Un’alternativa ad Azioni e Obbligazioni: i Bond High-Yield
Il cuore del portafoglio è tipicamente composto da azioni e titoli di stato. I bond high-yield possono rappresentare un'opzione di rischio intermedia, per migliorare il profilo di rischio/rendimento del portafoglio. Cosa sono, che caratteristiche hanno e come si comportano all'interno di un portafoglio.

243. Un’alternativa ad Azioni e Obbligazioni: i Bond High-Yield
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Punti Chiave
Gli High-Yield (HY) sono obbligazioni ad alto rischio/rendimento, intermedie tra azioni e titoli di stato, influenzate fortemente dal ciclo economico.
Il "credit spread" HY è un indicatore chiave delle prospettive economiche e della percezione del rischio di mercato.
Trascrizione Episodio
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale
Come le appendici al Signore degli Anelli a momenti sono più lunghe del Signore degli Anelli stesso, anche quest’episodio è una costola del 240, dedicato ad iniziare alla finanza e agli investimenti amici e parenti rimpinzati di colesterolo e etanolo durante le canoniche 13 ore del pranzo di Ferragosto.
Nello scorso episodio abbiamo approfondito il discorso dei fattoriali e dell’opportunità di aggiungere strumenti multi-factor o singoli ETF fattoriali alla base market cap weighted del portafoglio azionario.
Oggi invece ci dedichiamo all’altra possibilità che avevamo citato: quella di includere un layer di rischio intermedio tra azioni e titoli di Stato attraverso ETF che replicano bond societari high-yield.
In quell’episodio dicevamo che un tilt fattoriale aumenta il rischio sistematico del portafoglio e quindi il rendimento atteso — e sottolineo atteso.
La cosa inversa a questo ragionamento è invece ridurre la componente azionaria con strumenti che abbiano un livello di rischio e di rendimento atteso intermedio rispetto ad azioni e titoli di stato, che sono appunto le obbligazioni high yield.
La premessa da cui partire è che — come sappiamo bene — rischio e rendimento sono correlati in finanza, sono uno una funzione lineare dell’altro.
Se voglio maggior rendimento, devo espormi a maggior rischio.
Non è però sempre vero il contrario: se mi espongo a maggior rischio ALLORA avrò un rendimento superiore.
Quello che succede in realtà è che maggiore è il rischio sistematico del mio portafoglio, maggiore sarà anche lo spettro dei suoi possibili risultati a lungo termine.
Lo dico in maniera più semplice.
Se investo in un Bund decennale che oggi rende 2,7% e lo tengo fino a scadenza, il rendimento che avrò ottenuto nel 2035 sarà stato un po’ meno o un po’ di più di 2,7% all’anno.
È importante puntualizzare che tenere un bond a scadenza NON dà la certezza di ottenere il rendimento a scadenza, ma il rendimento a scadenza è la migliore previsione possibile del rendimento effettivamente realizzato alla scadenza.
Ma questo lo spieghiamo meglio tra poco.
Per ora il concetto è: con un asset quasi senza-rischio come un titolo di stato senza rischio di credito, non solo il rendimento atteso è relativamente basso rispetto alle azioni, ma il range dei possibili rendimenti finali che avrò ottenuto tra 10 anni sarà piuttosto contenuto.
Al contrario se investo — ad esempio — nell’S&P 500 il mio rendimento atteso sarà sì superiore … IN MEDIA.
In media su 10 anni posso aspettarmi il rendimento medio: circa 10% all’anno.
Il valore mediano, in realtà è già più basso, nell’ordine dell’8-9%.
Il range complessivo però va da circa -4% a +16%.
L’investitore del 1999 teoricamente (e sottolineo teoricamente) si prendeva lo stesso rischio di quello del 2009, ma ovviamente i due risultati a dieci anni di distanza sono stati molto diversi.
Abbiamo sempre detto che a più rischio corrisponde anche più rendimento atteso, ma sarebbe forse più corretto dire che a più rischio corrisponde una maggiore dispersione dei rendimenti effettivamente realizzati.
Ultimamente abbiamo dedicato tanti episodi a parlare della correlazione inversa tra rendimenti passati e rendimenti futuri, che è una funzione di come varia il tasso di sconto nelle varie fasi dei cicli economici.
– All’apice di un lungo bull market il tasso a cui sono scontati i profitti futuri è basso perché gli investitori hanno una bassa percezione del rischio e richiedono un basso rendimento;
– Mentre al fondo di una crisi, il tasso a cui sono scontati i profitti futuri è alto perché invece c’è alta percezione del rischio e quindi richiedono un elevato rendimento per investire.
Richiedere un basso rendimento significa accettare di investire a prezzi elevati rispetto agli utili, come nel 1929, nel 1966, nel 1999 oppure oggi; richiedere un alto rendimento significa pretendere di investire a prezzi bassi rispetto agli utili, come appunto nel 1938, nel 1981, nel 2009 e via dicendo.
Azioni e bond in questo senso funzionano allo stesso modo: più i prezzi salgono, più i rendimenti attesi scendono.
L’unica fregatura è che non sai mai quando smettono di salire i primi e quando iniziano davvero a scendere i secondi — quindi conoscere questa logica di regressione verso la media non ti permette di fare un timing puntuale, in tempo reale, sul mercato.
Ma su cicli di 10-15 anni, questa dinamica, soprattutto con le azioni, si è riproposta con una precisione piuttosto sistematica.
Tornando all’investitore del 1999 e del 2009, non è vero che potevano aspettarsi entrambi il 10% di rendimento nei 10 anni successivi.
– Quello del 99 doveva aspettarsi un rendimento più basso a fronte di un rischio percepito inferiore;
– Quello del 2009 doveva aspettarsi un rendimento più alto a fronte di un rischio percepito maggiore.
Però appunto investire in asset rischiosi come le azioni espone ad una vasta incertezza e questa incertezza determina l’ampiezza della distribuzione dei possibili esiti.
Un investitore può quindi mettere insieme due informazioni e dire:
– UNO: oggi i rendimenti attesi sono bassi. Con l’S&P 500 a 22 volte gli utili attesi e con l’MSCI All Country World quasi a 19, il rendimento atteso è nell’ordine forse di 4-5% reale, 6-7% nominale.
– DUE: non voglio prendermi tutta l’ampia dispersione dei rendimenti azionari e preferisco avere asset con un rendimento atteso accettabile ma maggiormente prevedibile.
Una risposta, allora, potrebbe essere sostituire una parte della quota azionaria con i bond high-yield.
Avevo già dedicato l’episodio 165 ad una descrizione degli high-yield, pertanto non ripeterò tutte le cose dette allora e alcune le darò per scontato.
Se però qualcosa non fosse chiaro nell’episodio di oggi, si può fare un salto a quello.
Per chi non lo sapesse, i bond HY sono obbligazioni societarie con rating inferiore a tripla B, che è il limite delle obbligazioni investment-grade.
Le tre tranche principali sono:
– BB
– B e
– CCC
Sono diventati degli asset di investimento standard sui mercati a partire dagli anni ’80 e si basano su un ragionamento molto semplice: essendo più rischiosi dei titoli investment grade perché hanno un maggior rischio di default, cioè la società che le emette ha una situazione finanziaria meno solida e quindi c’è una maggiore probabilità che non paghino interessi e rimborso del capitale, allora devono pagare un rendimento superiore.
Questo rendimento atteso superiore si chiama Credit Spread.
Teoricamente, dal punto di vista di un mercato perfettamente efficiente, dovrebbe essere indifferente investire in un Titolo di Stato senza rischio di default o in un più rischioso titolo HY.
Spieghiamo perché copiando paro paro un esempio di Howard Marks, uno dei miei idoli su qualunque tema finanziario e massima autorità mondiale sugli HY, dato che la sua società Oaktree capital si occupa principalmente di quello.
Oggi un Treasury con scadenza 3-4 anni rende circa 3,7%.
Nel momento in cui sto scrivendo il rendimento delle obbligazioni HY americane, che più o meno hanno scadenza media nel range 3-4 anni, è 6,7% (ho preso il dato dal sempre eccezionale sito della Federal Reserve di St Louis, che ha dati su ogni cosa).
Lo spread quindi è circa 3% – peraltro piuttosto basso in termini storici, ma su questo ci torniamo dopo.
6,7% è più grande di 3,7% – su questo non penso ci siano grossi dubbi, altrimenti denunciate il vostro vecchio insegnante di aritmetica delle elementari.
La mia curiosamente ci insegnò che dividere un numero per zero fa zero e questo mandò su tutte le furie il mio laureato in fisica padre, quindi non mi stupisco di niente — ma questa è un’altra storia.
Perché dico che il 3,7% dei Treasury è uguale al 6,7% degli HY?
