Su cosa ho cambiato idea in questi 2 anni (e cosa invece sarà sempre valido)

Dopo due anni di questo podcast quali principi considero ancora inviolabili e su quali ho invece modificato il mio punto di vista. Parliamo di regole senza tempo e di come si sono evolute le idee di factor investing, lungo termine e scopo della finanza personale.

Difficoltà
38 minuti
Su cosa ho cambiato idea in questi 2 anni (e cosa invece sarà sempre valido)

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Punti Chiave

L'episodio ripercorre i 2 anni del podcast, riaffermando i principi base dell'investimento e condividendo l'evoluzione del pensiero su approccio sistematico, factor investing e la vera essenza della libertà finanziaria.

Trascrizione Episodio

Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Ultimo episodio del secondo anno del nostro podcast cari miei.

Intorno al 10 di giugno del 2023, quando ancora ero senza figli e potevo essere certo che una volta andato a dormire alla sera avrei poi dormito fino al mattino, metaforicamente diedi alla luce questa creatura che accompagna i più temerari tra voi, 2 volte a settimana, ormai da due anni.

Mai avrei pensato che qualcuno lo avrebbe ascoltato davvero.

Ancor meno avrei mai pensato che di lì a 18 mesi sarebbe diventato il mio vero lavoro.

Ridendo e scherzando, invece, 219 episodi dopo, 140 mila e fischia persone che hanno messo follow tra le varie piattaforme di streaming e quasi 3 milioni di ore nel corso delle quali la via voce è stata ascoltata, eccoci qua, fine anche del secondo giro di boa.

Il prossimo episodio sarà quello celebrativo per la seconda festa di compleanno di The Bull!

E per l’occasione non potrei essere più felice di avere con me un ospite che ha avuto una straordinaria influenza sulla formazione di tutto il mio pensiero sugli argomenti di cui parliamo qui e che fin dai primissimi episodi è stato spesso citato come punto di riferimento e autorità indiscutibile.

Infatti, mercoledì prossimo, sarà con noi… beh… ve lo dico alla fine dell’episodio, quindi state con me per una mezzoretta.

A proposito della formazione del mio pensiero sulla finanza personale, sugli investimenti e tutto l’ambaradan, non lo so:

– Sarà che il prossimo è l’episodio del secondo compleanno e quando ci sono gli anniversari si tende sempre a tirare un po’ le somme;

– Sarà che per qualche motivo molti tra voi mi hanno scritto di recente che si stanno riascoltando TUTTO il podcast dall’inizio — oh ma? State bene? Guardate che già sentire la mia voce è quello che è. Gli argomenti ok sono superutili, ma il supplizio di doverla sentire due volte anche no. Ma poi all’inizio vi ricordate? Registravo nell’armadio, si sentivano sotto ambulanze e gatti, mi impappinavo con le parole, ma chi ve lo fa fare.

– Sarà che spesso mi scrivete per chiedermi se nel frattempo ho cambiato idea su qualcosa dopo avere cacciato fuori la bellezza di oltre un milione e duecentomila parole.

Insomma, sarà per questo mix di motivi, ma oggi era inevitabile un episodio un po’ introspettivo, anche perché mi sono stufato di commentare ogni giorno i mercati, che ormai è solo: E Trump alza i dazi su questo, no li abbassa su quello, ah l’ha chiamato Xi Jinping, TACO sì, TACO no, la BCE ha tagliato i tassi per l’ottava volta di fila, il debito americano è fuori controllo, anzi no è tutto ok i rendimenti dei Treasury scendono, anzi no aspetta hanno assunto un sacco di gente anche a maggio mo risalgono… pfffff — che noia.

Quando succederà qualcosa di realmente interessante ne parleremo, come sempre, ma per come ci siamo abituati in questi mesi, ormai se l’S&P 500 non fa almeno -3% neanche ci facciamo caso.

Certo, c’è un risvolto romantico tragico che un po’ tocca il mio cuore.

Quando le grandi storie d’amore finiscono, del resto, è sempre una cosa che fa soffrire.

Dopo Shakira e Pique, dopo Brad Pitt e Angelina Jolie, dopo Totti e Ilary e dopo Chiara Ferragni e Fedez, un altro grande amore sembra definitivamente tramontato e come spesso succede alle coppie famose, da qui in poi aspettiamoci fuoco e fiamme.

Trump e Musk hanno ufficialmente sbroccato.

Incredibile.

Eh sì che avrei giurato che due persone così miti ed equilibrate, sempre pronte a mettersi nei panni del prossimo per comprenderne esigenze e sentimenti, non avrebbero mai potuto scazzare a tal punto. Diciamo che il tweet di Musk in cui ha definito una porcheria il Big Beautiful Bill di Trump non deve aver disteso i già tesi rapporti tra i due superamiconi di un tempo.

Ma mi chiedo, ma quando sti due si sono trovati un paio di anni fa e hanno deciso che avrebbero creato questo sodalizio politico, ma di cosa hanno parlato?

