Tre buoni Motivi per investire senza Ansia (nonostante Trump)

Quando i mercati vanno giù e perdiamo ogni certezza, la statistica, i principi di base e la pazienza sono nelle nostre migliori risorse per investire serenamente durante i momenti di tempesta.

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Tre buoni Motivi per investire senza Ansia (nonostante Trump)
The Bull - Il tuo podcast di finanza personale

193. Tre buoni Motivi per investire senza Ansia (nonostante Trump)

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Risorse

Punti Chiave

Le correzioni di mercato sono normali e statisticamente frequenti; è essenziale mantenere la calma e non farsi prendere dall'ansia.

Investire durante i ribassi può essere vantaggioso nel lungo termine (rischio di sequenza).

La pazienza è fondamentale.

La diversificazione gestisce il rischio, non elimina le perdite.

Concentrati su ciò che puoi controllare, non sui movimenti del mercato.

Trascrizione Episodio

Benvenuti a The Bull — il tuo podcast di finanza personale.

Io devo smetterla di anticipare i temi degli episodi la volta prima, perché poi succede sempre qualcosa e mi tocca cambiare i piani.

Nell’ultimo episodio avevo detto che vi avrei parlato di come Chat GPT, DeepSeek e Claude hanno analizzato e commentato il mio portafoglio, con il pretesto per fare qualche interessante riflessione di asset allocation che devo dire mi ha stupito abbastanza, soprattutto perché i tre cervelli artificiali erano abbastanza d’accordo tra di loro; però, diciamoci la verità, ma potevo fare una puntata su sta roba mentre una svalangata tra voi mi ha fatto chiaramente capire, INONDANDOMI di messaggi, che gli era presa un po’ di strizza per quel che sta accadendo sui mercati?

Vi voglio bene amici miei.

Siete la cosa più importante di questo podcast.

A parte me e i suoi contenuti naturalmente.

Potevo lasciarvi in balia delle vostre ansie?

Eh no!

Sennò che ci sto a fare qua?

Lasciamo la puntata sull’analisi del mio portafoglio fatta dall’AI a tempi più consoni e facciamo tutti una bella terapia di gruppo, che qua c’è stato uno spike nelle vendite di malox per le ulcere allo stomaco che vi sono venute mentre ansiosi fissavate il vostro portafoglio venir giù come una pera cotta nelle ultime due settimane.

Keep calm ragazzi.

Qua, mi sa che abbiamo un problema generale di memoria corta.

Allora, andiamo con ordine.

Per prima cosa, in tantissimi avete molto apprezzato l’episodio con Mr. L’investimento passivo fa schifo Mike Green, ma in altrettanti mi avete detto: “eh, già i mercati mi stanno mettendo ansia, ci mancava pure questo che mi dice che tra un po’ l’investimento passivo scassa tutto e mi ritrovo più povero che mai”.

PUNTO UNO: oh ho fatto 191 episodi a parlarvi in tutte le salse del mondo dell’investimento passivo, vi ho citato una svagonata di persone di grande autorevolezza che lo considerano l’investimento più di buon senso di questa terra, investono tramite ETF o index fund Ben Felix, Nick Maggiulli, Ben Carlson, Nick Protasoni, Meb Faber, Larry Swedroe, Christine Benz, Jonathan Clements, Bill Bernstein, Charles Ellis, Burton Malkiel e mi fermo qui perché l’elenco durerebbe più di tutta la puntata, poi uno dice: “mmm secondo me sono un problema perché mi ricordano quella volta che ho vinto 100 milioni di dollari in un giorno quando tutti si erano buttati sullo XIV nel 2018” — eh, cioè, va bene, però non è che tutti gli altri sono scemi.
Mike Green ha esposto una serie di punti di vista di grandissima intelligenza e profondità.
Su alcune cose può avere benissimo ragione.
Gli index fund e gli ETF market cap weighted potrebbero accentuare logiche di momentum rispetto a quel che ci si aspetterebbe dai fondamentali delle società.
Forse possiamo aspettarci più volatilità e delle montagne russe più ripide in futuro.
Ma da qui a tirare conclusioni apocalittiche sull’incombente nichilismo finanziario che se Frierich Nietzsche fosse ancora vivo gli avrebbe detto, oh mike! E fattela na risata!

Cioè, le opinioni di tutti sono fondamentali per sviluppare senso critico.
Ma ricordatevi sempre che, per come siamo fatti, tenderemo sempre a dare più credito ai profeti di sventura rispetto ai bonaccioni ottimisti.

Ce lo disse anche Yardeni.
A fare il permbear o comunque il catastrofista, se ti va bene diventi una specie di semi dio che prevede il futuro.
Mentre ad essere sempre ottimisti nessuno si cura di te.

Chiariamoci, a Mike non importa un tubo di essere popolare.
Lui è un grande studioso di queste dinamiche dei mercati ed è profondamente convinto di quel che dice.
Il bello della finanza, però, è anche che i mercati se ne fregano altamente dei paper accademici e per quanto i suoi modelli siano robusti, da qui all’avere un qualche potere predittivo ne passa.

Di conseguenza non fasciamoci la testa prima di rompercela.

Anche perché il problema per lui non è lo strumento.

Non è che su uno invece di investire in ETF market cap weighted investe in altre cose allora è a posto.

Secondo lui le distorsioni riguardano tutto il mercato, quindi in uno scenario di collasso estremo, there is no place to hide.