Perché devo considerare due cose:
– La prima è che gli HY fanno default più spesso;
– La seconda è che quando fanno default non è che perdo il 100% del capitale, ma magari il 75%, un po’ perché qualche cedola l’ha pagata, o perché un po’ di capitale riesce comunque a restituirlo (questa comunque è la stima di Marks e ci fidiamo ciecamente).
La differenza tra 6,7% e 3,7% può essere vita come il tasso atteso di default moltiplicato per questo 75%.
Se guardate Moody’s, Fitch, o banche come UBS, danno tutti un’aspettativa di default per le obbligazioni HY americane intorno al 4-4,5%, che moltiplicato per 75% o poco meno dà appunto circa 3, ossia il credit spread da cui eravamo partiti.
Ecco quindi come salta fuori la differenza di rendimento tra Treasury e HY.
Dicevo prima: in un mercato teoricamente efficiente e perfettamente preveggente, investire in Treasury o HY è la stessa cosa.
In realtà cosa succede?
Succede quello che dicevamo prima con le azioni: rispetto ai titoli di stato, con gli HY c’è una maggiore dispersione degli esiti possibili.
Se falliranno meno del 4% delle obbligazioni HY in cui sto investendo, allora mi sarò portato a casa un rendimento più vicino a quel 6,7% di oggi.
Se invece falliranno più del 4% delle obbligazioni HY, allora il mio rendimento sarà inferiore.
Come sempre, per puntare ad un rendimento atteso maggiore, devo mettere in conto la possibilità di un rendimento realizzato minore.
Ora, passo indietro.
Da cosa deriva il rendimento di un’obbligazione?
Eh sì perché si fa in fretta a dire: pago 100, mi prendo le cedole, mi ridanno 100, fine.
La cosa è un po’ più complicata di così.
Il rendimento di un investimento obbligazionario è fatto di tre cose:
– Del pagamento degli interessi, dei coupon o cedole;
– Del capital gain che dipende dalla differenza tra il prezzo a cui compro il bond e il suo valore di rimborso (perché se compro a 99 e mi rimborsa 100, ho un po’ più dell’1% di capital gain, viceversa se compro a 101, devo togliere poco meno dell’1%). Oppure ovviamente dal capital loss, se il bond fa default e rimborsa solo una parte del capitale.
– E poi c’è il terzo elemento — che è quello più tricky di tutti e che di solito viene dimenticato, ossia gli interessi sugli interessi, ciò il rendimento che deriva dal reinvestimento delle cedole.
Questa cosa è spesso ignorata dagli investitori privati, non da quelli istituzionali che ovviamente lo sanno benissimo, perché a volte ci si scorda che il rendimento di un’obbligazione è il suo Tasso Interno di Rendimento, cioè è quel valore che fa corrispondere il prezzo di acquisto al valore attualizzato di tutti i flussi di cassa futuri, cioè cedole e rimborso del capitale.
Il trick matematico riguarda questo fatto.
Oggi, per esempio, un Treasury decennale rende 4,3%.
Ma se io semplicemente lo tengo fino a scadenza spendendo ogni anno le cedole che paga, il rendimento a scadenza sarà inferiore al 4,3%.
Perché questo? Perché per ottenere il 4,3% si suppone che io reinvesta ogni volta le cedole in altri Treasury con rendimento del 4,3%.
Però questa è una finzione teorica, perché è molto difficile che il rendimento di un titolo di stato resti immobile per 10 anni.
Sappiamo bene che si muove nel tempo.
Cosa può succedere:
– Può succedere che i tassi scendano — e se i tassi scendono e io porto il bond a scadenza, reinvestirò le cedole a tassi sempre più bassi, riducendo il mio rendimento finale;
– Se invece i tassi salgono — allora io devo essere contento perché reinvestirò le cedole a tassi più alti, aumentando il rendimento finale (almeno a livello nominale).
Ricordiamolo per la millesima volta: quando i tassi salgono i prezzi scendono, ma i rendimenti futuri aumentano, e viceversa.
Questo è un altro dei tanti modi per vedere perché investire in obbligazioni presuppone un’esposizione continua a quelle obbligazioni. Ed è anche uno dei motivi per capire perché i fondi obbligazionari generalmente non hanno scadenza, visto che di fatto anche investire in obbligazioni singole non ha scadenza ma è implicito un reinvestimento continuo.
Quello che abbiamo appena descritto succede esattamente anche dentro un ETF obbligazionario.
Quando i tassi salgono il prezzo dell’ETF scende, ma il mio rendimento futuro sale e se ho uno strumento ad accumulazione, tutti gli interessi saranno reinvestiti a tassi via via superiori.
E viceversa.
Questo cosa è stata particolarmente evidente negli anni precedenti il 2022.
I tassi sono via via sempre più scesi fino ad arrivare sottozero.
Il prezzo dei bond sottostanti è salito, ma il rendimento atteso è sceso.
Per esempio esattamente 10 anni, fa nell’agosto del 2015, un titolo decennale francese aveva un rendimento a scadenza dell’1%.
Un ETF sui governativi europei — che ha una scadenza media un po’ più bassa — da allora ad oggi ha effettivamente reso poco meno dell’1% – ho preso i titoli francesi per avere un proxy di rendimento sui principali titoli europei, sapendo che quelli tedeschi rendevano meno e quelli italiani di più.
Il rendimento a scadenza spiega circa il 90% del rendimento realizzato da un bond nell’orizzonte della sua scadenza.
Nell’agosto del 2023 lo stesso titolo invece rendeva circa 3,1%.
In questi due anni lo stesso ETF obbligazionario ha reso circa il 3,5% medio composto.
E ovvio che chi ha investito per esempio nel 2021, con i tassi a zero, oggi si trova devi prezzi sottoterra.
Ma se volesse guardare il bicchiere mezzo pieno e avesse una prospettiva di lungo termine non dovrebbe dire “nooo il prezzo del mio ETF è andato giù!” ma dovrebbe dire: “sì! I miei rendimenti futuri sono andati su!”.
Avete presente quando siete tutti i contenti perché i mercati vanno giù e dite “che bello compro a sconto!”.
In realtà quello che dite è “che bello, i rendimenti futuri sono saliti!”.
Stessa cosa con le obbligazioni.
Poi chiaramente tutto un altro discorso riguarda il buon senso di investire con i tassi a zero o più alti.
Se investi in bond con tassi a zero, il tuo rendimento realizzato sarà più probabilmente zero che non 5%.
Se investi in bond con tassi al 5%, il tuo rendimento realizzato (nominale ovviamente) sarà più probabilmente 5% che non zero.
Inoltre, c’è una questione di costo opportunità.
Tassi molto bassi sono generalmente propizi per le asset class rischiose.
Con rendimenti di partenza a zero sui bond, generalmente è logico sovrappesare la parte azionaria.
E viceversa.
La regola di The bull.
Torniamo agli HY.
Gli HY sono un po’ una via di mezzo tra azioni e titoli di stato, ma più vicini alle azioni, anche se tecnicamente sono obbligazioni.
Il motivo è duplice:
– Il profilo di rischio/rendimento è più vicino a quello azionario
– E sono decisamente più correlati al ciclo economico rispetto ai bond. Per esempio negli ultimi 40 anni la correlazione tra S&P 500 e High-yield americani è stata circa 0,7 — molto elevata. Quella tra S&P 500 e Titoli di stato è stata praticamente 0, anche se dal 2022 ad oggi è salita addirittura a 0,6.
Comunque in genere, durante una recessione i Titoli di Stato solitamente si apprezzano.
È ovvio no: gli azionisti vendono azioni e si rifugiano in più sicuri bond governativi. Spesso poi le banche centrali tagliano i tassi durante le crisi per stimolare la domanda e i prezzi dei bond salgono.
I bond HY invece durante una crii probabilmente vedranno il tasso di default aumentare e quindi il prezzo scendere negli stessi momenti in cui le azioni crollano.
Questa cosa per esempio si è vista benissimo durante gli esilaranti giorni successivi al liberation day del 2 aprile.
Ancora a marzo gli HY americani rendevano 6,8%, il sette aprile sono decollati al 8,5%!
La cosa eventualmente strana è che oggi il mercato consideri le obbligazioni high yield americane meno rischiose che prima del liberation day, quando credevamo ancora in un modo fatto di libero commercio.
Invece il fatto che sull’economia americana pesino dazi del 18% non sembra aver toccato minimamente gli investitori.
Qui le interpretazioni legittime sono due:
– PRIMA INTERPRETAZIONE: i bilanci sono solidi, l’economia americana è forte e a prova di recessione, non c’è nessuna crisi economica in vista — ergo: il rendimento degli HY è 6,7%, ma soprattutto, dato che conta più di tutti, il suo spread rispetto ai Treasury della stessa maturity è appena di 3 punti percentuali scarsi.