Quando Trump ha messo Musk alla guida di quella buffonata chiamata Doge che avrebbe dovuto recuperare Trillions ottimizzando ed efficientando la spesa pubblica non gli aveva detto che avrebbe anche fatto passare una legge che prevede un aumento di 2,5 trilioni di dollari di deficit?

Intanto, appena giovedì questa scaramuccia è diventata pubblica il titolo di Tesla è precipitato del 14% tirando giù di un punto l’S&P 500, che da ampiamente positivo ha poi chiuso la giornata in rosso.

Praticamente questa scaramuccia è costata alla più importante società di Musk qualcosa come 150 miliardi di dollari di capitalizzazione.

Oh ne se le sono mandate a dire.

Trump ha detto che per recuperare miliardi di dollari basta togliere le sovvenzioni e i contratti governativi alle società di Musk, in particolare SpaceX.

Musk, che non è permaloso per niente, se ne uscito con:

– Trump che sarebbe negli Epstein Files, cioè nella lista secretata di personaggi famosi che avrebbero partecipato a festini con minorenni, che una volta venuti alla luce portarono Epstein al suicidio;

– Poi ha detto che intende fondare un partito alternativo a quello repubblicano

– E infine ha proposto l’impeachment per Trump.

Vedremo come evolverà la situazione, ma qualcosa mi dice che non sarà l’ultima volta che commenteremo questo celebrity deathmatch tra l’uomo più ricco e quello più potente del pianeta.

E mi dispiace per chi non ha la mia età e non ha passato l’adolescenza guardando MTV e i cruenti scontri all’ultimo sangue tra personaggi famosi in plastilina.

Torniamo alle cose serie, però.

Dicevo episodio introspettivo invece, perché effettivamente ci tengo a rispondere a questa domanda, soprattutto per coloro che magari sono capitati qui da poco e non si sono fatti tutto il viaggio dall’episodio uno al 220: “ho cambiato idea su qualcosa in questi due anni?”.

Ora, a scanso di equivoci.

L’unica risposta giusta a questa domanda sarebbe: “eh sticazzi se hai cambiato idea su qualcosa”.

Cioè, chisse ne frega, non è che dici Gene Fama ha iniziato a vedere bolle dappertutto e a dire che i mercati sono emotivi e inefficienti.

Se cambia idea Gene Fama, finisce sul Wall Street Journal.

Se cambia idea chi vi sta parlando, capite, è interessante come le tipiche notizie estive di Studio Aperto su afa, anziani, bere tanto e non esporsi al sole nelle ore più calde della giornata.

Casomai è interessante come si è evoluto il mio pensiero rispetto a delle idee che non sono mie, ma che rappresentano un po’ lo stato dell’arte di ciò che ormai si sa su finanza, investimenti, portafogli e tutto il resto.

Quindi oggi non è che vi dico: “ma sapete, prima la pensavo così, oggi la penso cosà”.

Cioè “non fregava a nessuno prima, continua a non fregare adesso”.

Gli obiettivi, ben più utili, sono invece questi:

– In primis parlare delle cose più importanti che NON SONO CAMBIATE e che pistola alla tempia continuerei a giurare che sono la base fondamentale dell’educazione finanziaria. Fortunatamente i principi fondamentali che dovrebbero guidare la pianificazione finanziaria di ciascuno di noi sono oggi gli stessi di 2 anni fa. Altrimenti se cambiassero ogni due per tre non si chiamerebbero principi ma, che ne so, programmi politici del tipico partito medio italiano.

– In secondo luogo, invece, ci sono effettivamente una serie di cose che in questi due anni ho approfondito massicciamente e a cui oggi darei più importanza di quanta ne diedi a inizio podcast. Non direi che ho cambiato idea su qualcosa, quanto piuttosto che sono parzialmente mutate le prospettive e i pesi specifici di alcuni concetti, all’interno del corpus generale di conoscenze che condividiamo qui ogni settimana.

Ovviamente non ho modificato il mio punto di vista su qualcosa per esperienza diretta. Qualunque cosa sia successa in questi due anni sui mercati è perfettamente irrilevante per trarre conclusioni che dovrebbero valere a lungo termine.

Più che altro, in questi due anni in cui parlare di finanza è diventato il mio lavoro, sono stato necessariamente esposto ad una quantità esorbitante di ricerca e informazione, come forse neanche in tutta la mia vita precedente l’inizio del podcast.

Ma oltre a questo, devo ammetterlo, parlare di persona con i personaggi stellari che sono venuti in questo podcast ha fatto una grande differenza qualitativa.

Palare con Gene Fama, con Ed Yardeni, con Rob Arnott, e poi con Christine, con Ben, con Larry, con Barry, con Meb e persino con quel guastafeste di Mike Green ha fatto la differenza.

Un conto è leggere le cose.

Un conto è ascoltarle da qualcuno.