Anche perché il suo consiglio non consiglio non è stato: non investire in ETF. E’ stato: finché la musica va, continua a ballare, cerca solo di non prenderti più rischi del necessario.

Detto questo io voglio che voi conosciate tutti i punti di vista.

Se vi faccio sentire solo quelli che la pensano 100% come me — o meglio: se vi faccio sentire solo quelli che hanno contribuito a formarmi le mie opinioni, perché sono io che la penso come loro, non il contrario — ecco, ce la cantiamo e suoniamo ma non sarebbe intellettualmente fair.

Non bisogna “credere” al passive investing per fede, ma formarsi un’opinione consapevole conoscendo anche diversi punti di vista.

Come quello di Mike Green.

Come quello di molti altri che verranno in futuro.

PUNTO DUE: mi avete detto “eh proprio oggi fai quest’episodio che il mercato crolla a picco e ci mandi in sbattimento!”.

In tutta onestà, l’episodio è uscito mercoledì scorso, con l’S&P 500 che ha fatto tipo +1,5% e i mercati europei che hanno brindato a don perignon per la svolta fiscale della Germania che ha mandato in cielo i listini e il DAX di Francoforte che ha registrato la sua miglior seduta da anni, con oltre il 3% di guadagni.

La vostra percezione di grande negatività deriva da due fattori collegati tra loro.

Il tutto parte dalla decisione della Germania di smollare i vincoli di bilancio e investire oltre 500 miliardi di euro per crescita e difesa che ha fatto impennare i rendimenti del Bund decennale.

Qual è il motivo?

Il motivo è che la combinazione tra aumento del debito pubblico e stimoli alla crescita economica portano il mercato a pensare che in futuro i rendimenti obbligazionari e tassi di interesse saranno superiori.

In un’economia che accelera la crescita, soprattutto se stimolata dall’aumento del debito, è naturale aspettarsi tassi più alti per contrastare gli effetti inflazionistici che potrebbero derivarne; inoltre, l’emissione di nuovo debito aumenta l’offerta di titoli di stato tedeschi e quindi il prezzo scende e specularmente i rendimenti salgono perché devono diventare più allettanti per soddisfare la domanda.

Ora.

Fino a settimana scorsa il bund decennale rendeva il 2,3%.

Questa svolta epocale della Germania ha portato i rendimenti al 2,9%.

Forse non sembra tanto, ma un aumento così rapido di oltre mezzo punto percentuale di rendimenti è un movimento da 6 deviazioni standard, una cosa di un’eccezionalità incredibile.

Ovviamente il movimento del titolo di stato più sicuro della terra ha tirato su i rendimenti di tutti i titoli di stato Europei.

Di conseguenza, i vostri ETF obbligazionari, soprattutto quelli più a lunga scadenza, sono andati giù a picco perché i prezzi dei bond sottostanti sono scesi nettamente per adeguarsi a rendimenti futuri più elevati.

Azioni su, bond giù.

Esattamente quello che ti aspetti quando hai un portafoglio diversificato.

Al di là del brusco movimento, c’è poco da meravigliarsi.

Così come ti aspetti che i bond si apprezzano se le azioni crollano durante una recessione, ti aspetti anche il contrario.

Certo, cos’è che ci fa un po’ innervosire?

Due cose.

La prima è che il rialzo dei rendimenti obbligazionari in Europa come conseguenza di probabili investimenti massicci da parte di tutta l’Eurozona, che in America stanno chiamano “the European Union bazooka”, ossia l’equivalente 2025 del Whatever it takes di Draghi del 2012, sta rafforzando l’euro.

Dall’altra parte, timori legati alla contrazione dell’economia americana innescata dai dazi a giorni alterni di Trump, sta indebolendo il dollaro (che pur era una delle mire di Trump, come avevamo già detto tante volte).

Quindi cosa succede?

L’euro va su.

Il dollaro va giù.

E l’S&P 500 continua la sua caduta libera perché l’incertezza economica, e soprattutto politica, di queste settimane ha suscitato un fortissimo nervosismo sul mercato.

Si sta parlando di Growth Scare e Recession Trade, cioè di timori che la crescita americana si blocchi e addirittura che si possa andare in una clamorosa recessione, nonostante fino a ieri l’economia americana cresceva che era un piacere.

Infatti certi titoli difensivi stanno andando meglio, mentre soprattutto i titoli tecnologici stanno vivendo un momento nero.

Sempre come uno si aspetterebbe, i rendimenti dei titoli di Stato americani sono scesi, per motivi uguali e contrari a quelli che hanno fatto salire quelli Europei, altra cosa, che di solito va a braccetto con l’indebolimento del dollaro.

Morale?

Nei nostri portafogli ci siamo trovati:

– Azionario Europeo alle stelle;

– Obbligazionario Europeo giù e

– Azionario americano a picco al quadrato per il duplice effetto dell’S&P che scende e dell’Euro che si rafforza sul dollaro.

Oh ragazzi, mica può sempre tutto andare su bello tranquillo, altrimenti investire sarebbe un gioco da ragazzi.

Tra l’altro c’è un’interessante ipotesi che si sta facendo largo sul motivo per cui l’azionario americano stia andando giù, ossia che, così come con i titoli di stato ci sono i bond vigilantes che fanno salire i rendimenti a lungo termine quando pensano che la Fed stia tagliando i tassi a breve troppo in fretta, allo stesso modo gli Equity Vigilantes sarebbero coloro che stanno alimentando questo sell-off di azioni per manifestare il disappunto del mercato verso la guerra dei dazi voluta da Trump.

