccinasco o Lanciano.

E con questa ennesima cretinata ci avviamo alla conclusione di questo storico 138esimo episodio del podcast, con il quale lanciamo nel mondo la notizia che dal 24 settembre uscirà il libro del sottoscritto, Sei già ricco e non lo sai, e che potete preordinare già da oggi su Amazon al link che trovate nella descrizione dell’episodio.

Spero di cuore che chi di voi lo leggerà lo troverà un utile supporto scritto ai miei sproloqui bisettimanali in questo podcast, e che possa esservi di ulteriore aiuto nel vostro cammino verso una vita finanziariamente di successo.

Per continuare invece a sfidare i 46 podcast di Barbero nelle classifiche vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su Spotify, Apple Podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che come l’Iliade e l’Odissea nascono orali, tramandano a voce gesta eroiche di investitori coraggiosi e viaggi interminabili nei meandri della finanza e diventano infine degli scritti per i posteri di ogni tempo sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo domenica prossima con un nuovo capitolo della nostra saga epico-finanziaria che Omero spostati, sempre qui, naturalmente, con the Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!

Giorgia R., 23 Gen 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025
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