Un conto è discuterne di persona.

Non so spiegare perché.

Ma le cose semplicemente le capisci meglio quando ti confronti con personalità di questo tipo.

E in qualche modo il tuo cervello comincia a pensare diversamente.

Però partiamo da ciò su cui NON HO CAMBIATO IDEA, manco per una virgola — e che se iniziassi ogni un nuovo canale di finanza (uuuhhh spoiler? Chi lo sa…) — dicevo, ancora oggi continuerei a prescrivere le stesse regole.

REGOLA NUMERO UNO: i soldi possono essere investiti solo in due modi, in prestiti o in società. Nell’universo degli asset investibili quotati — e quindi escludendo terreni o real estate — non ci sono alternative a queste due. Se hai del capitale puoi farlo fruttare ad un rischio relativamente basso prestandolo per un certo periodo di tempo in cambio di un interesse, cioè in obbligazioni — e sappiamo che la sua forma più vicina al concetto di risk free sono i titoli di Stato; oppure puoi prenderti più rischio e investirli in società in cambio di un incerto flusso di dividendi futuri, quindi in azioni. Fine. Tertium non datum, dicevano i logici medievali.

Di conseguenza, la componente core del portafoglio di investimento di chiunque su questa terra — finché parliamo di INVESTIMENTO — sarà sempre una qualche combinazione tra queste due macro categorie, in base al rischio che uno si vuole assumere e al rendimento che vuole ottenere.

Questo è il punto di partenza concettuale fondamentale, per un motivo molto semplice. Quando uno inizia a cercare di capire come si fa ad investire, solitamente il suo pensiero è: “ma come si fa a sapere quando bisogna comprare un asset e quando venderlo?”. Invece non funziona così, come sappiamo tutti ormai molto bene.

Si INVESTE quando i nostri soldi finiscono dentro asset che hanno un valore intrinseco, cioè asset — per dirla in maniera figa — il cui valore presente esprime i flussi di cassa futuri attualizzati da quel tasso di sconto che corrisponde al rendimento che il mercato nel suo complesso pretende per investirci.

Se invece il valore di un asset dipende solo da dinamiche di domanda e offerta parliamo di asset speculativi.

Possono comunque avere un ruolo importante nei portafogli, ma quando parliamo di investimenti in senso stretto: prestiti e società, punto.

Il cuore del portafoglio medio non può che quindi essere questo, adattato in base alle preferenze soggettive dell’investitore.

REGOLA NUMERO DUE: il portafoglio deve esprimere una vasta rappresentazione diversificata e a basso costo delle asset class di riferimento.

Per un investitore europeo, il livello zero del portafoglio è una qualche combinazione tra un indice azionario internazionale pesato per capitalizzazione e un indice di titoli di stato investment grade, con tutte le scadenze (che quindi in media fa una scadenza intermedia), e prevalentemente, se non esclusivamente, in euro.

Cioè come al corpo servono Carboidrati, Proteine e Grassi — e non ci sono altri macronutrienti — qui i marconutrienti fondamentali sono due: azioni internazionali pesate per market cap e titoli di stato in valuta domestica.

Poi uno può decidere se assumere i macronutrienti mangiando solo avena, riso, pollo, legumi, olio d’oliva, frutta secca e avocado oppure se vivere di Big Mac o ristoranti stellati. Ma i macro sotto ci devono essere.

Altrimenti muori.

O diventi povero, come nel caso della finanza.

REGOLA NUMERO TRE: perché market cap weighted?

Perché l’ipotesi di default per qualunque investitore retail — e per la stragrande maggioranza degli investitori istituzionali — è l’ipotesi dei mercati efficienti del nostro Maestro Jedi Gene Fama. I prezzi incorporano già tutte le informazioni disponibili, quindi in ogni dato momento il mercato rappresenta la media di tutte le opinioni di tutti gli investitori del mondo. Di conseguenza, fino a prova contraria, i suoi prezzi sono giusti.

Questo non vuol dire che il massimo rendimento si ottiene copiando un indice market cap weighted. Con il senno di poi emergono sempre delle distorsioni.

Significa solo che copiare il mercato è l’assunzione di partenza, perché non c’è modo, a partire dalle valutazioni attuali, di prevedere il comportamento futuro degli asset.

REGOLA NUMERO QUATTRO: il bilanciamento tra i due macro nutrienti principali, tra azioni e obbligazioni, dipende deve essere guidato dal profilo di rischio dell’investitore, che come sappiamo è composto di tre elementi.

– Il primo è il rischio che sono *disposto* a prendermi. Quindi la mia risk tolerance. Una regola di pancia molto veloce è dire: “fino a che punto può perdere valore il mio portafoglio prima che dia fuori di matto?”. Prendo quel valore e lo moltiplico per 2-2,5. Quella è grosso modo la quota di azioni che dovrei avere in portafoglio.
Mettiamo che ho 100.000 € investiti. Posso sopportare che vada ad un certo punto a 70.000 €? Se la risposta è sì, allora probabilmente 60-70% di azioni sono compatibili con questo profilo di rischio.
Se invece al massimo posso tollerare che vada a 90.000 €, allora più di 20-25% di azioni è meglio che non ne metta.