In sostanza il mercato sta dicendo, comprensibilmente, che non vuole questa assurda guerra commerciale globale.

Trump sta giocando una partita molto rischiosa.

E sinceramente le finalità non sono chiare.

Si è circondato di personaggi ampiamente discutibili e animati da un sorprendente rancore nei confronti di tutto ciò che non provenga dal cuore repubblicano dell’America più profonda.

Il Vice Presidente J.D. Vance ne è l’espressione paradigmatica, lui che si è fatto capofila di una crociata contro tutto e tutti, convinto che negli ultimi decenni abbiano sia stata messa ai margini la popolazione rurale bianca americana a favore delle elite democratiche, delle minoranze etniche, della cultura woke e del resto del mondo.

Trump è arrivato a dire che l’Unione Europe è nata “to screw us”, per fotterci.

Mr. Trump, glie lo dico da Europeo, lei ci sopravvaluta.

L’idea che l’Unione Europa sia nata per fottere gli Stati Uniti presupporrebbe un disegno strategico che va molto al di là di chi, le ricordo, tra i suoi maggiori successi degli ultimi anni può vantare tappi di plastica che non si staccano dalla bottiglia.

Stia tranquillo.

Non siamo nemmeno riusciti a far pagare tasse decenti a Google, Amazon, Meta, Apple, Microsoft e compagnia bella, che hanno messo le loro sedi europee in Irlanda e Lussemburgo, due paradisi fiscali che non si capisce bene perché dovrebbero avere ragione d’essere in Europa, mentre in Italia, Francia e Germania paghiamo delle tasse abnormi.

È vero che c’è un elevato deficit commerciale.

Gli Stati Uniti importano molto di più di quello che esportano.

E questo è una conseguenza dei rapporti di forza e delle caratteristiche della loro economia.

Quella americana è un’economia prevalentemente di servizi e di tecnologia.
E il dollaro si è rafforzato ininterrottamente negli ultimi 15 anni.

Per questa coppia di ragioni è naturale che l’import superi l’export e che il grosso del PIL americano sia fatto del consumo interno e non delle esportazioni.
Trump vuole reindustrializzare l’America, ma bisogna vedere se anche gli americani sono d’accordo, visto che hanno scelto la strada della de-industrializzazione decenni fa.

Ma a Trump comunque sta cosa non va giù.

Sembra voglia trasformare gli Stati Uniti in un’economia chiusa e autarchica, cosa che solitamente nella storia si è rivelata essere una delle idee economiche più stupide di questa Terra.

E non uso la parola a caso

Il Wall Street Journal, ripeto: il Wall Street Journal, non il New York Times, il Wall Street Journal, uno dei giornali più conservatori e meno filodemocratici d’America, ha fatto uscire a inizio febbraio un editoriale, scritto proprio dall’editorial bord, dal titolo: la più stupida guerra commerciale della storia, The Dumbest Trade War in History, cercando di spiegare direttamente a “Mr. Trump” che sta commettendo un errore madornale.

Per esempio l’industria automobilistica americana è fortemente integrata con Canda e Messico, e questa integrazione delle supply chain permette a tutti e tre di beneficiare di condizioni competitive. L’applicazione dei dazi a Canada e Messico, ha calcolato il WSJ, potrebbe rendere il tipico SUV tanto amato dagli americani più costoso di oltre 8.000 dollari.

Senza nessun beneficio apparente.

Nella migliore delle ipotesi salirà l’inflazione.

Nella peggiore non ci sarà una grande inflazione perché saranno molto più impattanti gli effetti di una recessione economica.

In un altro editoriale sempre del 4 marzo il WSJ ha calcolato che i bellissimi Dazi che tanto Trump ama, tanto da definire la parola Tariff in campagna elettorale la più bella del mondo, avranno l’effetto equivalente di 150 miliardi di dollari di tasse in più sugli americani che altrettanto Trump dice di amare e di voler rendere più ricchi.

L’imposizione di dazi rappresenta il trionfo dell’ideologia sul buon senso.

E il superconservatore, destrorso e repubblicanissimo Wall Street Journal ha fatto un appello auspicando che il presidente ritrovi il suo buon senso.

Tra l’altro, ci sono anche dei dubbi legali sul fatto che Trump POSSA imporre i dazi con ordini esecutivi e senza passare dal Congresso.

Lui sta sventolando sta scemenza del Fentanyl, cioè sta dicendo che impone i dazi perché Canada e Messico non fanno niente per impedire che questa droga devasti milioni di americani, che è una triste storia vera, ma sappiamo tutti che è un pretesto.

Trump usa la scusa del Fentanyl perché la legge lo autorizza ad imporre dazi come misura di emergenza — e quindi usa questo pretesto come tale.

In realtà né sta buffonata del Fentanyl, né soprattutto il deficit commerciale con Messico e Canada sono vere emergenze nazionali, come invece lo erano state il Covid o la guerra in Ucraina.

Quindi la Corte Suprema, che pur è a maggioranza repubblicana, potrebbe bloccare tutto quanto e dichiarare incostituzionale queste manovre, che comunque fino a prova contraria Trump dichiara e poi cancella il giorno dopo, lasciando il mondo in balia del caos.