Oppure
– SECONDA INTERPRETAZIONE: così come le valutazioni stellari dell’S&P 500, anche il mercato obbligazionario puzza di bolla, perché la propensione al rischio degli investitori si è fatta estremamente elevata, come tipicamente accade subito prima di una crisi.
A ciascuno di voi trarre la conclusione preferita.
Lo spread tra HY e Treasury comunque è molto osservato, soprattutto da Hedge Fund quantitativi come ad esempio Verdad, e diversi paper lo considerano uno degli indicatori più affidabili sulle prospettive a breve-medio termine dell’economia.
Sono una sorta di canarino nella miniera.
Quando gli spread sono molto bassi e cominciano a salire, storicamente non è mai finita troppo bene.
Viceversa, quando gli spread sono molto elevati e cominciano a scendere, quello è stato spesso il segnale dell’inizio di una ripresa impetuosa.
Nel novembre del 2008 lo spread tra HY e IG era arrivato a quasi 20 punti.
Da lì è cominciato a scendere e sappiamo come sono andati i 15 anni successivi.
Certo, non è il massimo dell’incoraggiamento il fatto che per ritrovare uno spread di meno di 3 punti percentuali come quello che c’è oggi dobbiamo tornare al giugno del 2007.
I due anni che seguirono non è che siano andati proprio benissimissimo.
E anche la volta prima, aprile del 1998, non proprio il momento ideale per cominciare a investire.
Oh non volevo rovinare la fine delle vacanze a nessuno — eh — però questi sono i numeri: ciascuno tragga le proprie conclusioni.
Al di là di questo, comunque, la domanda che potremmo porci è: “ma se gli spread sono molto bassi ha senso investire in HY oggi come alternativa alle azioni?”.
Beh, sì e no.
Nel breve termine potrebbe essere un mezzo disastro.
Per esempio, se uno avesse investito in HY all’inizio del 2007, alla fine del 2008 sarebbe stato sotto del 10%, mentre i Treasury avrebbero reso +11%!
Già 5 anni dopo però, nel 2011, gli HY avrebbero reso 6%, mentre i Treasury 7,5%.
10 anni dopo, nel 2016, gli HY avrebbero reso 6,5%, praticamente tanto quanto l’S&P 500 ma con una frazione dei drawdown e dalla volatilità; i Treasury avrebbero reso solo 4,5%.
Morale:
– Con spread bassi il mercato percepisce un basso rischio, ma la verità è che i rendimenti attesi sono mediocri perché solitamente spread molto contenuti preludono a periodi successivi difficili per gli asset rischiosi;
– Allo stesso tempo, però, con orizzonti temporali sufficientemente lunghi questo permette anche di beneficiare di rendimenti futuri superiori.
Ovviamente finora ho fatto tutti i vari ragionamenti numerici prendendo indici americani, perché come sempre ho più facilità a trovare i dati.
Nel caso in cui però volessi fare un de-risking del mio portafoglio riducendo la componente azionaria e facendo un po’ di spazio agli HY, allora naturalmente conviene considerare HY in Euro, altrimenti abbiamo la variabile valutaria che stravolge completamente il senso di quel che stiamo dicendo.
Oggi il rendimento dell’ICE BofA High Yield Index è 4,9% e lo spread con i titoli investment grade è 2,6%, leggermente più basso che negli Stati Uniti.
Per esempio torniamo all’estate di 4 anni fa, quando lo spread era solo leggermente più alto, intorno a 2,8.
Poi sappiamo cos’è successo: boom dell’inflazione, invasione russa dell’Ucraina e tassi di interesse alle stelle.
Lo spread è salito di quasi 400 punti base, oltre il 6,5% e il motivo è che tassi così alti hanno portato tutti a pensare che una recessione sarebbe stata imminente, dato che raramente nella storia si è riusciti a piegare l’inflazione senza causare una recessione.
Se se avessi investito allora in un ETF sugli Euro High Yield avrei visto il mio investimento perdere fino al 14% un anno dopo.
Ciononostante, oggi sarebbe su del 11% complessivamente, quindi avrebbe reso il 2,6% all’anno.
Nello stesso periodo qualunque ETF sui titoli di stato sarebbe invece ancora in profondo rosso.
Se poi guardiamo dall’ottobre del 22, quando lo spread è arrivato al punto massimo di questo ciclo di mercato e gli HY rendevano oltre l’8,5%, lo stesso ETF avrebbe fatto quasi +30% sino ad oggi, ossia circa il 7% medio all’anno.
Credo che gli HY siano particolarmente illustrativi per capire il ruolo che i tassi di sconto giocano sulle azioni.
– Lo spread degli HY (cioè quanto rendono in più rispetto ai bond investment grade) è la stessa cosa del rapporto tra prezzi e utili (o tra prezzi e dividendi, forse ancora meglio) con le azioni.
– Spread bassi e multipli azionari alti vogliono dire la stessa cosa: basso rischio percepito e rendimenti attesi bassi.
– Spread alti e multipli azionari bassi vogliono invece dire: alto rischio percepito e quindi rendimenti attesi alti.
– Solitamente le fasi positive dei cicli economici portano gli spread a contrarsi i multipli a espandersi e viceversa nelle fasi negative.
Perché però oggi uno come Marks — al di là del fatto che la sua azienda vende questa roba — dice che ci vede più opportunità nell’investire in credito high yield, idem come un altro colosso come PGIM, o perché Morningstar ha scritto in settimana un articolo dal titolo “cosa compare quando è tutto caro” e ha citato gli high yield come opportunità?
Allora il ragionamento che fa Marks è questo.
Ogni volta che in passato l’S&P 500 era scambiato a 22 volte gli utili attesi — ed è successo poche volte, in particolare alla fine degli anni ’90 — il rendimento dei dieci anni successivi è stato molto basso, tra -2 e 2%.
Quindi investire in high yield, che oggi promettono un rendimento a scadenza di quasi il 5% in europa e quasi 7% negli Stati Unti sembra più competitivo rispetto al rendimento atteso dalle azioni, a fronte di una minore variabilità nella distribuzione finale dei risultati.
Quello che io mi sentirei di dire è: tutto verissimo, ma con un paio di caveat.
Intano credo che il rendimento atteso oggi sia più alto di quello ipotizzato da Marks (che in verità cita un’analisi di JP Morgan), perché i motivi che hanno portato i multipli del 1999 a sfondare il valore di 24 volte gli utili attesi sono diversi da quelli che potrebbero portare oggi i multipli azionari americani anche più in alto.
Ricordo che oggi viaggiamo sui 22. Prezzi media uguale 22 volte gli utili attesi.
Allora c’è stata la più grande bolla dell’era moderna.
Molte aziende simbolo dell’era dot-com non facevano profitti.
Non c’erano se non una manciata di ETF.
Il trading online era appena iniziato, e sicuramente i costi per investire erano più elevati di oggi.
In quel contesto si era creato un clima di totale del rischio, al punto che in quel periodo nacquero le tesi sull’assenza di rischio dell’investimento azionario, come tipico delle fasi finali dei lunghi bull market (così come è altrettanto tipico decretare l’investimento azionario morto dopo lunghi bear market).
Oggi la qualità delle aziende che dominano i mercati è immensamente superiore.
Gli utili sono molto più elevati
Le tecnologie sono maggiormente scalabli e il mondo gira ad una velocità diversa.
Ci sono molti più partecipanti al mercato — e come abbiamo visto in primavera sono spesso gli investitori retail a comprare tutti i dip e tenere il mercato alto.
Gli ETF hanno reso accessibile l’investimento a centinaia di milioni di persone.
Investire è diventato quasi gratis.
Tutte queste motivazioni potrebbero giustificare il fatto di trovarci su valutazioni azionarie strutturalmente elevate — sticazzi che la media storica sia stata sempre più bassa.
Un tempo investire in azioni era obiettivamente MOLTO più rischioso.
Ovviamente l’altro l’alto della medaglia è che se oggi investire appare a tutti meno rischioso, allora le valutazioni possono rimanere elevate senza che per questo il mercato debba venire giù da un momento all’altro, ma la conseguenza è che i rendimenti futuri saranno inferiori.
Inferiori però non vuol dire che devono essere per forza catastrofici tipo decennio perduto.
Inferiori può voler dire che magari l’S&P renderà 6-7% nominale invece che 12-13% come ha fatto nell’ultimo quindicennio.
Questo sarebbe compatibile con valutazioni che restano comunque molto alte.
Semplicemente gli investitori accettano un minor rendimento atteso.
Ad ogni modo, è possibile che il credito HY possa generare dei ritorni vicini a quelli azionari, al costo di un rischio inferiore e di una minore volatilità, perché fino a prova contraria hanno un obbligo contrattuale a pagare gli interessi.