– Il secondo è il rischio che *sono in grado* di prendermi. Quindi la mia risk capacity. Che è un concetto legato all’orizzonte temporale dei miei obiettivi e agli altri fattori della mia situazione finanziaria complessiva, come reddito, capacità di risparmio, debito, flessibilità temporale dei miei obiettivi e così via. Se ho un orizzonte temporale lungo e flessibile, posso permettermi un’ampia esposizione azionaria. Se invece l’orizzonte è breve e rigido, allora il contrario.

– Il terzo è il rischio che *devo* prendermi, il mio risk need. Che è legato al rendimento necessario per realizzare i miei obiettivi — ed è, diciamo, la componente goal based di questo framework che parte dal rischio. Risparmio mille euro al mese e devo raggiungere un milione di euro tra trent’anni? In assenza di altre variabili ho bisogno di un portafoglio che abbia un rendimento medio annuo composto del 6% all’anno, altrimenti non ci arriverò mai. Preferisco un portafoglio meno rischioso che renda il 4%? Benissimo, a meno che non aumenti il risparmio mensile, sappi che a un milione tra 30 anni non ci arrivi. Cosa è più importante per te? Raggiungere il risultato o avere un portafoglio meno rischioso? Dall’equilibrio che emerge da questa risposta troverai il bilanciamento corretto per il TUO portafoglio.

REGOLA NUMERO CINQUE — e questa è forse la più importante di tutte. Quale portafoglio sceglierai per la tua vita conta meno di quel che si crede. Certo, i rendimenti possono variare moltissimo. Ma come abbiamo detto tante volte, investire con continuità in un portafoglio che risponda almeno alle prime quattro regole crea già un valore differenziale immenso rispetto a non investire o investire pagando il 2% all’anno di commissioni in strumenti di dubbia utilità. Poi se uno ci si vuole mettere, chiaramente avere un portafoglio che renda il 4, il 5, il 6, il 7 o l’8% all’anno per una vita fa una grande differenza.
Ma… mettiamola così. È una differenza quantitativa.
Mentre investire per tutta la vita con buon senso fa innanzitutto una grande differenza qualitativa.

La cosa però che conta più in assoluto, qualunque sia il portafoglio, è quanto ci si mette dentro. Se devo scegliere tra dedicare 2 ore al giorno a seguire i mercati e ottimizzare alla terza cifra decimale lo sharpe ratio del mio portafoglio o dedicarle a qualcosa che aumenti il mio reddito, posso garantirvi con certezza assoluta che la seconda decisione è quella finanziariamente giusta.

Investire 1.000 € al mese per 30 anni in un portafoglio che rende in media il 6% è un modo infinitamente più sicuro per raggiungere un milione di euro rispetto ad investirne 500 in un portafoglio che rende quasi il 10%.

Direi che queste 5 regole riassumono un po’ il semidecalogo fondamentale che anche tra 15 anni probabilmente ripeterei paro paro.

Se dovete riassumere a qualcuno le cose fondamentali da sapere ditegli queste 5. Magari non le capirà tutte, soprattutto l’ipotesi dei mercati efficienti non è proprio digeribilissima all’inizio, però, insomma, si fidi di voi che avete ascoltato 220 episodi da 30-40 minuti ciascuno su finanza e portafogli e sapete che questo è il nucleo minimo dei principi di buon senso per investire con successo nel tempo.

Questo e l’insieme di regole pratiche che gli vanno appresso, tipo:

– Usa strumenti a basso costo ed efficienti come gli ETF;

– Investi con continuità nel tempo;

– Non provare a fare market timing per farai solo cagate;

– Non tenerti i soldi da parte aspettando la prossima crisi prima di investirli perché è statisticamente un’idea del ca**o;

MA SOPRATTUTTO

– Ricordati che rischio e rendimento sono prezzati piuttosto bene sui mercati finanziari; quindi, non è possibile generare rendimenti senza rischi corrispondenti — mentre è assolutamente possibile il contrario, prendersi rischi elevati per rendimenti deludenti, soprattutto se si usano prodotti costosi e inefficienti. Di conseguenza, ogni volta che qualcuno prometterà dei corposi guadagni SICURI con dei rischi limitati — beh — puoi star certi che quella cosa o non esiste o ha un prezzo.

Detto questo, quali sono invece le cose su cui il mio pensiero è mutato nel tempo. Devo dire che forse le due conversazioni che più hanno stimolato il mio cervello sono state quelle con Larry Swedroe e con Robert Arnott — oltre chiaramente a quella con Fama.