C’è da dire che finora tutti i timori di recessione sono stati alimentati da cosiddetti “soft-data”, cioè da dati legati a sondaggi e previsioni, non dati economici reali.

Venerdì sono usciti i dati sui non farm payroll di febbraio, il numero di nuovi assunti è leggermente inferiore al previsto, la disoccupazione leggermente superiore, ma per ora nessun cataclisma.

Gli unici altri dati hard arrivati fino a quel momento, quelli sulla produzione industriale e sui servizi, non erano neppure negativi.

E come abbiamo detto due episodi fa, la stima negativa sul PIL del primo trimestre dipende soprattutto dal fatto che molte aziende si sono affrettate ad importare prima che eventuali dazi entrino in vigore e sappiamo che l’IMPORT è una voce con segno meno sul prodotto interno lordo, mentre l’EXPORT ha segno più.

Però è un fenomeno one-off, non la prova di un trend discendente.

Ad ogni modo, l’S&P 500 è praticamente tornato là dove si trovava il 4 novembre, il giorno prima delle elezioni.

Come se nulla fosse accaduto in questi 4 mesi.
Tutto ciò che era cresciuto con il cosiddetto Trump Trade, large cap tech, small caps, dollaro e parzialmente il bitcoin, è ritornato indietro al punto di partenza.

Ora le strade qui sono due:

– O ad una certa Trump dichiara di aver ottenuto le concessioni che voleva e ritira la minaccia dei dazi, ristabilendo in parte l’ordine commerciale globale, anche se avrà comunque minato a lungo termine la fiducia da parte di tutti i paesi alleati; e in questo caso i mercati probabilmente rialzeranno la testa;

– Oppure Trump e il suo gran visir J.D. Jafar Vance andranno dritti per la loro strada e spediranno gratuitamente l’economia americana in recessione, che quasi in automatico causerà un bear market più o meno grave e prolungato.

Qualcuno negli Stati Uniti se n’è uscito con la cretinata demenziale che Trump starebbe facendo tutto ciò apposta per permettere agli americani di investire in azioni e comprare case a prezzi più bassi e allargare la partecipazione alla ricchezza finanziaria del paese, ma ovviamente se manda l’economia in recessione la gente perde il lavoro, diventa più povera e sicuramente non ha come primo pensiero quello di fare “buy the dip” sui mercati.

In tutto ciò vi ricordo che solo tre settimane fa l’S&P aveva appena sfondato un nuovo all time high.

E da lì siamo scesi di circa 6-7%, oltre il 10% in euro.

Detto questo, al costo di dire cose un po’ banali e trite e ritrite, vi ho promesso nel titolo almeno TRE buoni motivi per investire senza troppe ansie, perché dai vostri mille mila messaggi percepisco ansia e tensione e poi invece che parlare di finanza finisco per diventare il vostro psicoterapeuta.

Quindi ascoltatemi per i prossimi 15 minuti e spero che dopo vi sentirete meglio.

Prima di ascoltare questi tre motivi, però, volevo ricordarvi una cosa.

Cercate di non stressarvi troppo guardando i mercati che non ne vale la pena e fa male alla salute.

Se però proprio non potete farne a meno, almeno considerate di tutelare i vostri cari caso mai un giorno mentre siete lì tutti tesi e rigidi che vi sforzate di far risalire gli indici digrignando i denti vi dimenticate di respirare e vi viene il famoso coccolone.

Per ovviare a questa situazione, non tanto al vostro coccolone, per quello ci dovete pensare da soli, quanto per la serenità di chi resta il mio buon amico e CEO di Squarelife Elias, brillante matematico dal cuore più grande del cantone svizzero in cui abita, ha creato Turtleneck, l’assicurazione sulla vita che si può sottoscrivere online in pochi minuti, a basso costo e che di anno in anno vi restituisce i soldi che non ha dovuto usare per pagare i risarcimenti se muore meno gente del previsto.

Infatti io e Elias abbiamo questo accordo: lui assicura le persone mentre io cerco di tranquilizzarle così almeno non schiattano di crepacuore se vedono l’S&P 500 giù del 10% e siamo tutti felici.

In descrizione trovate un link per conoscere Turtleneck e valutare se è una soluzione che può fare al caso vostro e naturalmente assicuratevi di averne compreso il funzionamento prima di sottoscriverla e contattate direttamente Turtleneck per avere tutte le informazioni di cui avete bisogno prima di decidere.

Dicevamo, tre motivi per investire senza ansie.

MOTIVO NUMERO UNO: un po’ di statistiche, così diamo qualche dato oggettivo.

Intanto per cominciare l’S&P 500, che è l’indice su cui quasi tutti siete più esposti e che vi sta facendo smadonnare in questi giorni, ha raggiunto il suo picco annuale a Febbraio solo una volta negli ultimi 45 anni.

Cosa vuol dire? Vuol dire che solo nel 1994 è successo che toccasse il suo massimo a Febbraio e poi da lì andasse giù per il resto dell’anno.

Ed era successo perché a sorpresa la Fed alzò i tassi e niente come un rialzo a sorpresa dei tassi di interesse fa incazzare i mercati e tira giù gli indici.

Interessante notare che l’unica volta in quasi mezzo secolo che ciò è avvenuto è stata seguita dai 5 anni più floridi per i mercati dell’intera storia dell’umanità, il mitologico ciclo dal 1995 al 1999.