Del resto, nel quarto di secolo dal gennaio 2000 al dicembre del 2024, l’MSCI world, in dollari, ha reso circa il 6,5% medio annuo, contro il 5,5% circa di un indice di High Yield, ma al costo di una volatilità nettamente inferiore.
Lo sharpe ratio, il rapporto tra rendimento e rischio, è stato 0,35 per l’MSCI world e 0,5 per gli HY.
Allo stesso tempo bisogna stare attenti a non confondere Yield e Return — che è proprio una di quelle cose che serve per usano banche e asset manager per rincoglionire l’investitore medio e fargli credere di ottenere rendimenti che in realtà sono solo di carta.
Appena arriveranno in Italia gli ETF con i buffer — e ormai credo manchi poco — ci sarà da divertirsi.
– Lo Yield di un investimento è in generale il rapporto tra il cash flow distribuito all’azionista e il prezzo pagato per l’asset.
– Il Return, cioè il rendimento complessivo, è dato dallo Yield PIU’ o MENO le variazioni di prezzo dell’asset durante il periodo in cui lo detengo.
Nel caso delle azioni, per esempio, sappiamo bene che il rendimento complessivo è composto da tre cose:
– I dividendi
– La crescita degli utili per azione (e qui dentro ovviamente ci vanno i buyback perché aumentano l’utile per azione riducendo il numero di azioni in circolazione) e infine
– La variazione nel rapporto tra prezzo e utili.
Nel caso delle obbligazioni invece cosa abbiamo? abbiamo:
– Lo yield, cioè il rendimento che deriva dal pagamento delle cedole che a loro volta si suppone vengano reinvestite allo stesso tasso e poi
– C’è il price return.
Un bond teoricamente rimborsa il capitale a 100.
Ma non se fa default.
Il rendimento a scadenza di un portafoglio di Bond prezza un certo tasso di default.
Però poi quello che conta sul rendimento finale è il numero effettivo di default che ci sono stati.
Dicevamo che un indice di bond high-yield è composto principalmente di tre tranche:
– I BB, che nel caso dell’ICE BofA Euro High yield è quasi il 60% del totale;
– I B, circa 36% del totale e
– I CCC, circa 4% del totale.
Nel caso dei BB, il rendimento totale è molto vicino allo YTM, perché il tasso di default è piuttosto basso.
Nel caso dei B — e ovviamente dei CCC — all’elevato YTM di partenza bisogna sempre poi togliere il numero di default che si verificano.
Quindi attenzione a farsi ingolosire da un rendimento obbligazionario del 5% (o 7% in dollari) come se fosse qualcosa di certo: lo yield lo stimi a priori, ma il rendimento totale lo scopri alla fine.
Ogni riferimento agli amanti delle mega cedolone dei tanto amati certificati di investimento è ovviamente del tutto casuale…
Chiaramente però ci sono vantaggi e svantaggi rispetto alle azioni:
– Il vantaggio, se vogliamo,
– è appunto avere un rendimento atteso non molto più basso delle azioni, tagliando la parte più estrema della coda sinistra, cioè a fronte di un rischio inferiore. Se oggi gli HY europei hanno un rendimento a scadenza intorno al 5% su scadenze medie intorno ai 3 anni, è lecito aspettarsi che grosso modo quello sia il rendimento che ci si può attendere in quest’orizzonte temporale, al netto di shock sui tassi di default. Lo YTM resta comunque il miglior indicatore del rendimento atteso è spiega in massima parte il rendimento realizzato.
– Un altro vantaggio è che invece, all’opposto di uno shock negativo, un miglioramento del rating dell’emittente o della sua salute finanziaria generale può portare ad un apprezzamento.
– Infine i bond high yield hanno solitamente una duration molto bassa. Ricordiamo che la duration è il tempo medio ponderato che impiega il bond a ripagare l’investimento inziale ed esprime la sensibilità del prezzo alle variazioni dei rendimenti dei titoli dello stesso tipo. Essendo emessi con scadenze piuttosto brevi e avendo cedole generalmente elevate, la duration è generalmente contenuta. In un contesto di eventuali tassi crescenti, gli hy tendono a fare meglio di altri tipi di obbligazioni, così come potrebbero essere un asset più efficace in uno scenario caratterizzato da bassa crescita economica, che invece di solito penalizza le azioni.
– Il grosso svantaggio è che gli HY tagliano completamente l’upside, ossia la coda di destra, cioè è molto improbabile che un investimento in high-yield faccia +60% in due anni, cosa che invece può succedere benissimo investendo in indici azionari.
In definitiva, la scelta di inserire HY nel portafoglio risponde all’idea di avere uno strato intermedio di rischio tra azioni e obbligazioni.
– Il caso *tattico* può essere: oggi, in un contesto di bassa crescita e tassi potenzialmente alti — ok la Fed probabilmente taglierà a settembre, ma se l’inflazione risale brutalmente è tutto da vedere — dicevo bassa crescita, tassi più elevati, gli hy sembrano avere una tesi di investimento convincente, nonostante gli spread storicamente molto bassi;
– Il casso *strategico* invece può riguardare l’opportunità di avere un approccio più conservativo sulla componente azionaria del portafoglio e sostituirla con HY europei.
Ora, per fare backtest sensati devo usare dati in dollari, altrimenti non riesco ad andare troppo indietro.
Per esempio un confronto potrebbe essere:
– Portafoglio 70/30 MSCI World Treasury decennali da una parte e
– Portafoglio 50 MSCI World 20 HY e 30 Treasury decennali
Questi portafogli avrebbero avuto performance abbastanza simili su vari backtest e in quasi tutti i casi che non comincino dopo il 2009, cioè che si saltano a piè pari il decennio perduto, in termini di rischio-rendimento il portafoglio con gli HY sarebbe sempre risultato migliore.
Migliore vuol dire:
– Sharpe ratio più alto;
– Massimo drawdown più contenuto.
E naturalmente nei backtest a cavallo del 2000-2009, il secondo portafoglio avrebbe anche avuto un rendimento migliore.
Consiglierei oggi di investire in HY?
Né sì né no.
Come vi avevo raccontato nell’episodio 185 sul mio portafoglio, io avevo fatto una delle pochissime operazioni tattiche della mia vita intorno a metà novembre dell’anno scorso. A malincuore mi ero deciso a rimettere dentro l’oro nel portafoglio e per farlo ho venduto un valore equivalente di HY.
Lo spread allora era addirittura più basso di oggi, praticamente ho beccato il picco.
Da novembre a oggi quell’ETF sugli HY che avevo (che per la cronaca era HYLD, quindi globale), ha fatto + 2,8%.
L’oro +14%.
Con il senno di poi, ottima chiamata.
Del tutto a culo naturalmente.
E spinta più dalla FOMO da oro che altro.
Oggi non li ritengo necessari nel mio portafoglio.
Anzi, sono disposto ad accettare rischi maggiori per un rendimento atteso in senso assoluto più elevato.
Se però qualcuno stava considerando un de-risking del proprio portafoglio ma soffriva al solo pensiero di investire in obbligazioni governative che non piacciono a nessuno, gli HY sono sicuramente un’opzione intermedia da considerare.
Non è probabilmente il momento migliore di sempre per investirci, viste le valutazioni elevate, ma come spiegavamo prima hanno un investment case sia tattico che strategico con un certo senso.
Amiche e amici di questo podcast, fine dell’episodio che spero vi sia piaciuto e che vi abbia dato qualche interessante spunto per i vostri portafogli.
Ancora una volta vi ringrazio per la commovente passione con la quale mi avete seguito anche durante il mese di agosto, che evidentemente per molti di voi è stato mare, montagna e finanza — tanto che questo mese The Bull ha sfondato i 16 milioni di episodi ascoltati e siamo quasi a 180.000 follower, di cui 120.000 solo su Spotify. Se non siete tra questi, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast, youtube o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti ad alto rendimento ma spero anche con altrettanto altro ritorno sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con il penultimo appuntamento di agosto sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Bentornati a The Bull, il tuo podcast di finanza personale
Come le appendici al Signore degli Anelli a momenti sono più lunghe del Signore degli Anelli stesso, anche quest’episodio è una costola del 240, dedicato ad iniziare alla finanza e agli investimenti amici e parenti rimpinzati di colesterolo e etanolo durante le canoniche 13 ore del pranzo di Ferragosto.
Nello scorso episodio abbiamo approfondito il discorso dei fattoriali e dell’opportunità di aggiungere strumenti multi-factor o singoli ETF fattoriali alla base market cap weighted del portafoglio azionario.
Oggi invece ci dedichiamo all’altra possibilità che avevamo citato: quella di includere un layer di rischio intermedio tra azioni e titoli di Stato attraverso ETF che replicano bond societari high-yield.