Loro due hanno sicuramente contribuito in maniera significativa a farmi ragionare su alcune cose che sono gradualmente salite di importanza nella gerarchia dei miei principi guida — e in particolare sulla prima di queste QUATTRO, chiamiamole per brevità, NUOVE IDEE a cui oggi darei più importanza rispetto a due anni fa.

Non sono mai state davvero “nuove”, ma le chiamiamo “nuove” per intendere che a queste tre oggi do più peso che in passato.

La PRIMA IDEA è questa: non esiste l’investimento *passivo*.

Noi parliamo sempre di passive investing perché facciamo riferimento all’idea di utilizzare strumenti basati su indici che replicano vasti mercati e usiamo la parola “passivo” in contrapposizione all’idea di “investimento attivo”, che nel nostro immaginario significa “investimento discrezionale in singoli titoli e attraverso un timing arbitrario”.

In questo senso è sicuramente investimento “passivo” quello che facciamo tutti noi.

Ma in molti altri sensi non è passivo proprio per niente, perché in realtà prendiamo tante decisioni attive.

– Quante azioni e quante obbligazioni avere in portafoglio;

– Quale esposizione internazionale avere sulla parte azionaria (Solo Paesi Sviluppati? Sviluppati e Emergenti? Solo Large caps o anche small caps? Indici di MSCI, di FTSE, di S&P o altro ancora?);

– Quale esposizione sulla parte obbligazionaria (solo titoli di stato in euro a scadenza intermedia? Anche titoli corporate? E altri titoli di stato globali? Cambio coperto o scoperto? E le obbligazioni a lunga duration? E quelle indicizzate all’inflazione?)

– E ancora: che politica di ribilanciamento seguo? Ogni anno? Oltre il 10% di drift relativo? Oltre il 10% di drift assoluto? Uso il metodo psicopatico del buon Nick Protasoni che suggerisce di ribilanciare un dodicesimo di portafoglio al mese?

– Per non parlare poi degli asset alternativi: metto l’oro? E se sì quanto? E le materie prime? E Bitcoin?

L’unico vero portafoglio passivo sarebbe il market portfolio, di cui parliamo ogni tanto.

Ma già solo per il fatto che non investiamo una tantum, ma tendenzialmente un po’ per volta ogni mese e poi ad un certo punto preleveremo un po’ per volta ogni mese, comunque c’è una dimensione attiva nell’investimento passivo.

Per queste e per tutta un’altra serie di ragioni ho maturato la consapevolezza che “passivo” sia una parola che va bene giusto per capirci, ma sbagliata se andiamo più a fondo.

La parola che oggi preferisco — ed è una parola di Larry — è “sistematico”.

La versione evoluta dell’investimento passivo è l’investimento sistematico, cioè un modello di investimento che cerchi di eliminare per quanto possibile ogni decisione arbitraria e si affidi a *regole*.

Per la maggior parte dei risparmiatori, probabilmente mettere — boh — dal 40 all’80% dei propri soldi in MSCI ACWI e il resto nel Bloomberg Euro Aggregate Treasury è già un modo per fare il grosso del lavoro.

Ma più si va avanti e più ci si appassiona a questo mondo, più ritengo che costruirsi un sistema di regole a cui attenersi sia la chiave sia per avere un portafoglio migliore, sia per non prendere decisioni stupide dettate da un particolare momento di emotività.

La regola di The Bull è una di queste, per seguire un’allocation coerente con dei valori oggettivi e indipendente da variazioni di sentiment sul mercato.

La regola di ribilanciare con un drift del 10% è un’altra che utilizzo.

Così come l’idea di avere circa un 7-8% di oro

La quantità di cash nel fondo di emergenza, che ovviamente oggi è diversa rispetto a quando ero un dipendente a tempo indeterminato.

Allo stesso modo ho delle regole sul contributo mensile che verso nel mio portafoglio e le proporzioni distribuite sui vari asset.

Non posso essere certo che queste siano regole che massimizzerano il ritorno complessivo del mio portafoglio.

Ma sono giunto alla conclusione che sono regole che funzionano per me e che mi permettono di tracciare un sentiero piuttosto chiaro da seguire per il futuro.

Purché abbiano un senso, non è importante quali regole scegliamo.

L’importante è che siano coerenti con i nostri obiettivi di investimento e che le rispettiamo nel tempo.

Chi si allena in palestra, per esempio, sa benissimo che esistono migliaia di possibili schede di allenamento tutte assolutamente valide.

Usare solo pesi liberi? Va bene.

Usare solo macchine? Va bene.

Fare solo total body? Va bene.

Fare solo un gruppo muscolare al giorno? Va bene.

Purché gli esercizi si facciano bene, i carichi progrediscono, l’alimentazione è corretta e c’è costanza, tutto funziona.

Una cosa invece sicuramente non funziona: saltare ogni giorno di palo in frasca e provare un sistema diverso. Quella è una ricetta abbastanza sicura per risultati insoddisfacenti.