28,5% percento di crescita media annua in quel periodo memorabile.

Certo, poi è scoppiata la dot-com bubble, ma questa è un’altra storia, un problema per volta.

Quindi, prima roba, è raro che l’S&P tocchi il picco dell’anno a febbraio.

Statisticamente — cioè su pura base statistica e ignorando l’inesauribile creatività dell’amministrazione americana vigente — è piuttosto improbabile che il massimo toccato il 19 febbraio scorso resterà tale fino al 31 dicembre.

Non impossibile, ma improbabile.

Invece è solitamente peggio quando il mercato tocca il picco annuale a gennaio.

È successo ben 5 volte dal 1980 ad oggi e ogni volta l’anno è finito malissimo.

Nel 1981, 2001, 2002, 2008 e 2022.

Gli ultimi 4 poi, anni orribili, 3 segnati da pesanti recessioni e il quarto dal più devastante rialzo dei tassi d’interesse nella storia recente.

Febbraio è interessante però anche per un altro motivo.

Attenzione a questa statistica che non conoscevo e che arriva da un report di Carson Group.

Se noi prendiamo i dati dal 1950 ad oggi, cioè più o meno da quando esiste l’S&P 500 come lo conosciamo noi — perché i dati prima sono delle ricostruzioni ex post basate sul database del CRISP — sappiamo bene che ci sono mesi che in media sono più redditizi di altri.

Gennaio, marzo, aprile, luglio, novembre e dicembre sono i mesi con il ritorno medio più alto per l’S&P 500.

Il detto Sell in May and Go Away viene da qui.

Sappiamo anche che invece settembre è in media il mese peggiore dell’anno, per tanti motivi che oggi ci interessano il giusto, ed è l’unico mese che storicamente ha un rendimento medio negativo.

Quindi febbraio già di per sé non è mai un mese particolarmente entusiasmante.

La sua media storica è che sia praticamente in pari o leggermente in positivo.

Però attenzione.

Febbraio è storicamente il mese peggiore in assoluto negli anni post elettorali.

Ogni 4 anni, a novembre gli americani votano il loro presidente, all’inizio c’è il tipico entusiasmo che dura qualche mese di luna di miele, poi i presidenti cominciano a fare le cose meno popolari tenendosi invece le iniziative più apprezzate dagli elettori vicino alle elezioni di mid term e soprattutto a fine mandato, per farsi rieleggere.

Di conseguenza è abbastanza normale che le brutte notizie arrivino a Febbraio e che questo sia tradizionalmente un mese nero negli anni post-elettorali.

Se volete segnarveli, gli altri mesi tradizionalmente con il segno meno negli anni post elezioni sono giugno e i soliti agosto e settembre.

Prima di sbroccare, quindi, ricordatevi intanto che febbraio è sempre stato uno schifo di mese negli anni post elettorali.

Marzo, invece, è solitamente un mese mediamente positivo.

Non è detto che anche quest’anno lo sia, ma ho letto da più parti un’aspettativa diffusa per un rimbalzo a marzo, fosse anche solo che quando il mercato tracolla tanto per paura di qualche brutta notizia, poi basta che le notizie reali non siano così brutte come sembravano o che sui dazi magari si trovi un accordo che salvi la faccia a tutti senza troppi danni all’economia e il mercato festeggia.

C’è poi un’altra cosa, che diremo un po’ più nel dettaglio al punto TRE.

Dal picco del 19 febbraio l’S&P ha lasciato per strada circa il 6% come dicevamo, quasi il 10% per noi europei per via del discorso cambio, quindi per tanti investitori questa è una buy opportunity.

Ad un certo punto, mezza buona notizia potrà essere il trigger per portare un po’ di investitori a fare buy-the-dip, questo manda su le valutazioni, si crea un po’ momentum e la crescita del mercato per un po’ si autosostiene.

Non è una cosa meccanica, ovviamente, però si tratta di note dinamiche di breve termine del mercato abbastanza ricorrenti.

Sempre al netto che la situazione dazi non si incancrenisca, perché in quel caso il mercato può continuare ad andare giù più a lungo.

Altra cosa.

Io lo so che tanti voi stanno pensando: “eh ma che palle, questo è due anni che fa il podcast e racconta di come i mercati siano andati solo su, adesso che mi sono deciso a entrare io è crollato tutto”.

Ragà, non è che siete sfigati voi.

Sono cose casuali.

Ricordatevi un’altra cosa.

Nel 2023 l’S&P 500 è cresciuto di circa il 25%, un anno favoloso.

Ma quell’anno favoloso ha vissuto un quasi -8% tra febbraio e marzo, quando fallirono Silicon Valley Bank e Credit Suisse (e tra l’altro il sottoscritto proprio in quel periodo si ritrovò con una discreta quantità di liquidità e potete solo immaginarvi l’allegria di fare il più grosso investimento one shot della propria vita e vedere il mercato andare già dell’8% in un mese).

Inoltre, tra settembre e ottobre perse oltre il 10% per la tensione sui titoli di stato americani.

Quindi un anno favoloso con in mezzo due momenti esattamente identici, se non peggiori, a quelli che stiamo vivendo oggi.

Anche il 2024 è stato un anno favoloso, con una crescita di oltre il 20%.