In quell’episodio dicevamo che un tilt fattoriale aumenta il rischio sistematico del portafoglio e quindi il rendimento atteso — e sottolineo atteso.
La cosa inversa a questo ragionamento è invece ridurre la componente azionaria con strumenti che abbiano un livello di rischio e di rendimento atteso intermedio rispetto ad azioni e titoli di stato, che sono appunto le obbligazioni high yield.
La premessa da cui partire è che — come sappiamo bene — rischio e rendimento sono correlati in finanza, sono uno una funzione lineare dell’altro.
Se voglio maggior rendimento, devo espormi a maggior rischio.
Non è però sempre vero il contrario: se mi espongo a maggior rischio ALLORA avrò un rendimento superiore.
Quello che succede in realtà è che maggiore è il rischio sistematico del mio portafoglio, maggiore sarà anche lo spettro dei suoi possibili risultati a lungo termine.
Lo dico in maniera più semplice.
Se investo in un Bund decennale che oggi rende 2,7% e lo tengo fino a scadenza, il rendimento che avrò ottenuto nel 2035 sarà stato un po’ meno o un po’ di più di 2,7% all’anno.
È importante puntualizzare che tenere un bond a scadenza NON dà la certezza di ottenere il rendimento a scadenza, ma il rendimento a scadenza è la migliore previsione possibile del rendimento effettivamente realizzato alla scadenza.
Ma questo lo spieghiamo meglio tra poco.
Per ora il concetto è: con un asset quasi senza-rischio come un titolo di stato senza rischio di credito, non solo il rendimento atteso è relativamente basso rispetto alle azioni, ma il range dei possibili rendimenti finali che avrò ottenuto tra 10 anni sarà piuttosto contenuto.
Al contrario se investo — ad esempio — nell’S&P 500 il mio rendimento atteso sarà sì superiore … IN MEDIA.
In media su 10 anni posso aspettarmi il rendimento medio: circa 10% all’anno.
Il valore mediano, in realtà è già più basso, nell’ordine dell’8-9%.
Il range complessivo però va da circa -4% a +16%.
L’investitore del 1999 teoricamente (e sottolineo teoricamente) si prendeva lo stesso rischio di quello del 2009, ma ovviamente i due risultati a dieci anni di distanza sono stati molto diversi.
Abbiamo sempre detto che a più rischio corrisponde anche più rendimento atteso, ma sarebbe forse più corretto dire che a più rischio corrisponde una maggiore dispersione dei rendimenti effettivamente realizzati.
Ultimamente abbiamo dedicato tanti episodi a parlare della correlazione inversa tra rendimenti passati e rendimenti futuri, che è una funzione di come varia il tasso di sconto nelle varie fasi dei cicli economici.
– All’apice di un lungo bull market il tasso a cui sono scontati i profitti futuri è basso perché gli investitori hanno una bassa percezione del rischio e richiedono un basso rendimento;
– Mentre al fondo di una crisi, il tasso a cui sono scontati i profitti futuri è alto perché invece c’è alta percezione del rischio e quindi richiedono un elevato rendimento per investire.
Richiedere un basso rendimento significa accettare di investire a prezzi elevati rispetto agli utili, come nel 1929, nel 1966, nel 1999 oppure oggi; richiedere un alto rendimento significa pretendere di investire a prezzi bassi rispetto agli utili, come appunto nel 1938, nel 1981, nel 2009 e via dicendo.
Azioni e bond in questo senso funzionano allo stesso modo: più i prezzi salgono, più i rendimenti attesi scendono.
L’unica fregatura è che non sai mai quando smettono di salire i primi e quando iniziano davvero a scendere i secondi — quindi conoscere questa logica di regressione verso la media non ti permette di fare un timing puntuale, in tempo reale, sul mercato.
Ma su cicli di 10-15 anni, questa dinamica, soprattutto con le azioni, si è riproposta con una precisione piuttosto sistematica.
Tornando all’investitore del 1999 e del 2009, non è vero che potevano aspettarsi entrambi il 10% di rendimento nei 10 anni successivi.
– Quello del 99 doveva aspettarsi un rendimento più basso a fronte di un rischio percepito inferiore;
– Quello del 2009 doveva aspettarsi un rendimento più alto a fronte di un rischio percepito maggiore.
Però appunto investire in asset rischiosi come le azioni espone ad una vasta incertezza e questa incertezza determina l’ampiezza della distribuzione dei possibili esiti.
Un investitore può quindi mettere insieme due informazioni e dire:
– UNO: oggi i rendimenti attesi sono bassi. Con l’S&P 500 a 22 volte gli utili attesi e con l’MSCI All Country World quasi a 19, il rendimento atteso è nell’ordine forse di 4-5% reale, 6-7% nominale.
– DUE: non voglio prendermi tutta l’ampia dispersione dei rendimenti azionari e preferisco avere asset con un rendimento atteso accettabile ma maggiormente prevedibile.
Una risposta, allora, potrebbe essere sostituire una parte della quota azionaria con i bond high-yield.
Avevo già dedicato l’episodio 165 ad una descrizione degli high-yield, pertanto non ripeterò tutte le cose dette allora e alcune le darò per scontato.
Se però qualcosa non fosse chiaro nell’episodio di oggi, si può fare un salto a quello.
Per chi non lo sapesse, i bond HY sono obbligazioni societarie con rating inferiore a tripla B, che è il limite delle obbligazioni investment-grade.
Le tre tranche principali sono:
– BB
– B e
– CCC
Sono diventati degli asset di investimento standard sui mercati a partire dagli anni ’80 e si basano su un ragionamento molto semplice: essendo più rischiosi dei titoli investment grade perché hanno un maggior rischio di default, cioè la società che le emette ha una situazione finanziaria meno solida e quindi c’è una maggiore probabilità che non paghino interessi e rimborso del capitale, allora devono pagare un rendimento superiore.
Questo rendimento atteso superiore si chiama Credit Spread.
Teoricamente, dal punto di vista di un mercato perfettamente efficiente, dovrebbe essere indifferente investire in un Titolo di Stato senza rischio di default o in un più rischioso titolo HY.
Spieghiamo perché copiando paro paro un esempio di Howard Marks, uno dei miei idoli su qualunque tema finanziario e massima autorità mondiale sugli HY, dato che la sua società Oaktree capital si occupa principalmente di quello.
Oggi un Treasury con scadenza 3-4 anni rende circa 3,7%.
Nel momento in cui sto scrivendo il rendimento delle obbligazioni HY americane, che più o meno hanno scadenza media nel range 3-4 anni, è 6,7% (ho preso il dato dal sempre eccezionale sito della Federal Reserve di St Louis, che ha dati su ogni cosa).
Lo spread quindi è circa 3% – peraltro piuttosto basso in termini storici, ma su questo ci torniamo dopo.
6,7% è più grande di 3,7% – su questo non penso ci siano grossi dubbi, altrimenti denunciate il vostro vecchio insegnante di aritmetica delle elementari.
La mia curiosamente ci insegnò che dividere un numero per zero fa zero e questo mandò su tutte le furie il mio laureato in fisica padre, quindi non mi stupisco di niente — ma questa è un’altra storia.
Perché dico che il 3,7% dei Treasury è uguale al 6,7% degli HY?
Perché devo considerare due cose:
– La prima è che gli HY fanno default più spesso;
– La seconda è che quando fanno default non è che perdo il 100% del capitale, ma magari il 75%, un po’ perché qualche cedola l’ha pagata, o perché un po’ di capitale riesce comunque a restituirlo (questa comunque è la stima di Marks e ci fidiamo ciecamente).
La differenza tra 6,7% e 3,7% può essere vita come il tasso atteso di default moltiplicato per questo 75%.
Se guardate Moody’s, Fitch, o banche come UBS, danno tutti un’aspettativa di default per le obbligazioni HY americane intorno al 4-4,5%, che moltiplicato per 75% o poco meno dà appunto circa 3, ossia il credit spread da cui eravamo partiti.
Ecco quindi come salta fuori la differenza di rendimento tra Treasury e HY.
Dicevo prima: in un mercato teoricamente efficiente e perfettamente preveggente, investire in Treasury o HY è la stessa cosa.
In realtà cosa succede?
Succede quello che dicevamo prima con le azioni: rispetto ai titoli di stato, con gli HY c’è una maggiore dispersione degli esiti possibili.
Se falliranno meno del 4% delle obbligazioni HY in cui sto investendo, allora mi sarò portato a casa un rendimento più vicino a quel 6,7% di oggi.
Se invece falliranno più del 4% delle obbligazioni HY, allora il mio rendimento sarà inferiore.
Come sempre, per puntare ad un rendimento atteso maggiore, devo mettere in conto la possibilità di un rendimento realizzato minore.
Ora, passo indietro.
Da cosa deriva il rendimento di un’obbligazione?