Mentre invece una volta che si sceglie la routine migliore per noi e che si concilia meglio con l’equilibrio della nostra vita, allora quella sarà la routine che massimizzerà i nostri risultati.

Idem con il portafoglio.

La SECONDA IDEA è una conseguenza specifica di questo discorso.

Negli anni ho sviluppato un sempre maggior interesse per quello che in senso stretto potremmo chiamare Factor Investing e più in generale rule-based investing.

Il factor investing cos’è del resto: è un approccio quantitativo all’asset allocation che segue alcune regole precise.

Momentum investe nelle società che sono cresciute di più negli ultimi 12 mesi; value in quelle con un basso prezzo rispetto al valore patrimoniale; quality in quelle con elevata profittabilità e basso indebitamento e così via.

Dare un tilt fattoriale al portafoglio, ossia una regola sistematica che mi porta a prendermi certi rischi per provare a sfruttare certe dinamiche ricorrenti dei mercati e ottenere — forse — un extra rendimento, è diventata via via una compente sempre più importante nell’insieme delle mie idee generali sulla gestione del portafoglio.

Il Factor investing, in qualche modo, è un modello sistematico per introdurre elementi contrarian nel portafoglio, cioè come dicevamo un paio di episodi fa, per provare a sfruttare sia la tendenza di breve termine delle azioni di creare trend, sia la loro tendenza regressiva di lungo periodo.

Nel mio portafoglio, in questo momento, ci sono tre elementi generali che lo deviano da un’allocazione azionaria puramente market cap weighted:

– Il primo è la presenza di ETF fattoriali veri e propri, equipesati tra momentum, value e quality;

– Il secondo è un criterio di allocazione geografica che sottopesa il mercato americano aggiustando il suo market cap complessivo. Oggi l’S&P 500 pesa il 62% dell’MSCI ACWI, ma se si considera il suo contributo in termini di utili complessivi e lo si adatta per il flottante (dato che in media le società americane hanno più azioni disponibili sul mercato, in proporzione, rispetto ad altri mercati) allora il suo peso è più vicino a circa il 50%.

– Il terzo è la regola di ribilianciamento, che lascia correre il portafoglio fino ad un certo punto, ma poi ribilancia.

Credo fermamente che un indice azionario pesato per capitalizzazione sia e debba essere il cuore di un portafoglio.

Ma più vado avanti, più leggo cose, più incontro pesi massimi come Arnott e Swedroe, più mi convinco di due cose:

– Che prendere decisioni di investimento arbitrarie, attive in senso stretto, sia una grandissima perdita di tempo con un rendimento atteso piuttosto basso;

– Ma anche che prendere decisioni impersonali basate su regole sistematiche, come i fattori, le valutazioni azionarie e i meccanismi di ribilanciamento sia il modo migliore per incorporare nel portafoglio più rischio, ma consapevole, e potenzialmente un maggior rendimento atteso.

Mettiamola così:

Un indice market cap weighted è, per sua costituzione, growth oriented — e ciò lo rende sì mediamente costoso, ma anche coerente con l’idea di efficienza di mercato e adatto ad un approccio completamente passivo all’investimento.

Fare come vorrebbe mike green, invece, cioè calcolare il fair value di un’azione tramite discounted cash flow e investire in maniera tale da sperare che i prezzi convergano con i fondamentali, boh, non ci riesce quasi nessuno e chi ci riesce non si sa se ci riesce per bravura o per caso.

Fare invece come Arnott, Asness, Faber e tanti altri investitori quantitativi, cioè dare ai portafogli delle deviazioni sistematiche coerenti con le due tendenze fondamentali soprattutto degli asset azionari, cioè autocorrelazione nel breve e regressione verso la media nel lungo termine, mi sembra un’impostazione perfettamente sensata per chi vuole andare oltre ad un puro portafoglio di mercato.

Posto che Meb Faber, come ricorderete, al risparmiatore medio consiglierebbe proprio quello.

La TERZA IDEA NUOVA la esprimerei così: il lungo termine non esiste.

Una delle idee cardinali esposte fin dall’inizio — e che ha una solida base di dati a supporto — è che il rischio finanziario sia prevalentemente volatilità e che nel lungo termine i rendimenti effettivi tendano a convergere verso i rendimenti attesi.

Come noto, investire in azioni diventa progressivamente meno rischioso man mano che l’orizzonte temporale è più lungo.

Tutto vero.

Ma ricordiamoci anche l’altro lato della questione.

Perché le azioni rendono di più:

– Perché sono più volatili delle obbligazioni, certo;

– Perché le obbligazioni sono contratti che prevedono un reddito fisso, mentre le azioni hanno un payoff incerto; sicuramente.

– Perché c’è anche una componente emotiva che fa sì che le azioni siano molto più volatili di quel che le variazioni nei loro valori fondamentali giustificherebbe (il famoso volatilty puzzle di Shiller).

– Ma soprattutto perché non danno nessuna garanzia di avere un rendimento positivo nel tempo.