E anche l’anno scorso, ricorderete, ad agosto l’S&P perse oltre l’8% durante il dramma del carry trade con lo yen, anche se noi l’abbiamo sentito meno forte perché nel frattempo il dollaro si era rafforzato compensando parte delle perdite.

Sempre Carson Group ha fatto tutti i conti e ha calcolato che in media il mercato vive ogni anno 7 cali di almeno il 3%, 3 cali di oltre il 5% e una correzione di almeno il 10%.

In media.

Ogni singolo anno.

Quindi finché il mercato non va in bear market, cioè fa meno 20%, non siete autorizzati a considerarlo un fenomeno di alcuna rilevanza.

E anche i bear market, lo sappiamo, non sono l’apocalisse dell’umanità.

Sono una cosa estremamente frequente.

Circa un anno ogni 4-5 ne capita uno.

È successo nel 2001-2002, nel 2008, nel 2018 per un pelo si è fermato a -19,8% e poi nel 2022.

Succede.

Il bear market medio dura circa 300 giorni.

Il bull market medio dura invece oltre 1.000 giorni.

Da quanto sta durando il bull market iniziato il 14 ottobre 2022?

877 giorni, se consideriamo il giorno di uscita di questo episodio.

Può succedere benissimo che nei pressi dei 1.000 giorni si andrà in bear market.

Saremmo perfettamente in media.

E se una cosa è perfettamente in media, perché dovrei farne una tragedia?

Se un giorno ad agosto a Milano piove mica mi prendo male, perché so che in media a Milano qualche giorno ad agosto piove.

Se invece ad agosto in Sicilia dovesse fare un metro di neve, ecco già lì qualche domanda me la farei.

Diciamo un’ultima cosa interessante, mentre siamo qui sul discorso statistico.

L’indice AAII Investor Sentiment Survey, che tiene traccia dei Bear versus Bull tra gli investitori individuali americani, in questo momento, l’avevo detto anche l’altro giorno, conta oltre il 60% di pessimisti.

E questa è una splendida notizia!

Dal 1990 ad oggi è successo 30 volte che l’indice superasse il 55% di Bear, di pessimisti.

In media, ad un anno di distanza dalla rilevazione, l’S&P 500 è cresciuto di quasi l’11%, mentre il valore mediano è stato addirittura di quasi il 18%.

Anche qui, non vuol dire niente.

Magari l’anno prossimo saremo qua a leccarci le ferite dentro al peggior bear market di tutti i tempi.

Ma state pur certi che comunque continuerei a dirvi che sono cose che capitano, già capitate e che capiteranno in futuro.

Statisticamente, però, è più probabile che da qui a 12 mesi l’S&P sarà più su, non più giù, di quanto è oggi.

Statisticamente eh.

Qua nessuno fa previsioni e non investite in base a questi ragionamenti.

Questi ragionamenti servono solo per la vostra pace dei sensi e serenità mentale.

E la prima motivazione l’abbiamo detta, statisticamente: tutto nella norma.

Veniamo al MOTIVO NUMERO DUE: dobbiamo imparare a vincere i nostri bias irrazionali e a far prevalere la nostra parte pragmatica e razionale.

Quando guardiamo al nostro portafoglio che va giù, cosa pensiamo?

Pensiamo peste e corna perché siamo infelici nel vedere il nostro patrimonio perdere valore.

Come aveva dimostrato Daniel Kahneman con la prospect theory, noi nasciamo con uno strutturale loss aversion, soffriamo per una perdita il doppio di quanto gioiamo per un guadagno di equale importo.

E questo ci porta a prendere decisioni incoerenti.

Esempio classico:

– Preferireste 500 € certi oppure fare testa o croce e se indovinate vincete 1.200 €? Sono certo che quasi tutti mi rispondereste 500 € certi, anche se il ritorno atteso del testa o croce, che ha 50% di probabilità di pagare 0 e 50% di pagare 1,200 €, è superiore.

E poi c’è il controesempio:

– Preferireste perdere 500 € con certezza senza neanche giocare, oppure fare testa o croce e se vincete perdete 0 altrimenti perdete 1.200 €?
Solitamente la maggior parte sceglie di giocarsela, perché l’idea di perdere con certezza 500 € è inconcepibile per il nostro sistema 1, il nostro pensiero istintivo, anche se il ritorno atteso del testa o croce sarebbe -600 €.

Siamo fatti così.

Siamo un po’ bacati.

Ora, perché vi sto dicendo questo?

Perché chiunque tra voi ha iniziato ad investire da pochi mesi e ha messo anche solo un euro in azioni O non mi ha ascoltato, O avrà valutato — spero — di avere di fronte a sé un orizzonte temporale pluridecennale durante il quale andrà a avanti a investire progressivamente tutto il risparmio che metterà via via da parte no?

Ecco.

Prendiamo un ETF a caso sull’azionario globale, come il classicone iShares Core MSCI World, per gli amici SWDA.

Al suo picco a febbraio ha toccato il 109 €.

Mentre sto scrivendo è a meno di 100 €.

Se io ho un PAC che compra per esempio il 15 del mese e ho questo ETF, ma sarò più contento di spendere 100 € per una quota di SWDA o chi per esso invece di 110 €, no?

Cioè se il mio obiettivo è accumulare da qui ai prossimi decenni, meno spendo oggi, maggiore sarà il mio rendimento atteso a lungo termine sbaglio?

Ricordatevi il rischio di sequenza.