Eh sì perché si fa in fretta a dire: pago 100, mi prendo le cedole, mi ridanno 100, fine.
La cosa è un po’ più complicata di così.
Il rendimento di un investimento obbligazionario è fatto di tre cose:
– Del pagamento degli interessi, dei coupon o cedole;
– Del capital gain che dipende dalla differenza tra il prezzo a cui compro il bond e il suo valore di rimborso (perché se compro a 99 e mi rimborsa 100, ho un po’ più dell’1% di capital gain, viceversa se compro a 101, devo togliere poco meno dell’1%). Oppure ovviamente dal capital loss, se il bond fa default e rimborsa solo una parte del capitale.
– E poi c’è il terzo elemento — che è quello più tricky di tutti e che di solito viene dimenticato, ossia gli interessi sugli interessi, ciò il rendimento che deriva dal reinvestimento delle cedole.
Questa cosa è spesso ignorata dagli investitori privati, non da quelli istituzionali che ovviamente lo sanno benissimo, perché a volte ci si scorda che il rendimento di un’obbligazione è il suo Tasso Interno di Rendimento, cioè è quel valore che fa corrispondere il prezzo di acquisto al valore attualizzato di tutti i flussi di cassa futuri, cioè cedole e rimborso del capitale.
Il trick matematico riguarda questo fatto.
Oggi, per esempio, un Treasury decennale rende 4,3%.
Ma se io semplicemente lo tengo fino a scadenza spendendo ogni anno le cedole che paga, il rendimento a scadenza sarà inferiore al 4,3%.
Perché questo? Perché per ottenere il 4,3% si suppone che io reinvesta ogni volta le cedole in altri Treasury con rendimento del 4,3%.
Però questa è una finzione teorica, perché è molto difficile che il rendimento di un titolo di stato resti immobile per 10 anni.
Sappiamo bene che si muove nel tempo.
Cosa può succedere:
– Può succedere che i tassi scendano — e se i tassi scendono e io porto il bond a scadenza, reinvestirò le cedole a tassi sempre più bassi, riducendo il mio rendimento finale;
– Se invece i tassi salgono — allora io devo essere contento perché reinvestirò le cedole a tassi più alti, aumentando il rendimento finale (almeno a livello nominale).
Ricordiamolo per la millesima volta: quando i tassi salgono i prezzi scendono, ma i rendimenti futuri aumentano, e viceversa.
Questo è un altro dei tanti modi per vedere perché investire in obbligazioni presuppone un’esposizione continua a quelle obbligazioni. Ed è anche uno dei motivi per capire perché i fondi obbligazionari generalmente non hanno scadenza, visto che di fatto anche investire in obbligazioni singole non ha scadenza ma è implicito un reinvestimento continuo.
Quello che abbiamo appena descritto succede esattamente anche dentro un ETF obbligazionario.
Quando i tassi salgono il prezzo dell’ETF scende, ma il mio rendimento futuro sale e se ho uno strumento ad accumulazione, tutti gli interessi saranno reinvestiti a tassi via via superiori.
E viceversa.
Questo cosa è stata particolarmente evidente negli anni precedenti il 2022.
I tassi sono via via sempre più scesi fino ad arrivare sottozero.
Il prezzo dei bond sottostanti è salito, ma il rendimento atteso è sceso.
Per esempio esattamente 10 anni, fa nell’agosto del 2015, un titolo decennale francese aveva un rendimento a scadenza dell’1%.
Un ETF sui governativi europei — che ha una scadenza media un po’ più bassa — da allora ad oggi ha effettivamente reso poco meno dell’1% – ho preso i titoli francesi per avere un proxy di rendimento sui principali titoli europei, sapendo che quelli tedeschi rendevano meno e quelli italiani di più.
Il rendimento a scadenza spiega circa il 90% del rendimento realizzato da un bond nell’orizzonte della sua scadenza.
Nell’agosto del 2023 lo stesso titolo invece rendeva circa 3,1%.
In questi due anni lo stesso ETF obbligazionario ha reso circa il 3,5% medio composto.
E ovvio che chi ha investito per esempio nel 2021, con i tassi a zero, oggi si trova devi prezzi sottoterra.
Ma se volesse guardare il bicchiere mezzo pieno e avesse una prospettiva di lungo termine non dovrebbe dire “nooo il prezzo del mio ETF è andato giù!” ma dovrebbe dire: “sì! I miei rendimenti futuri sono andati su!”.
Avete presente quando siete tutti i contenti perché i mercati vanno giù e dite “che bello compro a sconto!”.
In realtà quello che dite è “che bello, i rendimenti futuri sono saliti!”.
Stessa cosa con le obbligazioni.
Poi chiaramente tutto un altro discorso riguarda il buon senso di investire con i tassi a zero o più alti.
Se investi in bond con tassi a zero, il tuo rendimento realizzato sarà più probabilmente zero che non 5%.
Se investi in bond con tassi al 5%, il tuo rendimento realizzato (nominale ovviamente) sarà più probabilmente 5% che non zero.
Inoltre, c’è una questione di costo opportunità.
Tassi molto bassi sono generalmente propizi per le asset class rischiose.
Con rendimenti di partenza a zero sui bond, generalmente è logico sovrappesare la parte azionaria.
E viceversa.
La regola di The bull.
Torniamo agli HY.
Gli HY sono un po’ una via di mezzo tra azioni e titoli di stato, ma più vicini alle azioni, anche se tecnicamente sono obbligazioni.
Il motivo è duplice:
– Il profilo di rischio/rendimento è più vicino a quello azionario
– E sono decisamente più correlati al ciclo economico rispetto ai bond. Per esempio negli ultimi 40 anni la correlazione tra S&P 500 e High-yield americani è stata circa 0,7 — molto elevata. Quella tra S&P 500 e Titoli di stato è stata praticamente 0, anche se dal 2022 ad oggi è salita addirittura a 0,6.
Comunque in genere, durante una recessione i Titoli di Stato solitamente si apprezzano.
È ovvio no: gli azionisti vendono azioni e si rifugiano in più sicuri bond governativi. Spesso poi le banche centrali tagliano i tassi durante le crisi per stimolare la domanda e i prezzi dei bond salgono.
I bond HY invece durante una crii probabilmente vedranno il tasso di default aumentare e quindi il prezzo scendere negli stessi momenti in cui le azioni crollano.
Questa cosa per esempio si è vista benissimo durante gli esilaranti giorni successivi al liberation day del 2 aprile.
Ancora a marzo gli HY americani rendevano 6,8%, il sette aprile sono decollati al 8,5%!
La cosa eventualmente strana è che oggi il mercato consideri le obbligazioni high yield americane meno rischiose che prima del liberation day, quando credevamo ancora in un modo fatto di libero commercio.
Invece il fatto che sull’economia americana pesino dazi del 18% non sembra aver toccato minimamente gli investitori.
Qui le interpretazioni legittime sono due:
– PRIMA INTERPRETAZIONE: i bilanci sono solidi, l’economia americana è forte e a prova di recessione, non c’è nessuna crisi economica in vista — ergo: il rendimento degli HY è 6,7%, ma soprattutto, dato che conta più di tutti, il suo spread rispetto ai Treasury della stessa maturity è appena di 3 punti percentuali scarsi.
Oppure
– SECONDA INTERPRETAZIONE: così come le valutazioni stellari dell’S&P 500, anche il mercato obbligazionario puzza di bolla, perché la propensione al rischio degli investitori si è fatta estremamente elevata, come tipicamente accade subito prima di una crisi.
A ciascuno di voi trarre la conclusione preferita.
Lo spread tra HY e Treasury comunque è molto osservato, soprattutto da Hedge Fund quantitativi come ad esempio Verdad, e diversi paper lo considerano uno degli indicatori più affidabili sulle prospettive a breve-medio termine dell’economia.
Sono una sorta di canarino nella miniera.
Quando gli spread sono molto bassi e cominciano a salire, storicamente non è mai finita troppo bene.
Viceversa, quando gli spread sono molto elevati e cominciano a scendere, quello è stato spesso il segnale dell’inizio di una ripresa impetuosa.
Nel novembre del 2008 lo spread tra HY e IG era arrivato a quasi 20 punti.
Da lì è cominciato a scendere e sappiamo come sono andati i 15 anni successivi.
Certo, non è il massimo dell’incoraggiamento il fatto che per ritrovare uno spread di meno di 3 punti percentuali come quello che c’è oggi dobbiamo tornare al giugno del 2007.
I due anni che seguirono non è che siano andati proprio benissimissimo.
E anche la volta prima, aprile del 1998, non proprio il momento ideale per cominciare a investire.
Oh non volevo rovinare la fine delle vacanze a nessuno — eh — però questi sono i numeri: ciascuno tragga le proprie conclusioni.