È il fatto che siano rischiose che le rende redditizie.

E saranno redditizie finché saranno rischiose.

Parte del rischio si elimina con il tempo, perché nel lungo termine il mercato tende a regredire verso la sua media storica — e questo vale per un po’ tutti i mercati e per il mercato azionario globale nel suo complesso.

Ma parte del rischio resta ineliminabile.

Investo in azioni perché, spero, con buone ragioni, che nel lungo termine portino un risultato maggiore dei bond.

Ma ho imparato ad essere consapevole che questa cosa non me la garantisce nessuno, nemmeno il lungo termine.

Il problema vero, però, è che il lungo termine è un concetto astratto.

Non è là che vivo.

Io vivo nel breve termine.

E il mio portafoglio deve accompagnarmi lungo tutto il corso della mia vita.

Quindi è importante che periodicamente io faccia il punto con i miei obiettivi finanziari e mi assicuri che il portafoglio che ho sia coerente con essi.

A meno che uno investa solo per la pensione — e allora va bene, investe per 30-40 anni e non ci pensa — nella stragrande maggioranza dei casi uno investe per avere una vita migliore e quindi il nostro portafoglio deve essere costruito in maniera tale che gli obiettivi di lungo termine e le esigenze di breve termine siano sempre coordinate.

Per questa ragione la volalità del mio portafoglio è rilevante.

Non è solo un fatto statistco.

Non è un problema solo dei gestori dei fondi.

Mi riguarda, perché tra avere un portafoglio che tra 30 anni avrà reso il 9-10% ma con una variabilità estrema e uno che avrà reso il 6-7% con una volatilità contenuta, il secondo avrà sicuramente servito meglio gli obiettivi della mia vita, perché per maggior tempo si sarà trovato nelle condizioni di pemettermi di utilizzarlo per realizzarli lungo la strada, peraltro riducendo il rischio di sequenza che si verifica quando metto o tolgo soldi dal portafoglio.

Il lungo termine è un concetto importante.

Ma è importante che ci siano sempre almeno delle parti del portafoglio che abbiano un senso anche nel breve termine in cui esistiamo davvero.

E questo non è scollegato alla QUARTA e ULTIMA NUOVA IDEA, che riguarda lo scopo finale del gioco.

Diversi anni fa ebbi una sorta di illuminazione, tutta d’un tratto, quando — come dire — risolsi l’enigma della mia esistenza.

Ero ossessionato dall’idea che la vita non potesse esaurirsi in lavora, guadagna, spendi, consuma, rilavora, riguadagni, rispendi, riconsuma e così via fino alla pensione e allo schioppo finale. Mi aveva impressionato e affascinato l’idea di fuck you money di Taleb, però ho sempre pensato che fosse una cosa al di là della portata della maggior parte delle persone normale. Ok, qualche genio, qualche superstar dello sport o dello show business, qualche imprenditore di successo, qualcuno ce la fa a fare i fuck you money per davvero. Ma per gli altri resterà un sogno.

Finché poi l’illuminazione mi ha fatto capire che tutte le cose si potevano mettere insieme.

Lavorare, guadagnare e risparmiare sarebbero stati solo il primo step del processo e l’obiettivo era mettere da parte quanto più risparmio possibile per poi alimentare la meravigliosa macchina dell’interesse composto.

Questa è stata una delle grandi svolte della mia vita e, in maniera del tutto inaspettata, mi avrebbe poi portato a creare The Bull perché era talmente dirompente che non riuscivo a tenerla per me, dovevo rompere le palle a chiunque incontrassi per dirgli “ehi ciao come stai? Lo sai che se investi x al mese tra 30 anni hai x per 1000!”.

Cioè, non proprio così, ma neanche troppo diversamente da così.

Poi invece che importunare il prossimo in maniera aleatoria a gente a cui non fregava una cippa ho trovato il modo di parlare a centinaia di migliaia di persone davvero interessate a tutto questo e il resto lo conoscete.

Il fuoco dentro non mi si è mai spento, anzi, la libertà finanziaria è ancora uno dei grandi obiettivi della mia vita.

Ma nel tempo è cambiato il modo in cui concepisco questo obiettivo.

Qualche anno fa — e probabilmente anche all’inizio di questo podcast — avrei giurato che l’obiettivo era andare in FIRE.

Raggiungere un patrimonio sufficiente per poter vivere prelevando il 3-4% ogni anno del capitale e non dover mai più lavorare.

Oggi non la metterei in questi termini.

Anche per il discorso sul lungo termine che facevo prima.

Più vado avanti, più rendo conto che l’obiettivo non è il FIRE.

O almeno non il mio.

L’obiettivo è avere il pieno controllo della dimensione finanziaria della propria vita.

E per questo non serve neanche raggiungere il fire.