Idealmente, sarebbe meglio attraversare un periodo negativo all’inizio e poi un periodo positivo in seguito, invece del contrario.

Rifacciamo un esempio che avevo fatto in passato.

Preferireste che i prossimi 10 anni siano stellari e i successivi 10 negativi, o 10 anni subito negativi, via il dente via il dolore, e poi 10 anni stellari?

Istintivamente ciascuno di voi, da quando ha iniziato a investire qualche mese fa, volente o nolente si è fatto un interiore segno della croce sperando da lì in poi di vedere i propri soldi solo salire.

Ma razionalmente avrebbe dovuto farsi il segno della croce sperando di vedere il proprio patrimonio scendere.

Case history reale, usando sempre l’MSCI World come proxy.

Confrontiamo il risultato finale di due investimenti da 500 € al mese per vent’anni:

– Il primo dal 1990 al 2009;

– Il secondo dal 2000 al 2019.

In entrambi i casi di tasca mia ci metto 120.000 € no, perché sono 500 € al mese, quindi 6.000 € all’anno per 20 anni, 6 per 20 120.000.

Nel primo caso, dal 1990 al 2009, quindi decennio iniziale leggendario e poi decennio perduto, il primo gennaio del 2010 mi sarei ritrovato con circa 168.000 €.

Nel secondo caso, dal 2000 al 2019, quindi prima decennio perduto e poi un mega bull market, il primo gennaio del 2020 mi sarei ritrovato con circa 283.000 €. Una differenza abnorme

E tra l’altro, il decennio 1990-1999 è stato decisamente più redditizio del decennio 2010-2019.

15,5% all’anno nel primo decennio, poco più del 12% all’anno nel secondo.

Ciononostante la sequenza dei rendimenti ha premiato avere gli anni buoni dopo.

Memori di questa cosa, qual è il problema se ora il mercato va giù?

Meglio no?

Io lo so perché razionalmente sta cosa è chiara ma emotivamente non lo è.

Vi girano i cosiddetti perché vedere il portafoglio che va su è un fenomeno reale, mentre vederlo che va giù e poi sperare che dopo un giorno torni su è un salto nella fede.

Amici miei però, questo è investire.

È fondamentale che sia così.

Qualcuno mi ha scritto: “ma chi ci garantisce che investire alla fine paga?”

Nessuno!

Non lo garantisce nessuno.

Ho detto questa cosa sino alla nausea.

L’investimento, soprattutto l’investimento azionario, paga perché richiede di sopportare l’incertezza.

Senza quest’incertezza che differenza ci sarebbe tra tenere i soldi sul conto o investirli sui mercati?

L’azionario globale ha reso circa l’8% all’anno negli ultimi 40 perché ha remunerato l’incertezza che gli investitori si sono assunti.

Lo so è un po’ un paradosso.

– Se il rendimento è incerto, allora c’è;

– Se il rendimento è certo, allora non c’è.

Scrivetevelo grosso da qualche parte.

Se investite state richiedendo al mercato di pagarvi per l’incertezza che sostenete e la fiducia che le cose nel futuro in media andranno bene.

Sì, serve essere ottimisti.

Però del resto, come dice Ben Carlson molto spesso, qual è il senso di investire se non sei ottimista?

Se sei un pessimista vuol dire che credi nella fine del mondo.

Che investi a fare?

Vi ricordate la lapide che vuole Ed Yardeni?

Vuole che sopra ci sia scritto: usually bullish, usually right.

Solitamente ottimista, solitamente a ragione.

È chiaro, investiamo perché pensiamo, statisticamente, di avere le probabilità dalla nostra parte.

Possiamo serenamente dire che, investendo in un portafoglio diversificato, il nostro rendimento atteso di lungo termine è positivo.

Tanto o poco boh.

Ma positivo.

Ma è statisticamente positivo — e con una probabilità piuttosto elevata — ma non certamente positivo proprio perché altrimenti non ci sarebbe proprio nessun ritorno.

Nessuno ci pagherebbe per non assumerci alcun rischio.

E qui veniamo al TERZO MOTIVO per non farsi prendere dall’ansia, ossia: è proprio per questo che diversifichiamo.

Diversi tra voi mi hanno scritto: “ma scusa investo in un portafoglio diversificato e ciononostante sto perdendo in queste settimane”.

Eh.

Diversificare non vuol dire non perdere mai.

Il solito barboso portafoglio 60/40 avrebbe attraversato dei drawdown fino al 30% durante le peggiori recessioni del primo decennio degli anni 2000. Così come tutti gli altri portafogli tipo Golden Butterlfy, All Weather e compagnia bella, i loro anni a -15/20% se li sono fatti.

Il fatto che diversifichiamo non significa che il portafoglio non va mai giù.

Significa che non concentriamo il nostro rischio e che ci esponiamo a diverse dinamiche del mercato.

Quello che è accaduto nelle ultime settimane è paradigmatico.

– L’azionario americano è sceso, mentre i Treasury sono saliti, come spesso accade in queste situazioni di incertezza in cui la crescita economica è a rischio;

– Dall’altra parte invece l’azionario europeo è salito molto da inizio anno, mentre per motivi che dicevamo prima l’obbligazionario europeo, soprattutto a lunga scadenza, è sceso.

– Infine l’oro continua salire, anche se essendo prezzato in dollari ovviamente il guadagno per ora è stato eroso dell’indebolimento del greenback.