Al di là di questo, comunque, la domanda che potremmo porci è: “ma se gli spread sono molto bassi ha senso investire in HY oggi come alternativa alle azioni?”.
Beh, sì e no.
Nel breve termine potrebbe essere un mezzo disastro.
Per esempio, se uno avesse investito in HY all’inizio del 2007, alla fine del 2008 sarebbe stato sotto del 10%, mentre i Treasury avrebbero reso +11%!
Già 5 anni dopo però, nel 2011, gli HY avrebbero reso 6%, mentre i Treasury 7,5%.
10 anni dopo, nel 2016, gli HY avrebbero reso 6,5%, praticamente tanto quanto l’S&P 500 ma con una frazione dei drawdown e dalla volatilità; i Treasury avrebbero reso solo 4,5%.
Morale:
– Con spread bassi il mercato percepisce un basso rischio, ma la verità è che i rendimenti attesi sono mediocri perché solitamente spread molto contenuti preludono a periodi successivi difficili per gli asset rischiosi;
– Allo stesso tempo, però, con orizzonti temporali sufficientemente lunghi questo permette anche di beneficiare di rendimenti futuri superiori.
Ovviamente finora ho fatto tutti i vari ragionamenti numerici prendendo indici americani, perché come sempre ho più facilità a trovare i dati.
Nel caso in cui però volessi fare un de-risking del mio portafoglio riducendo la componente azionaria e facendo un po’ di spazio agli HY, allora naturalmente conviene considerare HY in Euro, altrimenti abbiamo la variabile valutaria che stravolge completamente il senso di quel che stiamo dicendo.
Oggi il rendimento dell’ICE BofA High Yield Index è 4,9% e lo spread con i titoli investment grade è 2,6%, leggermente più basso che negli Stati Uniti.
Per esempio torniamo all’estate di 4 anni fa, quando lo spread era solo leggermente più alto, intorno a 2,8.
Poi sappiamo cos’è successo: boom dell’inflazione, invasione russa dell’Ucraina e tassi di interesse alle stelle.
Lo spread è salito di quasi 400 punti base, oltre il 6,5% e il motivo è che tassi così alti hanno portato tutti a pensare che una recessione sarebbe stata imminente, dato che raramente nella storia si è riusciti a piegare l’inflazione senza causare una recessione.
Se se avessi investito allora in un ETF sugli Euro High Yield avrei visto il mio investimento perdere fino al 14% un anno dopo.
Ciononostante, oggi sarebbe su del 11% complessivamente, quindi avrebbe reso il 2,6% all’anno.
Nello stesso periodo qualunque ETF sui titoli di stato sarebbe invece ancora in profondo rosso.
Se poi guardiamo dall’ottobre del 22, quando lo spread è arrivato al punto massimo di questo ciclo di mercato e gli HY rendevano oltre l’8,5%, lo stesso ETF avrebbe fatto quasi +30% sino ad oggi, ossia circa il 7% medio all’anno.
Credo che gli HY siano particolarmente illustrativi per capire il ruolo che i tassi di sconto giocano sulle azioni.
– Lo spread degli HY (cioè quanto rendono in più rispetto ai bond investment grade) è la stessa cosa del rapporto tra prezzi e utili (o tra prezzi e dividendi, forse ancora meglio) con le azioni.
– Spread bassi e multipli azionari alti vogliono dire la stessa cosa: basso rischio percepito e rendimenti attesi bassi.
– Spread alti e multipli azionari bassi vogliono invece dire: alto rischio percepito e quindi rendimenti attesi alti.
– Solitamente le fasi positive dei cicli economici portano gli spread a contrarsi i multipli a espandersi e viceversa nelle fasi negative.
Perché però oggi uno come Marks — al di là del fatto che la sua azienda vende questa roba — dice che ci vede più opportunità nell’investire in credito high yield, idem come un altro colosso come PGIM, o perché Morningstar ha scritto in settimana un articolo dal titolo “cosa compare quando è tutto caro” e ha citato gli high yield come opportunità?
Allora il ragionamento che fa Marks è questo.
Ogni volta che in passato l’S&P 500 era scambiato a 22 volte gli utili attesi — ed è successo poche volte, in particolare alla fine degli anni ’90 — il rendimento dei dieci anni successivi è stato molto basso, tra -2 e 2%.
Quindi investire in high yield, che oggi promettono un rendimento a scadenza di quasi il 5% in europa e quasi 7% negli Stati Unti sembra più competitivo rispetto al rendimento atteso dalle azioni, a fronte di una minore variabilità nella distribuzione finale dei risultati.
Quello che io mi sentirei di dire è: tutto verissimo, ma con un paio di caveat.
Intano credo che il rendimento atteso oggi sia più alto di quello ipotizzato da Marks (che in verità cita un’analisi di JP Morgan), perché i motivi che hanno portato i multipli del 1999 a sfondare il valore di 24 volte gli utili attesi sono diversi da quelli che potrebbero portare oggi i multipli azionari americani anche più in alto.
Ricordo che oggi viaggiamo sui 22. Prezzi media uguale 22 volte gli utili attesi.
Allora c’è stata la più grande bolla dell’era moderna.
Molte aziende simbolo dell’era dot-com non facevano profitti.
Non c’erano se non una manciata di ETF.
Il trading online era appena iniziato, e sicuramente i costi per investire erano più elevati di oggi.
In quel contesto si era creato un clima di totale del rischio, al punto che in quel periodo nacquero le tesi sull’assenza di rischio dell’investimento azionario, come tipico delle fasi finali dei lunghi bull market (così come è altrettanto tipico decretare l’investimento azionario morto dopo lunghi bear market).
Oggi la qualità delle aziende che dominano i mercati è immensamente superiore.
Gli utili sono molto più elevati
Le tecnologie sono maggiormente scalabli e il mondo gira ad una velocità diversa.
Ci sono molti più partecipanti al mercato — e come abbiamo visto in primavera sono spesso gli investitori retail a comprare tutti i dip e tenere il mercato alto.
Gli ETF hanno reso accessibile l’investimento a centinaia di milioni di persone.
Investire è diventato quasi gratis.
Tutte queste motivazioni potrebbero giustificare il fatto di trovarci su valutazioni azionarie strutturalmente elevate — sticazzi che la media storica sia stata sempre più bassa.
Un tempo investire in azioni era obiettivamente MOLTO più rischioso.
Ovviamente l’altro l’alto della medaglia è che se oggi investire appare a tutti meno rischioso, allora le valutazioni possono rimanere elevate senza che per questo il mercato debba venire giù da un momento all’altro, ma la conseguenza è che i rendimenti futuri saranno inferiori.
Inferiori però non vuol dire che devono essere per forza catastrofici tipo decennio perduto.
Inferiori può voler dire che magari l’S&P renderà 6-7% nominale invece che 12-13% come ha fatto nell’ultimo quindicennio.
Questo sarebbe compatibile con valutazioni che restano comunque molto alte.
Semplicemente gli investitori accettano un minor rendimento atteso.
Ad ogni modo, è possibile che il credito HY possa generare dei ritorni vicini a quelli azionari, al costo di un rischio inferiore e di una minore volatilità, perché fino a prova contraria hanno un obbligo contrattuale a pagare gli interessi.
Del resto, nel quarto di secolo dal gennaio 2000 al dicembre del 2024, l’MSCI world, in dollari, ha reso circa il 6,5% medio annuo, contro il 5,5% circa di un indice di High Yield, ma al costo di una volatilità nettamente inferiore.
Lo sharpe ratio, il rapporto tra rendimento e rischio, è stato 0,35 per l’MSCI world e 0,5 per gli HY.
Allo stesso tempo bisogna stare attenti a non confondere Yield e Return — che è proprio una di quelle cose che serve per usano banche e asset manager per rincoglionire l’investitore medio e fargli credere di ottenere rendimenti che in realtà sono solo di carta.
Appena arriveranno in Italia gli ETF con i buffer — e ormai credo manchi poco — ci sarà da divertirsi.
– Lo Yield di un investimento è in generale il rapporto tra il cash flow distribuito all’azionista e il prezzo pagato per l’asset.
– Il Return, cioè il rendimento complessivo, è dato dallo Yield PIU’ o MENO le variazioni di prezzo dell’asset durante il periodo in cui lo detengo.
Nel caso delle azioni, per esempio, sappiamo bene che il rendimento complessivo è composto da tre cose:
– I dividendi
– La crescita degli utili per azione (e qui dentro ovviamente ci vanno i buyback perché aumentano l’utile per azione riducendo il numero di azioni in circolazione) e infine
– La variazione nel rapporto tra prezzo e utili.
Nel caso delle obbligazioni invece cosa abbiamo? abbiamo:
– Lo yield, cioè il rendimento che deriva dal pagamento delle cedole che a loro volta si suppone vengano reinvestite allo stesso tasso e poi
– C’è il price return.