La vera libertà finanziaria non è non lavorare, non è essere economicamente autosufficiente a vita. La vera libertà finanziaria, se qualcuno mi facesse oggi la domanda, è composta da questi tre elementi:

– Il primo è l’opzionalità, ossia la possibilità di poter prendere decisioni libere senza il condizionamento dello stipendio mensile. Decidere come disporre della propria vita riducendo significativamente il peso della variabile economica è un privilegio esistenziale enorme.

– Il secondo è il tempo. Il tempo è l’unica risorsa scarsa che abbiamo. E a dire la verità, non solo è scarsa, ma nemmeno sappiamo quanto ancora ne abbiamo a disposizione. Ci sono un po’ di siti in cui se metti dentro un po’ di dati biometrici ti stimano l’aspettativa di vita. Nel mio caso tutti convergono su una presunta data di morte tra 35 e 45 anni da oggi, che sarebbe piuttosto in linea con l’aspettativa di un maschio italiano mediamente in salute. Però, vai a sapere… Quindi il tempo che hai a disposizione è prezioso e il tempo di qualità che i soldi ti permettono di comprare vale infinitamente di più di qualsiasi bene materiale. Liberare tempo è un obiettivo imprescindibile del mio percorso finanziario.

– Il terzo è la qualità dell’esperienza di vita. Facendo questo lavoro un po’ di persone milionarie le ho conosciute. Nessuna di esse mi ha detto di essere diventata felice solo una volta che è diventata ricca. Se erano felici prima, tendenzialmente lo sono rimasti dopo. Se erano infelici prima, sono diventati dei ricchi infelici più avanti. Se ti aspetti di risolvere con i soldi i problemi fondamentali della tua vita, purtroppo una grossa delusione ti attende.
Ma i soldi possono migliorare la qualità dell’esperienza della vita. Soprattutto eliminando una delle principali fonti di preoccupazioni che assilla mediamente ogni persona adulta. Questo, unito alla possibilità di vivere quelle esperienze che più hanno senso per ciascuno di noi, è ciò su cui la finanza può svolgere un grande servizio per la nostra esistenza.

L’obiettivo finale non è essere ricchi.

L’obiettivo finale non è essere indipendenti.

L’obiettivo finale non è essere finanziariamente autosufficienti a vita.

Sono tutte cose auspicabili e se per qualcuno sono importanti per sé, bene così.

Ma per quel che mi riguarda, l’obiettivo finale è essere in controllo della vita, avere quante più opzioni possibili tra cui scegliere, avere tempo per le cose che amo ed elevare la qualità dell’esperienza della via vita in generale.

Purtroppo, non c’è un target numerico per questo.

La regola del 4% non si applica a obbiettivi così sfumati.

Ma questa prospettiva è in qualche modo ciò che dà senso al mio rapporto con il denaro ogni singolo giorno e non in vista di un astratto momento nel lungo termine, bensì in ogni qui ed oggi.

Avrei anche altre piccole cose che potrei aggiungere.

Ma probabilmente le cose principali su cui mi rendo conto che i miei occhi sono un po’ cambiati in questi anni sono questi.

A giugno dell’anno prossimo, nell’episodio precedente il terzo anniversario di The Bull, chissà che non mi venga in mente qualcos’altro e non ci sia qualche nuova prospettiva attraverso cui guardo questo meraviglioso mondo della finanza, in cui tutti insieme ci troviamo immersi da 220 episodi.

E così, si chiude si chiude anche questo secondo anno insieme.

Grazie di cuore a ciascuno di voi per l’incredibile affetto che avete riservato a questo podcast e soprattutto per tutto il tempo che avete scelto di dedicare a me per percorre insieme una parte del vostro viaggio.

Quindi: non posso che dirvi quasi 14 milioni di grazie, come gli ascolti complessivi di questo podcast negli ultimi due anni, sperando che ciascuna di queste 14 milioni di volte abbia portato qualcosa di buono nelle vostre vite.

Ma come promesso ora è il momento di preannunciare chi sarà con noi a festeggiare il secondo TheBullniversary.

Lo conoscete da anni.

È citatissimo fin dagli albori del podcast.

Ha scritto uno dei libri di finanza personale più letti degli ultimi anni, oltre 400.000 copie vendute dagli Stati Uniti al Giappone, e ha uno dei blog più belli che conosca e che da anni scandisce ogni mio singolo martedì con i suoi articoli mai banali e sempre pieni di spunti di riflessione.

Lui è una rockstar della finanza personale, ladies and gentlemen, per l’episodio numero 221 di The Bull avremo con noi l’autore di Ofdollarsanddata e Just Keep Buying, Nick Maggiulli.

Sarà un episodio pazzesco, come altrimenti non potrebbe essere avendo lui come ospite.

Nell’attesa di Nick, vi invito come sempre a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che vi raccontano i principi universali dell’investimento ma ogni tanto cambiano anche idea su qualcosa così non ci annoiamo mai sempre nuovi.

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con Nick Maggiulli, sempre qui, naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai

Matteo C., 3 Set 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025
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