Avere un portafoglio diversificato vuol dire perdere meno dove siamo esposti a mercati in difficoltà e compensare in parti con i guadagni dei mercati o delle asset class che tengono botta.

Per esempio, qualche settimana fa vi avevo parlato del mio portafoglio.

Molto brevemente, per chi non se lo ricordasse (e farebbe bene a non ricordarselo) è fatto così:

– Circa 66% in azioni;

– Circa 28% in obbligazioni;

– E circa 6% in oro.

Gli Stati Uniti sono leggermente sottopesati, circa 57% della parte azionaria e poi 31% paesi sviluppati, di cui circa 13% eurozona, e 12% emergenti.

In mezzo ci sono dei fattoriali in parti uguali su momentum, quality e value.

Il resto sono obbligazioni globali aggregate a media scadenza, 2 terzi, e governativi europei a lunga scadenza, 1 terzo.

Dal picco al momento in cui sto scrivendo ha lasciato per strada circa il 4%.

È scesa un bel po’ la parte americana, così come l’obbligazionario europeo.

L’oro è lì lì.

Invece l’azionario ex US e la parte value del portafoglio hanno parzialmente compensato le perdite.

Sono contento di aver perso il 4%?

No.

Mi girano a sapere in valore assoluto quanti soldi mancano dal valore del portafoglio?

Sì un po’.

Fa qualche differenza?

In realtà no, perché quando questo mese investirò nuovi soldi comprerò tutto ad un prezzo più basso.

Sì su queste cose ho un ottimismo che sembra un po’ scemo certe volte.

Ma del resto, nella vita bisogna faticare e soffrire per le cose cui possiamo incidere e che possiamo controllare, preoccuparsi per ciò che non è in nostro potere è energia sprecata.

Negli investimenti, cosa posso controllare?

– Il mio risparmio mensile, lavorando contemporaneamente sull’ottimizzazione delle spese e la massimizzazione del reddito;

– La mia asset allocation, scegliendo di sovrapesare o sottopesare determinate asset class in base a criteri come la formula di The Bull, la formula di Merton e la pianificazione per obiettivi;

– E infine posso controllare il mio risk management in base a come cambiano gli obiettivi e le esigenze della mia vita (vi ricordate: il rischio che voglio, che posso e che devo assumermi).

Poi ok, posso scegliere se alzare o abbassare la duration media delle obbligazioni.

Posso modificare l’esposizione fattoriale.

Posso considerare di inserire delle coperture valutarie.

Posso fare tanti aggiustamenti di dettaglio.

Ma probabilmente incideranno poco rispetto alle prime tre cose che posso e che devo controllare.

Cosa invece non posso controllare?

Non posso controllare cosa fanno i mercati, ovviamente.

Oh ragazzi, fidatevi, so che non ci credete, ma di questa cosa dovete fidarvi.

Fissare l’app su cui monitorate i vostri investimenti cercando con il potere della mente di far salire gli indici, ve lo assicuro, è difficile che funzioni.

So che la tentazione è quella.

E che pensate che più guardate l’app meglio andrà il vostro portafoglio.

Ma… no.

Non funziona così.

Guardate piuttosto qualche video demeziale su instagram, sicuramente distogliervi l’attenzione da quel che succede ai mercati potrà solo farvi bene.

Siamo d’accordo cari miei?

Magari domani ricomincia la salita o andiamo avanti a scendere fino alle viscere dell’inferno.

In entrambi i casi, se avete pianificato bene e non avete investito il 98,5% del vostro portafoglio nel Nasdaq a leva 3x, non c’è virtù migliore a cui appellarci se non la pazienza.

Come disse il più saggio e venerabile tra tutti noi.

“Il mercato azionario è uno strumento per trasferire ricchezza dagli impazienti ai pazienti”.

Parola di San Warren Buffett da Omaha.

Fine dell’episodio!

Mettete segui e attivate le notifiche su Spotify, Apple podcast o dove ci ascoltate e lasciate una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti che saranno al vostro fianco nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, soprattutto in ricchezza e speriamo mai in povertà, finché il FIRE non ci separi sempre nuovi!

Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci sentiamo mercoledì prossimo a parlare di … non ve lo dico perché qua ogni giorno il mondo inizia a ruotare nell’altro senso ma vi anticipo solo che nel prossimo vi annuncerò sicuramente uno, se mi gira due, forse tre e se proprio mi sveglio di buon umore 4 ospiti clamorosi che verranno a trovarci nelle prossime settimane sempre qui naturalmente con The Bull, il tuo podcast di finanza personale.

Recensioni

Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!

Veramente interessante, chiaro e conciso. Cambia la vita finanziaria di chiunque.. da ascoltare assolutamente anche per chi di finanza non vuole occuparsi mai

Francesca B., 6 Apr 2024

Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.

Lorenzo, 13 Mar 2025

Da quando l'ho scoperto in 15 gg mi sono ascoltato 150 puntate senza fermarmi, ho annullato gli altri podcast per portarmi alla pari ed ascoltare tutte le precedenti puntate, ben fatto, esattamente il livello di informazione che mi serviva

Gianluca G., 11 Set 2025

Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.

Andrea V., 22 Set 2025

Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente

Amalia A., 17 Set 2025

Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro

Massimo D., 23 Set 2025

Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.

Giulia N., 11 Ago 2025

La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!

Luca G. 10 Ott 2025

Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!

Massimiliano, 29 Mag 2024
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