Un bond teoricamente rimborsa il capitale a 100.
Ma non se fa default.
Il rendimento a scadenza di un portafoglio di Bond prezza un certo tasso di default.
Però poi quello che conta sul rendimento finale è il numero effettivo di default che ci sono stati.
Dicevamo che un indice di bond high-yield è composto principalmente di tre tranche:
– I BB, che nel caso dell’ICE BofA Euro High yield è quasi il 60% del totale;
– I B, circa 36% del totale e
– I CCC, circa 4% del totale.
Nel caso dei BB, il rendimento totale è molto vicino allo YTM, perché il tasso di default è piuttosto basso.
Nel caso dei B — e ovviamente dei CCC — all’elevato YTM di partenza bisogna sempre poi togliere il numero di default che si verificano.
Quindi attenzione a farsi ingolosire da un rendimento obbligazionario del 5% (o 7% in dollari) come se fosse qualcosa di certo: lo yield lo stimi a priori, ma il rendimento totale lo scopri alla fine.
Ogni riferimento agli amanti delle mega cedolone dei tanto amati certificati di investimento è ovviamente del tutto casuale…
Chiaramente però ci sono vantaggi e svantaggi rispetto alle azioni:
– Il vantaggio, se vogliamo,
– è appunto avere un rendimento atteso non molto più basso delle azioni, tagliando la parte più estrema della coda sinistra, cioè a fronte di un rischio inferiore. Se oggi gli HY europei hanno un rendimento a scadenza intorno al 5% su scadenze medie intorno ai 3 anni, è lecito aspettarsi che grosso modo quello sia il rendimento che ci si può attendere in quest’orizzonte temporale, al netto di shock sui tassi di default. Lo YTM resta comunque il miglior indicatore del rendimento atteso è spiega in massima parte il rendimento realizzato.
– Un altro vantaggio è che invece, all’opposto di uno shock negativo, un miglioramento del rating dell’emittente o della sua salute finanziaria generale può portare ad un apprezzamento.
– Infine i bond high yield hanno solitamente una duration molto bassa. Ricordiamo che la duration è il tempo medio ponderato che impiega il bond a ripagare l’investimento inziale ed esprime la sensibilità del prezzo alle variazioni dei rendimenti dei titoli dello stesso tipo. Essendo emessi con scadenze piuttosto brevi e avendo cedole generalmente elevate, la duration è generalmente contenuta. In un contesto di eventuali tassi crescenti, gli hy tendono a fare meglio di altri tipi di obbligazioni, così come potrebbero essere un asset più efficace in uno scenario caratterizzato da bassa crescita economica, che invece di solito penalizza le azioni.
– Il grosso svantaggio è che gli HY tagliano completamente l’upside, ossia la coda di destra, cioè è molto improbabile che un investimento in high-yield faccia +60% in due anni, cosa che invece può succedere benissimo investendo in indici azionari.
In definitiva, la scelta di inserire HY nel portafoglio risponde all’idea di avere uno strato intermedio di rischio tra azioni e obbligazioni.
– Il caso *tattico* può essere: oggi, in un contesto di bassa crescita e tassi potenzialmente alti — ok la Fed probabilmente taglierà a settembre, ma se l’inflazione risale brutalmente è tutto da vedere — dicevo bassa crescita, tassi più elevati, gli hy sembrano avere una tesi di investimento convincente, nonostante gli spread storicamente molto bassi;
– Il casso *strategico* invece può riguardare l’opportunità di avere un approccio più conservativo sulla componente azionaria del portafoglio e sostituirla con HY europei.
Ora, per fare backtest sensati devo usare dati in dollari, altrimenti non riesco ad andare troppo indietro.
Per esempio un confronto potrebbe essere:
– Portafoglio 70/30 MSCI World Treasury decennali da una parte e
– Portafoglio 50 MSCI World 20 HY e 30 Treasury decennali
Questi portafogli avrebbero avuto performance abbastanza simili su vari backtest e in quasi tutti i casi che non comincino dopo il 2009, cioè che si saltano a piè pari il decennio perduto, in termini di rischio-rendimento il portafoglio con gli HY sarebbe sempre risultato migliore.
Migliore vuol dire:
– Sharpe ratio più alto;
– Massimo drawdown più contenuto.
E naturalmente nei backtest a cavallo del 2000-2009, il secondo portafoglio avrebbe anche avuto un rendimento migliore.
Consiglierei oggi di investire in HY?
Né sì né no.
Come vi avevo raccontato nell’episodio 185 sul mio portafoglio, io avevo fatto una delle pochissime operazioni tattiche della mia vita intorno a metà novembre dell’anno scorso. A malincuore mi ero deciso a rimettere dentro l’oro nel portafoglio e per farlo ho venduto un valore equivalente di HY.
Lo spread allora era addirittura più basso di oggi, praticamente ho beccato il picco.
Da novembre a oggi quell’ETF sugli HY che avevo (che per la cronaca era HYLD, quindi globale), ha fatto + 2,8%.
L’oro +14%.
Con il senno di poi, ottima chiamata.
Del tutto a culo naturalmente.
E spinta più dalla FOMO da oro che altro.
Oggi non li ritengo necessari nel mio portafoglio.
Anzi, sono disposto ad accettare rischi maggiori per un rendimento atteso in senso assoluto più elevato.
Se però qualcuno stava considerando un de-risking del proprio portafoglio ma soffriva al solo pensiero di investire in obbligazioni governative che non piacciono a nessuno, gli HY sono sicuramente un’opzione intermedia da considerare.
Non è probabilmente il momento migliore di sempre per investirci, viste le valutazioni elevate, ma come spiegavamo prima hanno un investment case sia tattico che strategico con un certo senso.
Amiche e amici di questo podcast, fine dell’episodio che spero vi sia piaciuto e che vi abbia dato qualche interessante spunto per i vostri portafogli.
Ancora una volta vi ringrazio per la commovente passione con la quale mi avete seguito anche durante il mese di agosto, che evidentemente per molti di voi è stato mare, montagna e finanza — tanto che questo mese The Bull ha sfondato i 16 milioni di episodi ascoltati e siamo quasi a 180.000 follower, di cui 120.000 solo su Spotify. Se non siete tra questi, vi invito a mettere segui e attivare le notifiche su spotify, apple podcast, youtube o dove ci ascoltate e a lasciare una recensione a 5 stelle per supportarci e permetterci di continuare a produrre contenuti ad alto rendimento ma spero anche con altrettanto altro ritorno sempre nuovi.
Per questo episodio invece è davvero tutto e noi ci risentiamo mercoledì prossimo con il penultimo appuntamento di agosto sempre qui naturalmente con The Bull il tuo podcast di finanza personale.
Recensioni
Quando capisci come funziona la finanza… ti viene voglia di raccontarla!
Ho seguito tutte le puntate! Grazie veramente
Amalia A., 17 Set 2025Riccardo mi ha letteralmente cambiato la vita e fatto scoprire che amo la finanza, ho ascoltato il podcast già due volte e non mi stufo mai di ascoltarlo, parla in modo semplice e chiaro
Massimo D., 23 Set 2025Podcast che dà sempre spunti interessanti che personalmente mi ha fatto appassionare alla finanza personale spingendomi ad approfondire in prima persona.
Lorenzo, 13 Mar 2025Ho acquistato e letto il suo libro e l' ho trovato. Esprime i concetti economici in modo semplice e chiaro. Sentirlo parlare conferma che è un professionista del settore.
Giulia N., 11 Ago 2025Veramente veramente raccomandato! la finanza personale riassunta alla perfezione! e spiegata partendo dall'ABC! Ottimo anche da ascoltare a velocita 1,5x!
Giorgia R., 23 Gen 2025La mia ignoranza in materia mi ha sempre creato dei dubbi, ma grazie a un amico ho iniziato ad ascoltare il podcast. Per fortuna che ho 24 anni e un po' di tempo e soldi da dedicarmi a imparare le varie nozioni per me stesso. Grazie mille!
Luca G. 10 Ott 2025Podcast piacevole, scorre veloce ma in modo estremamente chiaro, spiega i concetti chiave per gestire le proprie finanze, fornendo la classica cassetta degli attrezzi. Complimenti, davvero ben fatto!
Massimiliano, 29 Mag 2024Dovrebbero ascoltarlo buona parte degli italiani e io avrei dovuto scoprirlo con qualche anno in anticipo ma meglio tardi che mai
Matteo C., 3 Set 2025Non sono solito a mettere recensioni e specialmente non ascolto podcast, ma da quando ho iniziato questo, faccio fatica a staccarmi, e quasi non posso più fare a meno di ascoltare e arricchirmi culturalmente.
Andrea V., 22 Set 2025